LUlvLIV / AlvV'::J IV I Yt!Y · l'JUMtKV 4V LIKl:'T.CJ\JQ I mensile di storie, immagini, discussioni
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Arte precolombiana , Bioetica Il mito dell'Egitto nel Rinascimento 11Sole la stella del giorno La Messa. di musica sacra I Giacobini
GiinterGrass Mostrarelalingua Prosa, poesia, grafica: le arti di .Grass compongono il mosaico indiano di un grande reportage- · racconto. Traduzione di Bruna Bianchi. «Supercoralli», pp. XXI-141con 9 illustrazioni nel testo, L. 24 ooo CabezadeVaca Naufragi La memorabile cronaca di una disperata e avventurosa spedizione nel Nuovo Mondo da poco conquistato. «Non mi stancherò mai di parlare di qoesto piccolo libro» (Henry Miller)., A cura di Luisa Pranzetti. Introduzione di Cesare Acutis. «Gli struzzi», pp. xx-152, L. 14 ooo NutoRevelli L'ultimofronte Dopo le testimonianze di Leopoli ritornano, con accresciuta forza drammatica, queste lettere di caduti in guerra, che. ridanno voce ai «sommersi» della storia. «Gli struzzi», pp. Lxvrr-354, L. 22 ooo NicoOrengo · Miramare « ... quasi un manifesto di poetica, un piccolo zibaldone narrativo» (Antonio Tabucchi). «Nuovi Coralli», pp. 107, L. ro ooo Einaudi NataliaGinzburg LafamigliaManzoni «Il protagonista di questa lunga storia famigliare non volevo fosse Alessandro Manzoni. E tuttavia egli domina la scena; è il capofamiglia; e gli altri certo non hanno la sua grandezza» (Nàtalia Ginzburg). «Gli struzzi», pp. vx-351 con 41 tavole f~ori testo, L. 18 ooo L'alberodellaRivoluzione AcuradiBrunoBongiovanni e LucianoGuerci Nelle centotrenta voci di questo dizionario, le interpretazioni che in due secoli gli storici, i filosofi e gli scrittori hanno dato della Rivoluzione francese. «Saggi», pp. XXIV-687con 21 illustrazioni f;,ori testo, L. 65 ooo LuisaMangoni Inpartibusinfidelium Don Giuseppe De Luca: il mondo cattolico e la cultura italiana. La figura spirituale e intellett~ale di un protagonista «sotterraneo» ma cruciale della vita italiana fra il Concordato e il pontificato di Giovanni XXIII. «Biblioteca di cultura storica», pp. XIII-420, L. 55 00" WilliamButlerYeats Fiabeirlandesi Il« piccolo popolo» dei folletti, delle sirene, dei giganti dalla barba di pietra: il folklore irlandese raccontato da uno dei grandi poeti del nostro secolo. Traduzione di Maria Giovanna Andreolli e Melita Cataldi. «I millenni», pp. VI-470 con 8 illustrazioni a colori fuori testo, L. 55 ooo HenryChadwick Agostino Una biografia di esemplare sinteticità e chiarezza, del piu com.plessoe influente dei Padri della Cristianità. Traduzione di Gaspare Bona. «Pbe», pp. ~-129,L. 12 ooo AnthonyPagden Lacaduta dell'uomonaturale Il grande dibattito sulla natura dell' «Altro» dopo ·1aconquista del1' America: gli indiani e le origini dell'etnologia comparata. Traduzione di Igor Legati. «Paperbacks», pp. xxvrr-299, L. 36 ooo LucianEorba L'ippopotamo L'illusione di interrogare l'alfabeto delle cose, il disi.ncanto, l'ironia, il tenue sapore della quotidianità nell'ultima raccolta di una fra le voci piu alte della poesia contemporanea italiana. '«Collezione di poesia», pp. 64, L. 8500 GesualdBoufalino L'amaromiele «Questi versi non vantano probabilmente altro merito per vedere la luce, se non quello, privato di fare per un momento, sorridere» (Gesualdo Bufalino): Nuova edizione accresciuta. «Collezione di poesia», pp. 182, L. 15 ooo FriedricShchiller GuglielmToell ... «Teli è già una figura della mitologia popolare moderna, o addirittura un antenato del libero eroe western» (Giuliano Baioni). L'ultimo dramma di Schiller. A cura di Giuliano Baioni. Traduzione di Barbara Allason. «Collezione di teatro», pp. XIX-103, L. 9500
Direttore: Goffredo Fofi Direzio~e editoria/e: Lia Sacerdote Co/laboratori: Adelina Aletti, Chiara Allegra, Enrico Alleva, Giancarlo Ascari, Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Stefano Benni, Alfonso Berardinelli, Paolo Bertinetti, Gianfranco Bettin, Romano Bilenchi, Francesco Binni,Lanfranco Binni, Franco Brioschi, Isabella Camera d'Afflitto, Marisa Caramella, Cesare Cases, Roberto Cazrola, Grazia Cherchi, Francesco Ciafaloni, Luca Clerici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Vincenzo Cottinelli, Alberto Cristofori, Mario Cuminetti, Peppo Del Conte, Stefano De Maneis, Riccardo Duranti, Bruno Falcetto, Marcello Flores, Giancarlo Gaeta, Fabio Gambaro, Piergiorgio Giacché, Aurelio Grimaldi, Giovanni Jervis, Filippo La Pòrta, Gad Lemer, Stefano Levi della Torre, Marco Lombardo Radice, Marcello Lorrai, Maria Madema, Mario Maffi, Luigi Manconi, Danilo Manera, Bruno Mari, Edoarda Masi, Roberta Mazzanti, Paolo Mereghetti, Santina Mobiglia, Maria Nadotti,Antonello Negri, Cesare Pianciola·, Gianandrea Piccioli, Giovanni . Pillonca, Bruno Pischedda, Oreste Pivetta, Giuseppe Pontremoli, Sandro Portelli, Fabrizia Ramondino, Michele Ranchetti, Alessandra• Riccio, Fabio Rodriguez Amaya, Paolo Rosa, Roberto Rossi, Franco Serra, Marino Sinibaldi, Joaquin Sokolowicz, Piero Spila, Paola Splendore, Antonella Tarpino, Alessandro Triulzi, Gianni Turchetta, Emanuele Vinassa de Regny, Itala Vivan, Gianni Volpi, Egi Volterrani. Progello grafico: Andrea Rauch/Graphiti Ricerche di segreteria: Carla Rabuffetti, Barbara Galla - Relazioni pubbliche: Miriam Corradi Esteri: Regina Hayon Cohen Produzione: Emanuela Re Hanno contribuito alla preparazione di qlllsto nwnero: Pasquale Alferi, Filippo Azimonti, Valerio Bongiorni, Franco Cavallone, Maria Corti, Vanna Daccò, Enrico D'Angelo, Piera Detassis, Rina Disanza, Giorgio Ferrari, Sandro Ferri, Edoardo Fleischner, Carla Giannetta, Giovanni Giovannetti, Fabian Gonzales Negrin, Marino Larizro, Grazia Neri, Andrea Pedrazzini, Pietro Politi, David Scher, le riviste "Plural", "Current Anthropology" e "Gradhiva", il Musée de l'Homme di Parigi, il Salone Pierlombardo e la libre.ria Popolare di via Tadino 18 a Milano. Editore: Linea d'ombra Edizioni srl Via - Gaffurio 4 20124 Milano - Tel. 02/6691132-6690931 Distrib. edicole Messaggerie Beriodici SpA aderente A.D.N. - Via Famagosta 75 - Milano Te!. 02/8467545-8464950 Distrib. librer~ PDE - Viale Manfredo Fanti 91 50137 Firenze - Tel. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Puccini 6 Buccinasco (MI) - Te!. 02/4473146 LINEA D'OMBRA Mensile di storie, immagini, discussioni Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87 al n. 393 Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post Gruppo III/70% Numero 40 - Lire 9.000 Abbonamenti annuale: ITALIA: L. 65.000 da versare a mezzo assegno bancario o c/c postale n. 54140207 intestato a Linea d'ombra. ESTERO L 90.000 I manoscrilli non vengono restituiti Si risponde a discrezione della redazione. Si pubblicano poesie solo su richiesta. UNIID'OMBRA anno VII luglio-agosto] 989 numero40 IL CONTESTO 4 8 12 25 Edoarda Masi Luigi Bobbio Santina Mobiglia, Maria Luisa Pesante Ermanno Vitale Il messaggio degli studenti cinesi La politica al centro e in periferia Vecchi e nuovi manichei. Il caso Rushdie Pacifismo e oltre nel pensiero di Bobbio RUBRICHE: Lettere (F. LaPorta su P~olo Flores e il laicismo a p. 7; A. Berrini su solidarismo e curiosità a p. 10; M. Bricchi e B. Pischedda attorno a Fenoglio a p. 24), In margine (G. Cherchi suBellow, Horkheimere alcuni tormenti d'oggi ap.11), Letture(G. Fofi su Gellhorn, S. Naipaul, Ray, Lang, Truffaut, Platonov, Purdy a p. 16), Confronti (M. Ranchelli e F. LaPorta sul libro di Jervis sulla psicanalisi a p. 19; M. Barenghi su G. Pontiggia a p. 22; F. Gambaro su Pepetela a p. 23), Antologia (J L. Borges su Wells e il Corano a p. 15), Promemoria a p. 29. POESIA · 73 94 STORIE 30 100 101 PaulCelan Mugyaburo Mulo/u;zi Bohumil Hrabal Clara Sereni MarinaBeer INCONTRI 77 98 SAGGI 109 Michel Leiris Mugyaburo Mulokozi Fernando Pessoa SCIENZA 35 Jacques Monod SPETTACOLO Il sommario è a pagina 42 111 Gli autori di questo numero Luce inversa / Discorso sui monti a cura di C. Groff e E. Potthoff Un canto dimenticato a cura di Elena Zubkova Bertoncini Il flauto magico Atrazina Elide Surrealismo, jazz, etnologia, poesia. .. a cura di Sally Price e Jean Jamin Polenta e uova a cura di Andrea Berrini Le regole del gioco I valori nell'epoca della scienza La copertina di questo numero è di Franco Mauicchio (distr. Storiestrisce). Questa rivista è stampata su carta riciclata. I
IL CONTESTO • Il messaggio de.gli studenti cinesi I Nord e Sud della Cina, i Nord e Sud del mondo: la "logica" di un massacro, gli opportunismi dell'Occidente · Edoarda Masi Mi eroproposta di ricercare emettere in evidenzaalcune contraddizioni di fondo nella società cinese utilizzando principalmente opere letterarie, televisive, cinematografiche, insieme con i dati biografici di scrittori e con opinioni da loro espressepubblicamente. In assenza o per insufficienza di altre fonti utili. La tragedia di questi giorni rendenon più necessario il ricorsoa fonti indirette e a vie traverse: con la loro azione coraggiosa, politicamente esemplare, gli studenti di Pechino hanno costretto tutti a scoprire le carte. In molti sapevanoquel che rischiavanoma hanno ugualmente adempiuto il compito che da un secolo si è assunto la gioventùcolta, rinnovando ai fini della riforma e della rivoluzione la funzione dei letterati onesti: dire la verità per il bene del paese senza timore della morte. Il messaggio degli studenti non è più indirizzato_verso l'alto e non si ferma ai confini pur vasti della Cina, come durante l'impero, ma è diretto al popolo e al mondo intero.Chiedono che noi tutti loraccogliamo e locomprendiamo, perché ci riguarda. · I soli a capirlo sembra siano i giornalisti al serviziodei centri di potere in Occidente: mostrano spesso un'ignoranza totale delle cose cinesi, ma possiedono un istinto sicuro su come rigirarle sec_ondogli interessi dei loro committenti. In questo caso il capovolgimentodella realtà sembrava impossibile, tanto i fatti parlano chiaro: ma niente è impossibileper chi - direbbe un cinese - non conosce la vergogna. Da dieci anni vanno esaltando I' attualegovernodi Pechino e il suonume tutelare DengXiaopingcome i grandi riformatori, gli amici dell'America, quelli che finalmente hanno portato la Cina sulla via dell'Occidente e con la privatizzazionenelle campagne e il reingresso nel mercatomondiale l'hanno svincolata dal dispotismodi MaoZedonge dal medioevo del socialismo, facendone un paese avviato allo sviluppoe alla prosperità, in grado di cominciare a godere, finalmente libero, dei nostri consumi culturali che sono la gioia della vita. Ora, una popolazione intera, in tutti i suoi strati dagldnteressi differenziati e anche divergenti, insorge compatta e ostinata contro il governo patrocinato da Deng: ed ecco questo governo tentare ripetutamente la repressione manumilitari, senza esito; e rendersi autore alla fine di una strage di popolo inerme nel cuore della capitale, di proporzioni senza precedenti perfino sotto i signori della guerra degli anni Venti, e paragonabile per numero di morti forse solo a quella degli operai e dei sindacalisti·di Shanghai nel 1927 ad opera del Guomindang. .Bene, gli stessi giornalisti, di fronte alla catastrofe della politica da loro esaltata fino a ieri e·alla stragemessa in atto dai dirigenti sostenuti da loroe dai loro padroni, hannoil coraggio di scriverecon tutta tranquillitàche quanto avviene a Pechino è opera dei "conservatori" (nome finora attribuito agli avversari di Deng, vecchi comunisti non meglio definiti - non si sa se seguaci di Mao o suoi accaniti avversari), e che l'àzione di quella che lo stessoMao Zedong aveva chiamato "dittatura fascista" è prova dell'impotenza e della criminalità del socialismo. Posizionicosì indecenti non andrebbero neppureprese inconsiderazione, se non fosse che, occupando quasi tutto lo spazio fisico della comunicazione, condizionano l'opinione pubblica, al punto da rendere vano, o quanto meno inquinare qualunque proposito di discorso pulito. Ma vediamo ugualmente di tentarlo. Attribuire alla follia le azioni criminose di uomini di goyerno è un espediente facile quanto insulso. Attribuirle ad insipien4 za politica e incapacità può essere più sensato, ma esaurisce solo un piccolo quoziente del problema. Certo, governanti più abili in Cina avrebbero ,trovato qualche soluzione di provvisorio compromesso prima di giungere a certi estremi spaventosi. Ma sarebbemutata solo la tattica nel gestire un conflittoprofondissimo fra popolazione cittadina e classe dirigente. La sostanza del conflitto sarebbe rimasta. Come rimane, anche dopo le stragi. La classe dirigente è burocratico-mandarinale. Dalle rivendicazioni degli studenti alla satira nelle opere letterarie, dagli slogan popolari alla tormentata insoddisfazione espressa in alcuni dibattiti pubblici, in film, in serie televisive (le sole fonti dirette o indirettedi cui disponiamo) emerge che il rifiuto di consenso ai governanti da parte dell'opinione nel suo complesso non si motiva dalla loro politica economica:ancora troppo socialistama dal loro dispotismo politico; il quale, congiunto a una ..liberalizzaz4one"economicà incondizioni di grande povertà, produce un intreccioperverso di legami fra il mondo del capitale finan!:iarioe laburocraziaal potere, agli alti livelli; e di legami fra iLpiccoloaffarismoe ipiccoli burocrati, ai bassi livelli. Quellache con un termine riduttivo viene chiamata corruzione non è un fenomeno marginaledi disonestà, ma è strutturale al quadro economico-politico. Riproducequanto la Cina ha ben conosciutonegli anni Trentae Quarantasotto il governoapartito unicodei nazionalistipiù omenooccidentalizzantidelGuomindang. Granparte degli intellettuali e degli operai cinesi ne sono consapevoli. Come è possibile che dopo la guerra civile durata oltre vent'anni e conclusa con la catastrofe del Guomindang, la lunga rivoluzione contadina, l'impegno di un popolo intero per costruire il paese su principi nuovi con un'estrema pulizia e una diffusa democraziadi base, si giungaalla ricostituzione, e nuovamente al marciume, di quel capitalismo burocratico che pareva non solo sconfitto ma ormai privo di radici, alla conseguente politica impopolare, e ancora a sintomi tremendi di guerra civile? L'unità su cui si fondòai suoi inizi laRepubblicaPopolare era reale nei confronti del mondo esterno. Per "mondo esterno" non intendosologli aggressori giapponesi mal' interocontestodel capitalismo-imperialismo occidentale - coincidente, come area, con quello che oggi viene chiamato il Nord del mondo. Da quel contesto, e non solo dal Giappone, i cinesi si erano liberati con la guerra di resistenza seguita dall'ultima fase della guerra civile. Nonostante la grande eredità passata e per larga parte a causa del colonialismo, la Cina era ridotta in quel contesto alla condizione di miseria e subalternità propria delle aree mondiali di capitalismo non metropolitano. Avere scelto come punto di partenza e come base la rivoluzione contadina ha voluto dire assumere per ilpaese intero la condizione subalterna e da quella procedere (penosamente, faticosamente) alla propria liberazione. Questo programma fu vincente, con difficoltà, durante la resistenza antigiapponese, ed ebbe un successo travolgente negli anni successivi, quando- per usare.l'espressione di Jack Belden - "La Cina scosse il mondo". Le conseguenze di quelle vittorie duraronoa lungo nellaRepubblica Popolare, e ancora oggi determinano largamente l'ethos collettivo. E tuttavia fin dai primi anni del nuovo Stato, superata la fase di riassestamento, fu chiaro che la sola unità era quella riflessa dalla comune resistenza all'imperialismo: la Cina si era "alzata in piedi", era una nazione. Ma i rapporti interni erano conflittuali su più piani e suscettibili
di divenirlo all'estremo. Fra tutti, era (e resta) primario l'urto fra città e campagna. Per i ceti medi e colti la mozione fondamentale è al superamento rapido dello stato di inferiorità economica e culturale che umi1ia i cittadini cinesi (pur col loro grande passato) nei confronti dei loro omologhi nel mondo occidentale. Ma indipendentemente dalle diverse linee di politica economica successivamente adottate, lo sviluppo economico accelerato, presupposto per il soddisfacimento pacifico di quelle aspirazioni, si rivela inattuabile principalmente per la cronica scarsità di capitali da investire. La massa enorme dei contadini per grari parte riesce a malapena ad assicurarsi la sopravvivenza (le zone ricche costiere, del basso Yangzi e quelle suburbane non fanno testo), è ignorante, semianalfabeta, esclusa ruùl'informazione, e la prospettiva di un miglioramento globale e decisivo delle sue condizioni è a lungo termine. Ai ceti medi e colti delle città questa immensa campagna appare come una palla di piombo al piede nel cammino verso la modernità. Da parte loro, i contadini, che per millenni sono stati strumento al fiorire della civiltà urbana e bestie da soma dei letterati, conservano verso i cittadini, e più verso i cittadini colti, l'invidia e la rivolta latente del servo. A misura che ci si allontana dal periodo eroico di -Yan'an, quando la rivoluzione agraria e la lotta armata nelle province del Nord-Ovest parvero rovesciare la fisionomia di questa massa "arretrata", i contadini si mutano sempre più, agli occhi dei ceti colti, in un'immensa Vandea: anche quando, come è frequente, i giovani istruiti, gli studenti, vengono dalla campagna - ma se ne distaccano. Mentre i contadini sono esclusi da quel tanto di "stato sociale" che gli abitanti delle città hanno garantito. Il partito comunista negli anni Cinquanta e Sessanta si faceva arbitro e mediatore di questa e deHealtre contraddizioni governandole d'autorità dall'alto. Ma, per un verso, la sua politica era Foto di Vu Zong Hoi Vi (G. Neri). ILCONTESTO incerta perché a sua volta aveva ereditato al proprio interno la divisione fra l'anima cittadina-terzinternazionalista e quella guerrigliera-contadina; per l'altro verso, l'autorità dei suoi funzionari (delegati secondo la dottrina, e in astratto, di una classe operaia poco presente nel primo quindicennio) cresceva e diventava via via più assoluta e arbitraria: si riformava la burocrazia al di sopra del popolo. La politica di Mao Zedong è stata uri lungo e deliberato oscillare fra fa messa in evidenza delle contraddizioni sociali, anche provocando l'esplosione dei conflitti, e il ritorno all'ordine, sotto la guida del partito. Questa politica delle "ondate" e dei "zigzag" mirava a garantire una dialettica fra governanti e governati e fra i vari strati della società, in assenza di strutture istituzionali entro le quali lasciarla svolgere. Ne risultava un equilibrio sempre più precario, mentre non era impedi~o. di fatto, il rafforzamento progressivo della nomenklatura e delle sfere di potere (per esempio cultural-accademico) ad essa adiacenti. La decisione, presa ali' inizio della rivoi uzione culturale, di lasciare libero sfogo alla protesta popolare per troncare l'ascesa del dispotismo burocratico aveva il carattere di una pericolosa scommessa, come -tutte le scelte rivoluzionarie, quando ogni altra via d'uscita era sbarrata. Ma i conflitti entro la società erano troppo acuti perché si potesse ricostituire una sorta di unità nazionale contro il potere burocratico. Quest'ultimo, diviso in fazioni, seppe giovarsi della rivolta per trasformarla in disordine e trame vantaggio. Morti Zhou Enlai eMao Zedong, si riaffermò con forza nel suo complesso, ma dovette ricorrere a un mezzo colpo di stato per eliminare dal proprio seno le minoranze che in alcune grandi città mantenevano un rapporto con gli operai. Questi ultimi infatti con lo sviluppo industriale erano cresciuti nel numero e nel grado di coscienza, si presentavano ora come eredi e possibili continuatori della rivoluzione, verso un principio di democrazia socialista. Era la minaccia più sostanziale al potere burocratico. Per sopravvivere, questo doveva troncarlo alla radice, e cercare ap-
IL CONTESTO poggio in altri strati della società. Puntò allora, da un lato, sulla borghesia cinese ai margini della Repubblica Popolare (Hong Kong, Singapore, Taiwan, Filippine) detentrice del capitale finanziario, in grado di favorire un certo sviluppo economico e farsi tramite col mercato mondiale; dall'altro lato, favorì nelle campagne l'arricchimento di una minoranza di contadini. Ne è risultato l'avvio della riproduzione ammodernata del sistema di capitalismo burocratico dei Guomindang al quale ho accennato sopra. L'aspetto più nuovo sta nella presenza, in luogo dei vecchi proprietari terrieri, di una massa relativamente numerosa di contadini arricchiti. L'operazione ha rigettato la grande maggioranza degli abitanti delle campagne nello stato di povertà, ignoranza, emarginazione senza speranza. Con crescente disoccupazione e riformarsi del vagabondaggio di massa, che preme alle periferie delle città. Reclutati nell'esercito popolare, i figli ignoranti e ignari dei contadini vengono impiegati, se del caso, come strumento del capitalismo burocratico per reprimere il popolo delle città. Anch'essi vanno contati fra le vittime della tragedia di oggi, e le più degne di pietà perché incoscienti. Gli scrittori, gli artisti, e gli altri settori colti non mandarinaPechino, 13 maggio: il documento d~gli studenti cinesi In questo caldo mese di maggio, stiamo facendo lo sciopero della fame. Nell'età più bella della gioventù, dobbiamo lasciare dietro le nostre spalle tutte le cose belle e buone, per quanto riluttanti e di malavoglia. Tuttavia, il nostro paese è giunto a un punto cruèialé: i prezzi aumentano, prevalgono i guadagni pubblici illeciti, il potere politico domina tutto, i burocrati sono corrotti, molte persone oneste con ideali elevati devono emigrare per povertà, la previdenza sociale sempre più IPcaotica. .. 6 È un momento di vita o.di morte per il nostro paese. A tutti i compatrioti, a tutti coloro che hanno una coscienza: per favore ascoltate le nostre grida. ; Si tratta della nostra terra. Si tratta del nostro paese. Si tratta del_nostro governo. Se noi non protestiamo, chi lo farà? Se non agiamo, chi lo farà? Anche se le nostre spalle sono ancora giovani e deboli, anche se la morte è un fardello troppo pesante per noi, andiamo. Dobbiamo andare quando la storia ci chiama. Si descrive il nostro più puro entusiasmo patriottico, il nostro spirito totalmente innocente come se creassero "disordine", come se avessimo "ulteriori motivi" e come·se fossimo "strumentalizzati da un manipolo di persone". Noi vorremmo difenderci di fronte a tutti i cittadini onesti, di fronte a ogIÙ lavoratore, o contadino, soldato, comune cittadino, intellettuale, personalità, governo ufficiale, poliziotto, e di fronte a tutti coloro che ci accusano di commettere crimini. Per favore, mettetevi \\}lamano sul cuore e interrogate la vostra coscienza. Che genere di crimine avremmo commesso? Stiamo fomentando disordine? Ci opponiamo alla divisione in classi, manifestiamo, ci prepariamo a morire - che significa tutto ciò? Eppure ci si è presi gioco dei nostri sentimenti. Noi abbiamo detto la verità con lo stomaco vuoto ma siamo stati picchiati dalla polizia. I rappresentanti degli studenti si sono inginocchiati a invocare la democrazia, ma nessuno li ha presi sul serio. Le nostre richieste di dialogo su un piano di parità sono state più volte respinte. I capi degli studenti stanno affrontando pericoli. Che possiamo fare? La democrazia è un ideale elevato della vita umana. La libertà è un diritto dell'umanità. Ma qui per ottenerli dobbiamo sacrificare le nostre giovani vite. È questo l'orgoglio della nazione cinese? li, hanno ottenuto qualche concessione, modesta ma da principio accettata come risarcimento delle umiliazioni subite dalla precedente gestione burocratica nella versione maoista, che indirizzava verso di loro lo scontento popolare, facendone i capri espiatori di ogni difficoltà e denunciandoli come antagonisti del popolo contadino. La moderata soddisfazione iniziale si è mutata di nuovo in scontento, giacché la funzione loro assegnata è quelfa di mandarini di second'ordine, privi di autonomia e subordinati alle superiori gerarchie. Ma le strumentalizzazioni del potere politico sono possibili perché il conflitto di fondo resta nella società, come ho detto, fra gli abitanti delle città (dagli intellettuali agli studenti operai) e l'immensa miseria del popolo nelle campagne. Sembra qu1tsiche all'interno dell'universo cinese si rispecchi il coriflitto latente in tutto il mondo, fra il Nord metropolitano e il Sud periferico. D'al.- tra parte, l'intera Cina, incluse le sue città, è parte del Sud del mondo. Tanto più tragicamente contraddittoria è la condizione della popolazione urbana cinese e, per l'altro verso, della campagna povera - punto cruciale di ogni problema ma ancora lontana dalla coscienza di se stessa. Lo scioperò della fame è la scelta di chi non ha altra scelta; e questo è un fatto da tener presente. Stiamo combattendo per la vita con il coraggio di morire. Ma siilmo ancora troppo giovani, siamo troppo giovani. Madre Cina, per favore guarda con serietà ai tuoi figli e alle tue figlie. Anche se la fame sta deturpando il loro giovane volto, quando la morte si avvicina, puoi restare indifferente? Noi non vogliamo morire, vogliamo vivere. Siamo nell'età più felice della ntstra vita. Non vogliamo morire, vogliamo studiare sodo. La nostra terra è ancora povera, non dobbiamo affrettarci a lasciarla. No. Non è la morte che vogliamo. Se tuttavia la morte di una sola persona può rendere migliore la vita di molti e aiutare la nostra patria a diventare più prospera e forte, noi non abbiamo il diritto di sfuggire alla morte. Cari genitori, non siate tristi se stiamo morendo di fame. Cari parenti, non vi si spezzi il cuore se noi diciamo addio alla vita. Abbiamo una sola speranza. Che tutti noi si possa vivere una vita. migliore. Abbiamo solo una difesa. Non dimenticate per favore che non è proprio alla morte che noi tendiamo. La democrazia non è questione che riguardi poche persone. La battaglia per la democrazia non può essere vinta da una sola generazione. La morte è in attesa: Quando una persona giace malata, le sue parole portano fortuna. Quando un cavallo sta morendo la sua voce suona triste. Arrivederci, amici, state bene. La morte e la vita hanno la stessa lealtà. Addio, amore, stai bene. Non vorrei separarmi da te, ma devo partire. Addio, genitori, dimenticatemi. Vostro figlio può solo scegliere tra la lealtà alla nazipne a l'amore filiale. · Addio, mio popolo. Per favore concedici di dimostrare la nostra fedeltà in questo modo inevitabile. Il giuramento che stiamoper scrivere con le nostre vite renderà più chiaro il cielo della nostra repubblica. Stiamo facendo lo sciopero della fame per protestare contro l'atteggiamento dei governo, indifferente nei confronti degli studenti, per protestare contro il , . gov~rrioche non vuole dialogare con gli studenti, per protestare contro il governo che definisce "disordine" il presente movimento studentesco e pubblica notizie deludenti. Noi chiediamo: 1) che il governo cominci immediatamente un sostanziale dialogo dire_ttocon la Delegazione per il dialogo degli Studenti Universitari su un piano paritario. 2) che il governo riabiliti il presente movimento studentesco e faccia una giusta ritrattazione, affermando che si tratta di un movimento patriottico e democratico. (Dall' "Hong Kong Standard", martedì 25 maggio 1989; trad. di Marina Sozzi) f
LETTERE la 11Repubblica"dei laici, ovvero: i nuovi martiri Filippo La Porta C'è stata recentemente una imbarazzata ripresa di discussione aproposito dellaicismo. Qualcuno ha proposto perfino l'abolizione. deltermine"laico",conlasuafatale caratterizzazione elitaria e settaria. Q}ielloche stupisce di più è che in Italia nessuno vuole essere preso per ciò che è. Se, ad esempio, uno strarùero, ignaro delle cose del nostro Paese, avesse sfogliato "Mercurio" (supplemento culturale di "Repubblica") del 22 aprile scorso, si sarebbe immaginato uno scenario piuttosto movimentato, in cui una minoranza perseguitata conduce un 'intrepida lotta in nome della libertà di pensiero e dei principi dell' 89. In prima pagina si leggeva infatti il titolo Noi laici indemoniati, con un rimando a due articoli interni (Risposta di un laico dall'inferno eNel grande rogo del Sabato). Oggetto: le polemiche del settimanale di CL, "Il sabato", nei confronti del laicismo è del quotidiano di Scalfari. Perfino il lettore più smaliziato, avvezzo a mimetismi di ogni sorta, ha un attimo di smarrimento. Macome?Ungiornalecheèespressione di un potente gruppo finanziario, cheèdiventato l'organodella cultura dominante in Italia, che ambisce a dare la "linea" a partiti e governi (qualche volta con successo), che plasma giorno per giorno l' òpinione e i gusti del nuovo ceto medio, trasformato in un foglio di opposizioneminoritaria, vittima di roghi e di intolleranze, bersaglio di crociate e persecuzioni. La razza che era padrona, ancorché illuminata, diventa razza martire. A ben pensarci il giornale di Scalfari dovrebbe essere riconoscente ai battaglieri ciellini. È grazie a loro infatti che gli intellettuali di "Repubblica" (un fronte in verità sempre meno compatto) possono provare il brivido di sentirsi all'inferno, maltrattati e vilipesi. Un'emozione unica. Un' esperienza mai vissutaprimad'ora. La vertigine del potere e l'ebbrezza del- !' anticonformismo. Siamo ben oltre l'evangelico "gli ultimi saranno i primi". Qui si è, nello stesso tempo, primi e ultimi. Il re non è nudo, come qualcuno forse si era augurato,mavuoleindossàreipanni dell'ultimo dei sudditi, perdipiù ingiustamente perseguitato. Semplicemente: voler essere tutto! Un sogno arcaico, premodemo, degno di un sovrano orientale. Il senso della misura, così caro alla tradizione laica, sembra poco congenialeainostrialfieridellibero ·pensiero. Paolo Guzzanti, adesempio, dà proprio l'impressione di credere di essere davvero un continuatore ed erede dell' illumirùsmo (cosìcomegliHare-Krishnasisen- • tonoprobabilmente depositari dellagrande tradizione induista).Chissà, forse si è convinto che qualcosa dell'esprit degli enciclopedisti, anche solo una minuscola fiammella, aleggimisteriosamentenellasua prosa effervescente. Non discuto la qualità giornalistica dell'articolo, o il suo valore informativo. Però la certezza di essere un autentico martire laico, oggi proscritto e_ forse domani lapidato, porta a una sorta di spavalderia vittimistica, a un tono sovreccitato. Leggiamoche secondo i khomeinisti di CL tutti i laici "andrebbero sbudellati, passati e fritti dorati, sopra e sotto". Ecco, questa squisita iperbole mi sembra in qualche modo rivelatrice, involontariamente autodescrittiva. Tutto lo stile dell'articolo infatti si sforza tanto di essere brillante, di ricoprirsi di una patina dorata, ma emana un inconfondibile odore di fritto. Paolo Flores, cui viene demandato il più impegnativo compito di chiosare il filosofo Augusto Del Noce, mostra indubbiamente minore baldanza. E poi il tema è, a ben vedere, sconfinato, anzi, come si dice, "complesso"(illumirùsmo, cristianesimo, borghesia, modernità). Non si può pretender p-oppo da un articolo di giornale. Flores è un'anima problematica, pensosa, spesso tormentata. Però sembrache n9n lo sfiori mai un dubbio a proposito di un punto decisivo: forse la tradizione a cui si ispira si è interrotta, è divenuta irriconoscibile. Chissà, forse lui non è precisamente Voltaire, e Scalfari non è Federico II. Forse quei nobili concétti, quei termini così suggestivi, marùpolàbiliall 'infinito, consumabili a piacimento da quasi tutti, si sono àllontanati da noi irreparabilmente. È davvero possibile discorrere di eguaglianza, solidarietà, libertà, nell'Italia del 1989, così, come se niente fosse? E avendo presente, come nemico unico o principale, il fanatismo religioso (sul quale peraltro Flores ha scritto su "Micromega" pagine assai penetranti)! Qualcosa è cambiato, il mondo sembra essersi capovolto. Il bello è brutto e il brutto è bello, come dicono le streghe nel Macbeth. Possiamo anche rivendicare i valori dell'individuo e del conflitto. Se però è assai dubbio che CL incarni l'essenza del cristianesimo, sembra altrettantodubbio che "Repubblica" abbia raccolto dal fango le consunte bandiere del laicismo. È giusto riaffermare che aspiriamo a "una cittadinanza effettivamente realizzata per ciascuno". Ma chi avrebbe l'animo di dissentire? Il punto non è questo. Come non è quello di rintracciare puntigliosamente le radici della attuale ideologia yuppie (se laborghesia laica ci l'ordalia medievale). Su questo piano è possibile dimostrare tutto e il contrario di tutto. Certo, ci appassiona di più la ''liberazione" della "comurùone", ma non sarebbe sempre il caso di specificare, anche tra noi laici: liberazione da chi, e per che cosa? Il fatto è che, nonostante certa retorica, un tantino dimarùera, sulcarattere provvisorio e relativo dei nostri fini (ormai siamo adulti, sappiamo bene che il senso della storia è sempre esposto al fallimento...) qui non si prende abbastanza atto di un fallimento che a quanto pare è già avvenuto, e che riguarda aspetti non secondari della nostra stessa civiltà. Si ammette malinconicamente che le promesse del cosiddetto "disincanto" sono state disattese. Già, ma non si tratta di un semplice incidente di percorso, facilmente evitabile con un po' di buona volontà. Cosa prometteva questo "disincanto"? Un mondo giusto, più tollerante, magari riscaldato da una religione dell'umanità, sobria e scevra da fanatismo caratterizzata da "un rifiuto di fedi, superstizioni, autorità, miti". Ma siamo sicuri che tutto questo basti?Nonèchel'uomohasempre bisognodiqualchemito,peròoggi siamo tutti più "disincantati" senza essere più giusti e più tolleranti. IL CONRSTO Potremo contrapporre alle visioni messianiche ed escatologiche inostri indomiti Sisifi, più o meno felici, i nostri fieri Prometei, ma a voltesembrachel'utopialaicarap- , presenti un modello irraggiungibile e astratto ben più del messaggio evangelico. E poi quegli ideali presupponevano una fiducia nella ragione o nella storia o nella natura umana ci inuna classe sociale, tutte cose che comunque non si possono più formulare in quei termini. L' occidentalismo sarà pure "un universo profondamente lacerato, contraddittorio antinomico", e, volendo, possiamo anchedistingu~e sottilmente tra "Occidente dei poteri" (èattivo) e "Occidente dei valori'' (buono). Però è singolare che siamo pronti a considerare il "socialismo reale" come prov'a insindacabile della infondatezza e criminosità della tradizione marxista, mentre con I"'Occidente reale" diventiamo possibilisti e attenti allesfumature" (a rigore, !"'Occidente reale" dovrebbe invalidare la tradizione greco-latina, e poi giudeocristiana, e poi borghese, illumirùstica e liberale ...). La stessa eredità dell'azionismo, a noi più vicina e qui più volterivendicata, nonapparecosì univoca. È proprio lì che vanno cercati gli anticorpi al "male oscuro" del trasformismo? Per fare un solo esempioA!doCapitirù,chedique!- la esperienza fece parte in modo non marginale, criticava negli anrùQuaranta la trasformazione del- !' allora movimento in partitò (voluta dai La Malfa e da altri), con tutte le prevedibili conseguenze: machiavellismo, tatticismo, pura logica di potere e di autoconserv azione. Certo l'Italia non è immune da residui clericali, anche pericolosi, e da ingerenze pontificie. Ma, dal momento che nessuno, tantomeno chi scrive su '!Repubblica", rischia oggi una qualche forma di esclusione o di discriminazione nel di- ~hiararsi "laico", forse andrebbero evitati sprechi di indignazione, esibizioni di titanismo morale e di pathos da minoranza oppressa. Naturalmente sipuò anche discutere di tutto questo persuasi di esseregliimpavidicustodidell'Occidente verace (minacciato da nuove Inquisizioni). Forse non si darà un quadro della realtà molto attendibile, ma chi vuole potrà specchi.arsi in un paese immaginario, metaforico, analogo aquellodicer- • ti apologhi morali così cari agli illuministi. 7
-IL CONTESTO La politica al centro. e la politica in periferia Ma I partiti comandano davvero? E su che cosa? Luigi Bobbio • Un fenomeno su cui vale la pena di riflettere è la frequenza con cui compaiono, sulla scena politica italiana, temi di carattere trasversale rispetto ai partiti, ossia questioni che attraversano gli schieramenti politici, li scompongono e li ricompongono di volta in volta, dando luogo ad alleanze occasionali ed anomale. La trasversalità è un'ovvia caratteristica dei temi sollevati dai movimenti che proprio perché esterni (ed estranei) all'universo culturale e ideologico dei partiti tendono a frantumarli al loro interno. Così è avvenuto, nell'ultimo decennio, per le due grandi questioni che hanno fatto irruzione nell'arena politica: la questione femminile e la questione ecologica. Abbiamo assistito nel parlamento a fenomeni di solidarietà femminile trans-partitica e a clamorose rotture nell'ambito dei principali partiti sulla legge sulla violenza sessuale. Sappiamo del resto come la "frattura ecologica" tenda a riprodursi in modo più o meno accentuato in tutte le formazioni politiche. È significativo che i raggruppamenti politici· che hanno affidato la loro identità più a specifiche tematiche che a una data posizione nello schieramento politico, abbiano assunto la trasversalità come una loro bandiera. I verdi hanno rifiutato di collocarsi lungo l'asse sinistra-destra; i radicali, fin dai tempi del divorzio, si sono battuti per scompaginare le divisioni partitiche esistenti e continuano a riproporsi come forza trans-partitica con la politica della doppia tessera e la distribuzione delle loro candidature in liste altrui. Ma il fenomeno della trasversalità non riguarda soltanto questi casi noti ed espliciti. Si ha piuttosto l'impressione che la compattezza interna dei partiti e delle loro alleanze ufficiali sia continuamente messa a dura prova di fronte alle scelte concrete. Che si tratti dell'ambiente o della sanità, della politica energetica o dell'ora di religione, della droga o del condono edilizio, all' apparire di un problema o della necessità di una scelta i giochi si riaprono e si sviluppano ogni volta lungo percorsi variabili ed inconsueti. Del resto tutte le grandi lobbies agiscono da sempre trasversalmente, o almeno più trasversalmente che possono, e spesso con indubbio successo. Ci si può chiedere come è possibile conciliare questo fenomeno con l'immagine che tutti abbiamo dei partiti come i protagonisti assoluti del gioco politico. Nessuno dubita che viviamo in un regime di partitocrazia, di strapotere dei partiti (e delle loro segreterie) tanto sulle amministrazioni pubbliche quanto sulla società civile. Com'è possibile che i partiti rivestano quel ruolo dominante, che non possiamo non riconoscergli, e sian9 nel contempo scomposti e attraversati dalle mille questioni concrete che devono affrontare? I partiti comandano o sono comandati? Molto dipende dal punto di osservazione in cui ci poniamo. Normalmente la nostra attenzione si concentra prevalentemente sul grande palcoscenico su cui si celebrano i riti della politica. Godiamo, su questo aspetto, di un'informazione per lo meno ridondante. Conosciamo le strategie di alleanze e di contrapposizione, le minacce e le offerte, le mosse e le contro-mosse; siamo abituati (con il generoso aiuto di autorevoli commentatori) a interpretare i sottili segnali che i leaders dei partiti si scambiano l'un l'altro. E se spesso il gioco ci annoia, non possiamo tuttavia non • riconoscere ai partiti una posizione di indiscussa centralità: fanno e disfano i governi nazionali e le giunte locali in base alle loro strategie elettorali di breve periodo, piazzano i loro uomini in tutti gli anfratti del governo e del sottogoverno, gestiscono la cosa pubblica in base ai propri interessi privati. Appaiono insomma come soggetti forti, determinati, potenti. Ma esiste anche una faccia meno visibile della politica che i mass media non ci aiutano sempre a penetrare. Si tratta dei processi attraverso cui vengono concretamente formulate le politiche pubbliche, vengono compiute scelte tra le possibili alternative e vengono asshnte le decisioni che riguardano la collettività. Se ci poniamo da questo punto di vista, il quadro tende a cambiare radicalmente. Quando infatti analizziamo i processi che conducono alla formulazione delle politiche pubbliche in Italia, ci accorgiamo che il contributo dei partiti politici è per lo meno ambiguo. Da una parte è indubbio che vi è una fortissima propensione nel sistema politico italiano a politicizzare un gran numero di questioni, anche di importanza secondaria o di portata puramente amministrativa, sia nel governo nazionale che nei governi locali; il che significa che tali questioni vengono trattate in sedi ove prevale la partecipazione di attori di estrazione partitica (per elezione o per nomina). Ma d'altro canto, se seguiamo i percorsi attraverso cui le decisioni prendono corpo, dobbiamo riconoscere çhe spesso le scelte compiute dagli agenti dei partiti non sono facilmente riconducibili agli indirizzi generali delle rispettive formazioni politiche. Non solo a quelli ideologici, che sono per ammissione generale sempre più deboli, ma anche a quelli programmatici o di coalizione. In altre parole l'imputazione di determinate opzioni a specifici partiti può essere in molti casi una scorciatoia troppo semplice che descrive male l'effettivo processo attraverso cui si formano le decisioni. Potremmo dire che i partiti politici sono nello stesso tempo figure onnipresenti e sfuggenti. Sono in ogni luogo (decisionale) attraverso propri agenti che agiscono in loro nome, ma nello stesso tempo tendono ad assumere orientamenti variegati, spesso casuali, non sempre compatibili fra loro, quasi mai riconducibili con sicurezza a una qualche forma di progetto. Se i decisori sono partitici, i criteri da loro usati non lo sono sempre con altrettanta evidenza. Un modo per dar conto di questa ambiguità è quello di supporre, come fanno gli studiosi che si occupano di politiche pubbliche (1), che i partiti tendano a muoversi secondo logiche diverse quando affrontano scelte di alleanza, coalizione o schieramento, ossia quando definiscono e contrattano la loro posizione rispetto agli altri partiti (per esempio nella formazione dei governi nazionali e locali e nella spartizione delle nomine) e quando affronta- . no scelte di carattere sostanziale, ossia scelte di regolazione, di distribdzione di risorse o di sacrifici, di redistribuzione ecc. Si potrebbe anche dire che è possibile distinguere, sul piano analitico, ,due sfere di azione o due arene nettamente distinte: quella degli "equilibri politici" e quella della "politica sostanziale". Questa distinzione corrisponde a quella, comunissima nel dibattito politico italiano, tra scelte di schieramento e scelte di con-
tenuto.Un veroe proprioluogocomunedellapubblicisticaitaliana contemporanea è la lamentela sul fattoche i partiti privilegiano gli schieramentirispetto ai contenuti, le formule rispetto ai programmi.L'insistenza con cui laquestionevieneposta è la spia di unareale scissionetradue sferedistinteche,pur avendonumerosi punti di contatto, si presentanoprevalentementein modoseparato, obbedisconoa logiche e regole diverse. La primadifferenzarilevànte riguardal'ampiezza dell'ambito decisionale. Le sceltedi politica partigianahanno in genereun carattere fortementecomprensivoe centralizzato,sono prese - comesi dicenel gergopolitico- a360gradio a tuttocampo,tendono a essere gestite a un unico grande tavolo o anche su tavoli diversi ma fortementeinterdipendenti sullabase di calcoli complessi che tengonoconto degli equilibri tra i partiti in numerosissime istanze.Qualsiasialterazione ancheminimadegli equilibri in unpuntoqualsiasidel sistemaistituzionaletendea ripercuotersi a catena su molti altri punti. È sufficienteche un partitoo una sua corrente si sentaa un certo punto sottorappresentatoin qualche ambitorispettoallaquota di voti (elettoralio congressuali)di cui ritiene di poter disporre, perché l'assetto precedente venga messo in discussione.Si pensi per esempioalla ricorrenzaquasi.ossessivaconcui il tema delle giunteanomale riaffioranel dibattito politico nazionale, alla meticolosaprecisione con cui sono gestiti i processidi lottizzazioneo al fattoche qualsiasipiccolo spostamento in una consultazioneelettoraleanche parziale finisce per essere utilizzato, spesso con successo,da qualchepartito o da qualche correnteper ottenerequalcosa di più in tutt'altro ambito.Il giocopartigiano è condottoa tuttocampo,da unnumeromoltoristrettodi attori (le segreteriedei partiti e i capi-corrente) sullabasedi unparametrocondiviso(anchesetutt'altroche oggettivo),ossiala quotadi potere (misuratain terminidi voti)di ciascuno. La comprensivitàe la centralizzazionesono invece fenomeni del tuttoeccezionalinegli ambiti in cui si fa la politica sostanziale.Qui la regolaè piuttosto la settorializzazione.Le scelteche riguardano, diciamo, la sanità, la politica industriale, la scuolao l'ambiente vengono prevalentementegestitee maturate in abiti specializzatie decentrati lungo un filo che collega gli uffici studi dei ministeri, le commissioniparlamentari, i dipartimentidei partiti, i gruppidi interessespecificamentecoinvoltinel temasul tappeto, gli esperti.Ma anche quando le decisioni approdanoad ambiti più generalied investono il consigliodei ministri nel suo insieme o le aule parlamentari, la tendenzaprevalentè è a trattare le singolequestioniin modo separatocon scarse ripercussioni di un tema sulI'altto. La sfera della politica sostanzialeè basata . su una scarsa interdipendenza tra ambiti diversi o scarsa comprensività. Fanno eccezione le contrattazionidi carattere globale cheprecedonolaformazionedei programmidi governoe quelle che si svolgonodurante le verifiche tra i partiti della maggioranza. Oppuregli accordi di caratteregenerale tra governoe sindacatinelleareneneo-corporative.Maloscarsopesoeffettivodegli impegniprogrammaticitra i partiti e il debole ruolo degliassetti neocorporativi in Italia, mostrano che si tratta di eccezioni che confermanola regola Qui si direbbepiuttosto che sia la natura delle poste in giocoo dei problemida risolvereo dei conflitti socialipropridi ciascunasferapolitica,a conformarela retedecisionale in ciascunambito. Ciascun settore tematicocostituisce unasortadi campogravitazionale,cheattiraattori, interessi,competenze. Manonc'è solounadifferenzanell'ampiezzadellearene.Anche lepersone fisicheche partecipanoall'una o all'altra sonodiverse.Negli apparatipartitici si verificauna sortadi divisionedel lavoro tra "gli attivistidi partito" specializzatinel gioco partigiaIL CONTESTO no ed esperti negli equilibri e gli "attivisti di settore" che si specializzano nel trattamento di specifici problemi. Tale divisione del lavoroè resaesplicitaperesempiodallastrutturazionedeipartiti in dipartimentio in sezioni che tendorioa gestire inmodo semi autonomole sceltedel propriosettore,con contatti privilegiati con quegli apparatiburocratici, quegli interessi e quegliesperti di altri partitiche gravitanoattornoallostesso settore.I respon- .sabilidegli ufficienti locali deipartiti sonoattentissimial problema delle coalizioniin periferia, ma sono del tutto indifferentirispetto alle politiche perseguite dai loro esponenti nei comuni e nelle regioni. La possibilitàche gli attivistidi settoresianocatturatida lealtà, appartenenzeo interessinoncoincidenticonquelladelproprio partito è sottogli occhi di tùtti. Si pensi per esempio al classico conflittocheda sempreopponenell 'àm bitodel partitocomunista i politici di partito e i politici amministtatori nelle giunterosse. Ma anche nel caso delle Usi, che sono diventate emblematiche dell'invadenza partitocratica, il ruolo dei partiti è tutt'altro che univoco.Unaricercasull'universo degliamministratoridelleUsi piemontesi (2) ha confermato che effettivamente i membri dei consigli di gestionesono tutti di estrazionepartitica, mache se i partiti hanno il monopolio delle nomine non è detto che essi abbiano il monopoliodelle politiche nel campodella sanità.Anzi è risultato che molti amministratori di Usi vivono una situazione oppostadi isolamento,mancanzadi indirizzi,marginalitàrispettoai loropartitie chesonocostrettia "in_ventarsi"per proprioconto le scelte che devono compiere. È del resto altamente improbabileche i partiti siano in grado di garantire una qualche forma di coordinamentoo mediazione (non parliamodi indirizzoo di lineapolitica) sulle sceltesostan- · ziali tra le migliaiae migliaia di agenti dislocati nelle istituzioni più diverse.Anzi si ha l'impressione chepiù la presenzadei partiti nelle istituzionisi fapervasiva,piùproblematicadiventila ca- .pacità di coordinamentodei partiti stessi.Tutto sta a capire qual è la natura delle obbligazioni che leganogli agenti dei partiti rispettochi li hanominatio fatti eleggere.Si trattacertamentediobbligazionimoltovarie.Ma è probabileche tocchino solotangenzialmente e in punti marginali le scelte politiche di fondo che competono loro. È frequente per esempio che i responsabilipolitici di un assessoratoo di un ente pubblico siano più interessaDisegno di Dovid Scher. 9
ILCONTESTO ti a dirottare qualche prestazione secondaria verso specifici beneficiari, che a imprimere un effettivo indirizzo politico al loro settore. Non è escluso che in molti casi quello.che interessa veramente ai partiti è essere presenti, comunque. La conseguenza che più direttamente ci interessa in questa discussione è che le alleanze o le convergenze che si formano nella politica sostanziale sono di norma trasversali rispetto ai partiti o comunque non sono necessariamente omogenee con le alleanze che si formano nella politica partigiana. Se noi volessimo per esempio descrivere la geografia politica del consiglio comunale ·di Torino sulla base delle posizioni assunte dai vari conslglieri in oc·casione di specifiche scelte nell'ultimo quinquennio, dovremmo rinunciare quasi del tutto a riferirci alle distinzioni tra i partiti oppure tra maggioranza e opposizione. Le scelte di coalizione· compiute nel gioco partigiano (il pentapartito) vengono sistematicamente smentite nel gioco sostanziale, che si attua invece mediante fenomeni di composizione e ricomposizione di gruppi spesso con referenti esterni nel mondo imprenditoriale e affaristico che attraversano i partiti. Ciò che più conta è che le alleanze che avvengono nel gioco sostanziale non hanno visibili ripercussioni nel gioco degli equilibri: ad ogni impasse nelle scelte amministrative, la prima preoccupazione dei politici è quella di ribadire che l'alleanza di giunta non è in discussione, non ha alternative, proseguirà comunque. Il problema non riguarda ovviamente solo i governi locali. Fenomeni di questo genere sono frequenti anche nel parlamento nazionale dove la permanenza di una coalizione di pentapartito nel governo è compatibile con schieramenti di volta in volta diversi sia nelle commissioni sia in alcune votazioni in aula. Si pensi per esempio al fenomeno dell'inclusione dell'opposizione nelle decisioni parlamentari che rappresenta una costante della nostra storia repubblicana. · Ci si può chiedere se la segmentazione delle arene politiche sostanziali e la loro relativa autonomizzazione-rispetto ai partiti sia un fenomeno recente, legato alla perdita di una chiara fisionomia ideologica dei partiti e alla loro progressiva trasformazione in partiti pigliatutto. La mia impressione è che non si tratti di un fenomeno nuovo. È anzi probabile che esista una difficoltà permanente nei nostri sistemi politici a collegare le decisioni partigiane con le decisioni sostanziali. Indubbiamente però il fenomeno si sta accentuando. I partiti sembrano sempre meno in grado di garantire una coerenza nelle scelte sostanziali dei loro emissari e anzi si ha l'impressione che tendano sempre più a favorire la separazione dei due ambiti in modo da mantenere gli equilibri politici al riparo dalle scosse che avvengono nella sfera sostanziale. Quali conclusioni trarre da questa analisi? È abbastanza facile trarre una conclusione pessimista. Uno stile di governo settorializzato e trasversale diminuisce indubbiamente la trasparenza delle stelte. Se la riduzione della complessità nelle scelte sostanziali non è operata dai partiti che con tutti i loro difetti sono pur sempre noti e visibili, ma da reti più o meno specialistiche che li attraversano e congiungono pezzi di partito a gruppi sociali o af~ faristici, a corporazioni o movimenti, è chiaro che la formazione delle scelte diventa molto più oscura agli occhi dei cittadini. Quando essi votano per un partito o per un candidato non sanno mai ,bene per che cosa votano effettivamente. J\,18 non escluderei di poter introdurre anche una considerazione più ottimistica .. È ormai cons~eta tra i commentatori politici l'immagine di una partitocrazia onnipotente, una sorta di gabbia d'acciaio che imprigiona e soffoca la società civile. Il processo politico è descritto come un processo autoreferenziale che si alimenta circolarmente da sé. La mia tesi è che tale proprietà autopoietica si riferisca essenzialmente alla sfera che ho descritto come partigiana, nella quale si generano, si rompono e si ricompon10 gono gli equilibri, ma che quest'ultima intrattenga un rapporto debole o poco determinato con le arene in cui si compiono le scelte sostanziali che riguardano la colletti vi tà. La gabbia d'acciaio ha maglie più larghe di quanto siamo di solito disposti ad ammettere. I partiti sono sicuramente destinati ancora per lungo tempo a dominare il palcoscenico della politica. Ma le vere direzioni di marcia si stabiliscono probabilmente altrove. E se il maggiore potere di influenza è detenuto dai grandi interessi economici e dalle potenti (anche se piccole) corporazioni, non è detto che il gioco sia così chiuso come spesso pensiamo, quando ci limitiamo a concentrare lo sguardo esclusivamente sulla faccia visibile della grande politica. Note , Questo intervento è la relazione presentata al ;eminario "Formazione politica e partiti nell'Italia di oggi", Dipartim•ento di Studi Politici dell'Università di Torino, 5 maggio 1989. 1) Il riferimento è ai lavori di Bruno Dente e Gloria Regonini e in particolare al loro saggio Politica e politiche in Italia, in P. Lange e M. Regini, Stato e regolazione sociale, Bologna, Il Mulino, 1987. 2) B. Soggia, / politici nella sanità: una presenza discussa, in "Sisifo", n. 12, dicembre 1987. LETTERE Solidarismoe curiosità Andrea Berrini Solidarietà: questa sembra essere una delle parole chiave per la rinascita di una cultura della sinistra. È.una parola interessante: essere solidali significa avere degli interessi in comune e averne coscienza; costituire un blocco unico: dall'aggettivo solido. Solidarismo è, per estensione, "la tendenza o aspirazione a realizzare una convivenza tra tutti gli uomini, in cui tutti i membri si sentano spontaneamente solidali tra loro". O almeno, così lo definisce il Dizionario Italiano Ragionato, D'Anna, Firenze. Cioè: per essere solidali bisogna essere almeno in due, "solidali tra loro", appunto. Proseguendo nella definizione il D'Anna dice: "Una delle forme del socialismo utopistico". Mica male. Poi però c'è uno scarto: perché a questo punto solidarizzare diventa: "Mostrarsi solidale. Manifestare il proprio appoggio a una persona o a un gruppo di persone", E dunque: qui il soggetto è uno solo, che solidarizza con un destinatario della propria azione. E la frase che il D'Anna cita come esempio viene dalla storia della sinistra: "Gli intellettuali hanno solidariz?ato corr gli operai in sciopero". In effetti il solidarismo della sinistra appare spesso un solidarismo in cui un soggetto evidentemente più forte solidarizza con un destinatario più debole. E infatti i destinatari più recenti sono sempre fra i deboli: i tossicodipendenti, i poveri, gli immigrati dal terzo mondo. La sinistra, evidentemente, si identifica come una parte forte della società, in grado di solidarizzare. O meglio: quella parte della società forte che solidarizza con la società debole. Una volta si diceva: l'avanguardia politica. E mi sembra che siamo molto lontani da quello "spontaneamente solidali tra loro" che doveva -invece essere la definizione del solidarismo. A questo punto, per capirci qualcosa, mi piacerebbe indagare di più, su questa sinistra di forti solidali coi più deboli. E cioè: ma chi glielo fa fare? Voglio dire: ma da dove viene, alla sinistra o alle persone di sinistra, la necessità (o, come si dice: il bisogno) di solidarizzare? Se riesco adareunarisposta a questa domanda ottengo due risultati: prima di tutto capisco quali sono i bisogni, e quindi i valori, che muovono davvero questa sinistra. E poi, visto che ha dei bisogni irrisolti, la scopro un po' più debo- . le di quel che non sembrasse aprima vista: e un rapporto alla pari
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