Linea d'ombra - anno VII - n. 40 - lug.-ago. 1989

' CONFRONTI la psicoanalisicomeesercizio critico. Dueopinioni sul librodi Jervis Michele Ranchetti, Filippo La Porta Crisi e alleanze Michele Ranchetti Questo è l'intervento con il quàleRanchetti ha presentato ai primi del giugno scorso La psicoanalisi come esercizio critico (Garzanii) alla Casa della Cultura di Milano. Devo fare una premessa. Ho letto questo libro tre volte. Una prima volta in manoscritto perché Jervis ha avuto l'amicizia di inviarmelo in lettura affinché facessi osservazioni o critit che. Una seconda volta appena uscito, perché Jervis di nuovo ha avuto la cortesia di farmelo inviare dall'editore. E una terza volta ho letto il libro per poterne riferire nell'occasione di oggi. Debbo dire che la prima volta non ho avuto obiezioni da fare, perché il libro mi sembrava chiaro, ben pensato, ben scritto. Ho notato solo, e l'ho detto a Jervis, che la parte dedicata al malato mi sembrava insufficiente. Avrei voluto cioè che i pazienti figurassero nel suo libro a maggior titolo, intervenissero con più forza, direi quasi con maggior produttività teoretica a comporre l'insieme della ricerca. La seconda volta il libro mi è parso meno chiaro, sempre ben scritto ma, come dire, ·un poco reticente. Non riuscivo a cogliere gli elementi costitutivi appunto come elementi costitutivi, mi sembrava una costruzione un po' forzata in cui tutto, per giudizio preventivo, doveva accordarsi nel com~rre un insieme in qualche modo già dato, già conosciuto. Ma questo, anche sei! valore del librononnevenivaoscurato: illibrodiJervisrimaneva un'impresa di grande chiarezza intellettuale, e questo mi sembrava sufficiente. Una terza volta, appunto per questa occasione, ho riletto il libro più lentamente prendendo appunti e cercando di approfondire la lettura. Il risultato sono alcune osservazioni che non contraddicono l'impressione delle due letture precedenti, ma la confermano. Dirò quindi subito cheLapsicoanalisi come esercizio critico è un libro importante e che sono grato a Jervis per avermene offerto tre occasioni di lettura. Ma c'è una cosa che mi è parsa nuova alla terza lettura. La costruzione mi è apparsa molto più elaborata e in un certo senso meno semplice delle volte precedenti. Dove la pagina mi sembrava esemplare, ricca di intuizioni critiche e di annotazioni precise, ecco ora che mi si offriva un percorso intellettuale molto meno evidente e soprattutto un aspetto polemico molto rilevato. In altri termini dove avevo letto una ricostruzione sapiente di itinerari conoscitivi, di scuole di pensiero, mi appariva un giudizio quasi spietato proprio nella straordinaria capacità di Jervis di illustrare la prospettiva intellettuale altrui. E viho letto una sorta di autobiografia sullo sfondo, come se l'intera narrazione corrispondesse a un proposito non dichiarato ma presente nella ricerca: il proposito di illustrare un percorso individuale, quello appunto di Jervis che si cosiruisceiuna storia per non offrire una biografia e ho creduto di notare appùnto in una narrazione apparentemente neutrale la presenza di una situazione drammatica, di vicende, di fatti, di idee, di situazioni non solo conoscitive ma reali appunto altamente drammatiche. Il buon rieducatore, nella splendida premessa ai saggi, aveva già fatto questo: aveva tracciato la storia di sé. E qui - almeno mi è parso -questa storia si ripete adistanzadi anni e dopo molta esperienza non solo clinica. In altri termini questo libro che in qualche modo si vorrebbe una rassegna di tendenze, di scuole, di diverse posizioni intellettuali, è invece i_nrea1tà un risultato, il tracciato di esperienze di un medico psichiatra che non ha cessato di interrogare e di interrogarsi. La stessa psicoanalisi, quindi, cerca, nella sua storia, di rappresentare questa esperienza e di ripercorrerne i momenti salienti. Questo libro, dunque, è una autobiografia. Edevodirecheinquesta prospettiva biografica, il libro ha rinnovato per me il suo interesse, ben più che nella ulteriore verifica dell 'intelligenza critica <leisuo autore e della sua capacità di illustrare criticamente le idee altrui. Ma anche nella prospettiva biografica, naturalmente, il libro parla di altri. E non è impossibile riconoscere che tutta la vicenda ruota attorno a un asse centrale che, in qualche modo, continuaaripresentarsiinognicapitolo. Èla inGiovanni Jervi"s(foto di Giovanni Giovannetti). IL CONTESTO terrogazione di fondo che ogni capitolo riprende per così dire da capo. La domanda è sempre la stessa, ed è la domanda di sempre: che cosa è la psicoana.li.si? Questa interrogazione qui è, per così dire, immessa nella storia. Non è quindi solo una domanda teoretica ma è anche una interrogazione storica. Si vuole dunque sapere di alcuni momenti della storia della-psicoanalisi larisposta a questo interrogativo. Il libro sarà allora la storia di queste interrogazioni e la storia delle diverse risposte. Naturalmente per riconoscere ed evidenziare in ciascuno dei modi di porsi dell'interrogazioneeinciascunodeimodidiporsidella risposta un limite, talvolta un errore. Ma ad evi tare che questa storia finisca per assumere un eccessivo carattere teoretico e teorico si avrà modo di ricordare ogni volta che sene ripresenterà l'occasione che la psicoanalisi esiste, che esistono gli psicoanalisti, quando occorre, che sono uomini, che appartengono alla cultura e alla società come corporazione, che costituisconounarealtà. Sicorreggeràcioèlainterrogazione con un" dato di fatto" che ne rivela il senso o lo mantiene. In realtà, e non poteva essere altrimenti, il libro oscilla.quindi fra teoria e storia e ognuna di queste parti rinvia all'altra in un'alternanza di significati. L'interrogazione però rimane. In un certo senso non è mai soddisfatta. Per tutto il percorso del libro si succedono quindi una serie di definizioni della psicoanalisi, ciascuna delle quali viene per così dire provata sulla realtà, per essere sempre riconosciuta insufficiente o deviante. Ma quando I'interrogazione tende a rivolgersi contro se stessa, tende cioè ad autoannullarsi, ecco ricomparire lastoriae la realtà, eproprio quella storia eque!- . la realtà che l'interrogazione poneva in çubbio o semplicemente interrogava. Il fatto è che qualcosa rimane sempre, qualcosa che Jervis non tende a individuare o a nominare esplicitamente. Rimane la cura e la malattia. Non è vero, perché anzi Jervis ancora sempre la psicoanalisi alla cura. Ma egli è per così dire dalla parte della psicoanalisi, non della malattia'. In altri termini Jervis non abbandona mai l'aspetto terapeutico. Anzi esso figura nella prima pagina del libro che si definisce "un contributo alla definizione della psicoanalisi come pratica terapeutica". Ma poi è come se l'aspetto terapeutico, la cura intervenisse a rifondare una costruzione teoretica che l'interrogazione conoscitivadi Jervis ha finito per distruggere. Ecco allora questa cura, questo malato che riappare arassicurare lo psicoanalista, a dirgli che il suo operato, qualsiasi siano i dubbi teorici che \9 affliggono o la debolezza teoretica della disciplina che sta praticando, ha un senso, ha una funzione se non sociale almeno individuale. Qualcosa di più. Il malato, la cura, sembrano intervenire a dare coraggio anche quando il terapeuta crede che la sua terapia non esista, sia pura immaginazione, una pura invenzione. Questa correzione della teoria con hlprassi dove la prassi è quasi solamente ricondotta a una funzione terapeutica non illustrata è forse -un aspettomenoriuscitonellibro. Rimane quindi, stc'-ndo me, il suggerimento che avevo rivolto a Jervis quando avevo letto il volume in manoscritto: "Parla_della malattia, parla del 19

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