dea era un po• distorta, c•erano promesse che non potevano essere mantenute, perché si pensava che lo studio ti portasse a migliori condizioni di vita. Oggi si sa che non è vero, perché la gente studia ma poi la vita è la stessa, in parte per motivi politici, in parte per l'influenza di altre forze: ora il potere nella società lo dà il denaro, e la scuola non serve più. I salari sono così bassi che non ti consentono una vita migliore. I ricchi non studiano: fanno affari. E il principio dello studio non è più valido nella Tanzania di oggi. Anni fa, per molti giovani di Dar es Salaam, la contrapposizione era fra la retorica del sistema, tutta basata sui valori dell' Ujamaa e dell' autosufficienza, e la loro voglia di guardare verso l'Europa, verso mondi esterni. Oggi, con la liberalizzazione qell' economia, mi sembra che i giovani si sianoriorientati verso il business: sperano di migliorare le loro condizioni di vita qui, in patria. Come vedi questi cambiamenti? La storia della Tanzania è storia di cambiamenti: l'Indipendenza con le sue problematiche, poi la scelta dell'Ujamaa, del socialismo di Nyerere. Oggi vediamo che la Dichiarazione di Arusha non ha raggiunto i suoi intenti. Ma era il prodotto di circostanze storiche particolari: non c'era una borghesia nella Tanzania di quegli anni, ora invece c'è. E gli anni dopo fa Dichiarazione di Arusha furono anni in cui la borghesia consolidò il proprio potere nazionalizzando l'economia, usando cioè Jo stato. In Tanzania gli individui non avevano capitali, e allora ci pensò lo stato, che investì in certi settori, cercando di creare una base industriale nel paese. Mà in questo sforz~ lo stato finì con l'impoverire la gente, frustrandone le aspirazioni: le cooperative e i sindacati, ad esempio, furono esautorati di ogni potere e poi nei fatti aboliti. La gente non aveva più voce. E le grandi organizzazioni parastatali si limitavano a sfruttare i contadini. Ora i contadini e i lavoratori hanno salari minimi, e non hanno nessun tipo di organizzazione. La leadership, che era ormai una borghesia di stato, sosteneva che era l'unico modo di creare dei capitali, anche se poi i profitti non venivano reinvestiti. Anzi: negli anni ottanta le banche hanno cominciato a concèdere dei prestiti a dei privati contribuendo così alla formazione di una vera e propria borghesia. I ricchi di oggi vengono dall'amministrazione statale: è gente che ha riutilizzato i soldi dello stato. Le mie poesie negli anni sessanta eranq in linea con lo spirito di rinascita nazionale, con lo spirito del tempo: feli1itàe speranza. Questo fino alla Dichiarazione di Arusha, che noi pensavamo fosse uno strumento di liberazione. Ora i tempi sono cambiati: ma c'è un nucleo rilevante di voglia di liberazione che è l'espressione dei bisogni collettivi. È un aspetto che non muore. Dopo la dichiarazione di Arusha le aspirazioni della gente furono interiorizzate, ma erano sempre nella stessa direzione.Quindi gli anni settanta furono anni in cui vennero a galla aspetti nuovi: la cultura, ad esempio.C'era il problema del grosso impatto che aveva la cultura internazionale sul nostro paese. E c'è voglia di ridare fiato alla nostra, di cultura: questo c'era nelle mie poesie di allora. Gli anni Settanta furono segnati dalle lotte dei lavoratori, in aperto scontro con la classe dominante e gli organi di stato, contro il loro modo di sfruttare il paese: e questo è uno dei temi della mia poesia di quel periodo, insieme alla lotta di liberazione in ,Africa australe. Un altro elemento che segna gli anni Settanta è quello della tensione che si creò fra i poeti orientati verso le tecniche di tipo tradizionale e fra chi cercava di introdurre delle novità. lo ero favorevole al cambiamento, e in questo senso ho lavorato fino ai.primi anni Ottanta. Poi non ho più scritto niente. Quel che succede oggi mi lascia perplesso: non so cosa ne scriverò. Penso però che la cosiddetta liberalizzazione sia solo un modo di accettare l'economia capitalistica. Investimenti e business: certo, ne scriverò, ma non so che cosa, anche se so che continuerò a sostenere il punto di vista della gente comune. Cercherò di capire come si sente la gente, come reagisce a questa situazione. INCONTRI/ MULOKOZI Chi legge i tuoi libri? E per quale pubblico scrivi, a chi ti indirizzi? Scrivo per chiunque parli swahili in Tanzania e in Africa. In realtà non so proprio se i miei lettori ricevano il mio messaggio: non ho mai avuto un ritorno, da questo punto di vista. Due collezioni di poesie, comunque, sono libri di testo nelle scuole, così spero che in Tanzania la gente sia preparata a capire quello che scrivo, anche se gli studenti non ne sono i destinatari. In generale posso dirti che in Tanzania molta gente è abituata a leggere poesia, che è una delle arti più popolari: sui quotidiani, ogni giorno ci sono delle pagine di poesia che tutti leggono con interesse. Sono poesie scritte da semplici lavoratori o contadini del Rufiji, di Lindi, di Bagamoyo: c •è attenzione e interessè al.lapoesia, soprattutto sulla costa. La radio trasmette un programma di poesiaognidue settimane. Le mie collezioni di poesie hanno venduto molto bene: Mashairi yaKisasa ha venduto ventimila copie, Kunga za U shairi na Diwani Yetu trentamila. La poesia ha tradizioni antiche: prima della letteratura in prosa c'era solo poesia, la letteratura antica è tutta in versi. Così è rimasta una forma d'arte popolare, un modo molto facile di comunicare fra le persone. Non c'è bisogno di pubblicare: c'è chi legge le sue poesie a una riunione, a un incontro qualsiasi. Questo corrisponde del resto alla tradizione, che è tutta orale, e nasce da un bisogno reale della gente di comunicare nella vita di tutti i giorni. Sono state pubblicate delle collezioni di queste poesie tratte dai giornali. Già i tedeschi pubblicavano poesie sui giornali in swahili, poi gli inglesi con il famoso Mambo Leo. Lo stesso Shaaban Robert, uno dei più grandi scrittori tanzani, ha cominciato pubblicando sui giornali. Ora ci sono molte di queste raccolte di poesia tratte dai giornali: sono molto interess·anti, perché si trovano cose molto buone dal punto di vista formale e di contenuto. Questa è una domanda che ho posto a molti artisti africani, e ho trovato sempre difficile avere una risposta:forse è la domanda che è _s~~- gliata. Comunque: tu èredi di avere, in quanto africano, una sens1bil1tà diversa dagli europei? Un poeta scrive a partire dal proprio retroterra storico, e il nostro è diverso dal vostro. Noi eravamo i colonizzati, i contadini governati dagli europei ricchi: chi scriveva era un ribelle solo per il fatto di scrivere, perché non poteva non sentirsi antibritannico. Al di là di questo, ci sono invece esperienze che sono comuni a tutti i popoli in qualsiasi parte del mondo: la morte, la nascita, l'amore. Ma ogni società reagisce a queste esperienze creandone una visione· autonoma. La morte: esperienza universale, certo, ma la si può vedere in maniera diversa. C'è chi, in Tanzania, la vede semplicemente come una fine, invece i cristiani vedono una continuazione. C'è chi vede lamortecomeunmaleechi no. Ed è evidente che una prospettiva islamica o cristiana sarà molto lontana da un~ prospettiva tradizionale africana. Cosa pensi dei giovani di oggi, in Tanzania? I giovani rappresentano un grosso problema, per la Tanzania. Ora sono in crisi, e la loro crisi non è solo culturale o.storica, ma anche semplicemente economica. Le aspirazioni dei giovani non hanno incontrato la realtà. I ragazzi vanno tutti a scuola per sette anni, e poi non ci sono né posti di lavoro e neppure scuole superiori a sufficienza. Così devono tornare al villaggio. È frustrante, e l'origine della crisi sta proprio nei sette anni di scuola, che comunicano loro una certa idea del mondo: loro non possono più tornare indietro, eppure sono costretti a tornare alla vita tradizionale. Prima gli diciamo che lo studio migliora le persone, poi li confiniamo di nuovo nel villaggio. Allora i giovani scappano dalle famiglie e vengono in città: ma anche qui non succede niente di buono. Per questo tanti diventano dei malviventi, oppure si danno alla droga: tanto avranno sempre qualche parente che li mantiene.anche in _città.-~a soluzione di questa crisi è solo economica: se trovano lavoro s1stabilizzano. Se no si siedono per strada. E aspettano. · 00
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