vivenza) non li inducano a cedere e a ritirarsi. I più indomiti, e ne ho conosciuti tanti, continuano per un pezzo a tener testa all'orgia di moniti, di viscidi consigli, di persuasioni astute e di manesche esortazioni, che li convogliano sulle rotte del pragmatismo, della decenza media e del conformismo socialmente più remunerativo. Ma poiché il bambino, pur con le sue risorse, la sua intelligenza, la lucidità del suo sguardo, la pulizia del suo giudizio, vuole alla fine sentirsi confortato, nutòto, protetto, smette di insistere, ottunde l'istinto alla diversità che lo attrae e si adatta ai ritmi e agli obblighi della cultura che lo veste, gli dà il pane, la televisione e un letto. Storia antica, storia di sempre, si direbbe. E maestò e maestre; che di quella storia hanno chiare nel sangue le coordinate essenziali, si danno un gran da fare per dare il loro personale contòbuto alle sue repliche. Per questo in genere indossano panni curiali, mutrie ossequiose e praticano severità a volte spietate. Come tutti gli agenti delegati alla conservazione di una certa idea della società e gli esecutori di un compito rivestito dei crismi di un destino collettivo, sanno essere custodi solerti di principi e nemici più o meno cortsapevoli dei bambini. Perciò la maggior parte, col passare del tempo, entrano inpossessodi una rete di certezze che ingabbiano loro,ma soffocano soprattutto i più piccoli, che tentano di dibattersi nelle loro maglie, così improvvide e ingiuste verso bisogni di grandi respiri, di verità e di audaci tensioni infantili. La scuola, ovvero la fortezza dove spesso si incistano lepiù tenaci omertà di gruppo; il teròtorio, in cui possono con asprezza o mellifluità organizzarsi e fare razzie bande di adulatori e tòtasassi di coscienze infantili. Si dirà: perché scandalizzarsi? Semplicemente perché oggi la condizione del bambino ci pare più vulnerabile, bisognosa com 'è non di guardiani e di custodi interessati, ma di alleati a misura di esigenze e di bisogni reali. Perché trasformare la scuola dei bambini in appendice del conformismo collettivo, in agenzia fotocopia di famiglie impaurite, in cimitero dove seppellire le residue energie di una infanzia fatta a brandelli, alla stregua di un oggetto valutabile un.tanto al pezzo? La famiglia non sa che farsene, in questa fase storica, di figli riottosi, trasgressivi, dubbiosi. Per desiderare e avere figli trasgressivi e dubbiosi, bisognerebbe avere genitori trasgressivi e dubbiosi: figure e modelli oggidì (ma solo oggidì?) altamente improbabili. La famiglia, coacervo di interessi utilitaristici e pratici, ha oggi un disperato bisogno di certezze e cerca di legare tutti i suoi componenti in un patto di ferro. Nella sua cerchia, il condizionamento reciproco, l'omertà diffusa e il clima da guerra contro la ferocia esterna, non tollerano intemperanze o scarti. Ecco perché essa mette in atto tutte le possibili strategie per spennare in nuce i propri figli e infilargli addosso gli abiti impropri acquistati per loro sul mercato delle convenienze sociali. Perciò quando i figli, ossessionati, scappano, lo fanno dalla porta principale: per lo più col viatico di violenza e droga. Paradossalmente, è dunque a scuola che ai bambini può essere offerta l'ultima possibilità di sottrarsi almeno in parte al conformismo generalizzato, rafforzando se non altro la loro scorta di anticorpi e riconoscendo condizione di dignità alla voglia e al bisogno che hanno di "non starci", di non adattarsi ai suadenti e irresistibili dettami del "dover essere come tutti sono", se non si vuol perire di solitudine e di inedia esistenziale. Ovviamente dovrebbero poter contare su, e aver a che fare IL CONTESTO con, insegnanti sufficientemente inclini a praticare l'itineraòo privilegiato della franchezza, seminato di dubbi e di domande incessanti di verità. Pratica, questa, già lodata in altò tempi e qua e là ritornante nei recessi meno frequentati della storia. Ma indispensabile e urgente quanto mai oggi, che il rumore collettivo infittisce il silenziodei singoli e gli stampi ideologici ali' opera sfornano copie perfette che vengono distribuite su una larga fetta del pianeta. · Dunque insegnanti lucidi e dubbiosi, non adulti che scimmiottino i bambini e che finiscono per regredire per impotenza o confusione, infantilizzando vieppiù i piccoli che gli si affidano. Ma, soprattutto, insegnanti che non siano longa manus di interessi genitoòali. Il guaio è che gli adulti a scuola sono padri e madri a loro volta, e forte e inevitabile è la tentazione di vedere gli alunni con lo sguardo col quale si guardano i propri figli (almeno per quanto attiene ai sentimenti peggiori nei loro confronti, perché agli alunni potrebbe anche andare bene una maestra che avesse per loro la "vera" attenzione che essa riserva al suo rampollo domestico). Insomma, anziché addestrare i bambini (per principio ecomodo) alla passività collettiva, bisognerebbe tener desto in loro uno spirito critico che si eserciti sulla totalità dell'esperienza che attingono e sull'universo morale così com'essi lo concepiscono. Non è necessario, in genere, instillarglielo col sussidio di artifici. Si tratta, per lo più, di secondare il fortebisogno di vedere il mondo con occhi non appannati e il desiderio presente di additare i · luoghi dove re e istituzioni sfilano nudi e tronfi. Se maestri e maestre questo si proponessero come scopo primario del loro stare a scuola, ne guadagnerebbero in benessere la loro coscienza e la loro salute mentale, in primo luogo. E poi farebbero un favore non solo ai bambini, ma anche, per mezzo loro, a una società che si sclerotizza nelle ripetizioni, balbetta nei suoi luoghi comuni e si estenua nelle sue paure. Ma le lingue sono troppo legate, gli interessi costituiti ben consolidati, i mali e le inefficienze incancreniti e stabili. Nessuno si sogni di mitizzare i bambini o di organizzarli invista di personali crociate, caricandoli di aspettative e di pesi insostenibili ed estranei ai loro interessi particolaò. Pure, sui bambini conviene ancora scommettere. In casa, ripeto, la loro è in genere una causa persa. Resta la scuola, arena fatiscente nella quale provare a crescere con adulti che amino ancora giocaré, rischiare e puntare su coscienze non rassegnate o asservite al massacro di verità piccole e grandi. Fuga dalla scuola? Macché! I pochi che vogliono ancora restituire un senso alla malmenata e disossata pedagogia farebbero bene ad entrare di corsa negli spogli, bui e disadorni sacrari delle aule scolastiche. Oggi rendere i bambini critici avvertiti di un mondo che i loro padri, per ignavia o per interesse, mandano alla rovina, è il mestiere più sano che ci sia. Questa società, dedita all'esercizio di una virulenta ipocrisia, tesa con frenesia a compartimentarsi e a inchiodare gli armadi dei privilegi consolidati, così attiva nell'espellere dal suo seno i ritardatari, i deboli e i perdenti, si è preclusa quasi ogni vià di fuga e di scampo. Per sopravvivere mentalmente, si mente spudoratamente addosso, confortata dal coro prezzolato dei suoi officianti da quotidiani e da rotocalchi_P. er sopravvivere fisicamente, si fa superstiziosa e devota delle·correnti atmosferiche, perché conducano altrove le polveri radioattive di questa o quella centrale atomica, già saltata o in procinto di saltare in aòa. Dunque, maestri e maestre, aggiornati ma irreggimentati, 9
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==