STORIE/FRANCOBANDIERA Ionispartani, addirittura.La cosiddetta cultura industrialenon era nata da sola né alcuno si era dato con impegno a questa impresa maieutica. Gli orgogli per i grandi altoforni si confrontavano con quelli per le mitiche risorse del mare di casa, le cozze di Taranto. Ormai si era inpiù di cinquemila impiegatie quindicimila operai. Quasi altrettanti operavano nelle impresecbllaterali. Molti che si erano arricchiti, con l 'Italsider, ne parlavano come di una cosa estranea e lo stessosi faceva nelle scuole. Le attese fiduciosecontribuivano a separarele due realtà e a renderle incomunicabili. Insomma, l'acciaio e gli ùlivi avevano ritmi diversi di crescita. Anzi, molti ulivi non crescevano più. Una forte concentrazione operaia di provenienza agricola stentava a riconoscere nella città, come si era venuta formando, un valore trasmettibile.Tornavano nei paesidi provenienza appena finito il turno di lavoro. La stessa Italsider era lavoro e basta. Non c'era più nemmeno, o si era attenuato, l'orgoglio di appartenere alla "città siderurgica". Per chi lavorava, dunque, il Centro affidato a Giovanni B.? Teoricamente per più di quarantamila persone. Tanti erano i soci e i familiari. Ma chi li vedeva mai... Quindi, conveniva lavorare per la città. E se il termine non dava la nausea, per il Territorio. Il teatro lo organizzava il Circolo, da anni, insieme all'Amministrazione Comunale.Il suo cinecircoloera diventato il più affollatod'Italia, statistichealla mano.Pure di Taranto era il record, per il Centro Sud, delle presenze medie a teatro: quasi settecento spettatori di media a replica. Erano venuti in città i nomi più importanti, da Gassman a Bene e gli uomini della cultura daPaoloGrassi a Alfonso Gatto, daRafael AlbertiaZavattini. Gli artisti noti (ma anche i nuovi) erano stati ospitati nella bellissima galleria del Circolo. Di diversi orientamenti e tendenze, da Rauschenberga Vespignani, aManRay, Del Pezzo, Pomodoro, Mastroianni. Mostre da centro d'arte specializzato e grandi retrospettive: Cagli, Levi, Cantatore, Guttuso, Sassu... Stava tentando di avere la mostra di HenryMoore, dal Forte Belvedere di Firenze. Giovanni B. era un po' megalomane. Pensava in grande. Voleva utilizzare al meglio le necessità dell'azienda a farsi comprendere e anche un po' amare. Voleva lavorare senza prendersi tropposul serio, maprendendo sul serioquel lavoroche gli era capitato quasi per caso, esporsi, tentare vie, mettersi in discussioneogni giorno,collegarsi al restod'Italia, stabilire rapporti di lavoro con gli altri Enti di programmazione esistenti in città. Volevanon essere il capo di unCircolo, nemmeno del Circolopiù grande d'Italia. Gli attacchi che gli venivanodiretti erano dam.ettere nel conto. Doveva andare per la sua strada. Lavorare per un Suddiverso. Occorreva,per questo, non mettersi troppo inmostra, rifiutare gli inviti il candidarsi che gli venivano dai partiti (dal Partito) al tempodelleelezioni, stare dietrole quinte; divertendosi qualche volta a spiazzaregli artisti suoi ospiti. Un circolo aziendale. Che galleria poteva mai avere? Un salone forse, liberatodai tavoli del poker, almegliodel bridge. Trovavano invecequasi quattrocentometri quadratidi sale diesposizione, più di duecento con la moquette e i fari orientabili e la professionalità degli allestitori. Stava pensando troppo e tempo per pensare non ce ne era poi molto. Quelli della compagnia di Kemp, avevano lavorato duro dalla mattina presto e ora erano stesi, a torso nudo, sulle "chian72 che" del cortile dellamasseria, a ripararsi dal sole. Altri eranosotto gli ulivi. Gli ulivi, alberi filosofici, testimoniavàno una calma fatta di tempoaccumulato, stagionedopo stagione. Contorti o avvitati su se stessi come in un passo di danza, o spaccati in due da una antica folgore silvestre, o a nodi e a grumi a seguito di scoppi interni, sopportavanola pioggia e il sole, ilgelo e l'afa, connoncuranza sempreverde.Gli architetti che avevano costruito la nuova direzione dell' Italsider, ne avevanoprevisto l'impiego nonsolo ornativo, salvando un uliveto dalla distruzione. Per arrivare in ufficio si doveva passare attraverso un campo pieno di ulivi belli come sculture.Un percorso obbligato per giungere agli specchi della facciata, riflettenti il paesaggio. La natura come citazione, ma si poteva fare, era d'effetto. Gli piaceva quella grande masseria che era diventata la sua casa. Crescevano le margheritonegialle, in primavera, ai bordi delle strade d'accesso e i mandorli s'illudevano a fiorire al primo sole di gennaio. Se cercavi, nei campi, c'erano lecicorie, dopo le piogge d'estate, e la copularia viscosa, detta in volgare cime di ciuccio, e il finocchietto selvatico insieme allapiantinastentadell'origano. Anchequeste erbe, così simili alle memorievegetali della Lucania, erano valori da conservare. Si poteva essere in Europa con l'acciaio senza dimenticare le origini. Era statoun errore cancellare la civiltà contadina, ancdra più grande di quello che commettevano i tanti che continuavano a mitizzarla. Il problema generale, al quale tutti potevano recare un apporto, era equilibrare le spinte senza annullarle, anzi trasformandole in equilibri. Facile a dirsi... Certo ne occorreva, di tempo. Ma la città era lì, non fuggiva, pronta ad offrire i suoi tesori nascosti a chi fosse disponibile ad indagarla pazientemente, a studiare il suo passato per farlo fruttare. Giovanni stava preparando, insieme a studiosi locali, un libro sulle masserie e non era un controsenso che questa iniziativapartisse da una strutturadel1'Italsider. Se era, un controsenso, lo-erasolo in apparenza. Lui era un teoricodella coesistenza (acciaio e agricoltura,perché no?), insiemea pochi altri. Sarebberopiovute le critiche?Poco male, ci era abituato.Gli avevano già addebitato impegnoe disimpegno e tentativi di colonialismi culturali. Tanto valeva non prendersela e aspettare le vendette del tempo.Non lo avevano accusato di non voler portare il teatro in fabbrica? Ora erano tutti convinti che il teatro viene bene a teatro e che si "fruisce" meglio sulle poltrone che sui tubi Innocenti. Sì, poteva sembrare impossibile, ma c'era stato un momento in cui la difficoltà di fruizione era stata considerata, forse involontariamente, un plusvalore. Erano passati pochi anni. Ametà degli anni settanta (effetti ritardati del movimento sessantottesco) pure chi, come lui, aveva certezza di fedenelle ragioni della sinistra, aveva avuto di che riflettere. Troppagrazia. Dacché nonvenivanomai consultati, i sindacati finivanocoinvolti in tutte le questioni, proprio in tutte, anche in quelle minime. Si dovevano sentire, per esempio, per scegliere i film da proiettare al cineforum. Il Dibattito era una delle Grandi Parole e apparteneva ali' apparato linguistico che il movimento aveva prodotto. Rispetto alle cose, era un apparato modesto, comprendeva nòn più di un centinaiodi vocaboli. Parole plurifunzionali, chiare, comprensibili da tutti, da Cuneo ad Agrigento, parole un po' slogan per essere bene assimilate da personeche avevano saltato, e non per colpa propria, interi processi di scolarità. Tutto il rispetto, anche per questa questione. Era giustamen-
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