ALLA RICERCA DI AMORE SanMao traduzione di Elio Fois Vicino alla casettadove abito, setteo ottomesi fa, è stataaperta una piccolissima drogheria che vende tutto ciò che unopuò desiderare, e questo rende molto più facile la vita a noi che abitiaino lontano dalla città; ora non ho più bisogno come prima di fare tanta strada sotto il sole cocente portando borse e borsettine. In questa bottega de_voandarci più o meno quattro o cinque volteal giorno. Avolte vi corro a comprarezucchero o farina proprio mentre sto facendo da mangiare; in questi momenti in cui ho letteralmente il fuoco in casa, neanche a farlo apposta o la bottega è piena di clienti, o non hanno il resto, e insomma non riesco mai ad andare e tornare in dieci secondi come vorrei, il che non va d'accordo con un temperamento impulsivo come il mio. Dopo una settimana che vi facevo la spesa, proposi al giovane Saharawi che si occupava della bottega di aprirmi un conto: ogni sera avrei segnato quel che avevo comprato durante il giorno, e quando il conto sarebbe arrivato a circamille pesetas l'avrei regolato. Il giovanemi disse che doveva prima chiedere al fratellomaggioreemi avrebbepoi dato unarisposta. Il giorno dopodisse che sarebbero stati contenti se avessi tenuto io il conto, poiché loro non sapevano scrivere, e mi regalò un grosso registro dove avrei dovuto segnare io stessa i miei debiti. Fu così che io e Sharun ci conoscemmo. Di solito Sharun stava in bottega da solo, poiché suo fratello aveva un'altra attività e compariva solo per un momento la mattina e la sera. Ogni volta che andavo in bottega a regolare il conto, Sharun insisteva che non era necessario verificare il mio totale, e se io iniziavo a protestare, diventava subito rosso fino alle orecchie e balbettava imbarazzato, perciò in seguito non insistetti più per una verifica. Proprio.perché si fidava di me stavo particolarmente attenta nel fare i conti: mi sarebbe spiaciuto se si fosse verificata qualche discrep;mza e Sharun venisse rimproverato. Benché la bottega non fosse sua, sembrava curarsene molto; la notte non andava in città, dopo la chiusura, ma se ne restava seduto per terra in silenzio, da solo, a guardare il ciclo buio. Era un giovane docile e senza slanci, e dopo quasi un mese che il negozio era aperto non pareva essersi fatto alcun amico. Un pomeriggio mi recai al negozio a regolare il conto e dopo aver pagato, mi apprestavo ad and;rrmene,ma Sharun continuava a cincischiare sul mio registro a testa bassa, non come si fosse dimenticato di restituirmelo ma come se ci fosse qualcosa che doveva dirmi. Attesi un poco, ma continuava a starsene in silenzio e perciò gli tolsi il registrodallemani e dissi: "Bene, grazie, ci vediamodomani." All'improvviso lui sollevò la testa e mi chiamò: "Signora Guero..." Mi fermai e attesi che parlasse, ma tacque di nuovo, già completamente rosso in viso. "C'è qualche problema?" gli chiesi molto gentilmente, per evitare di aumentare il suo imbarazzo. "Vorrei ... vorrei pregarla di scrivere una lettera importante." Mentre parlava non osò sollevare gli occhi verso di me. "Come no! A chi devi scrivere?" gli chiesi. Era decisamente 66 troppo timido. "A mia moglie", disse con voce talmente bassa che quasi non sentii. "Sei sposato?"Nonme l'aspettavo, visto che Sharunmangiava e dormiva in bottega. Senza padre né madre, trattato con freddezza anche dal fratello maggiore e dalla sua famiglia, non avevo mai saputo che avesse una moglie. Annuì col capo, agitato come se mi avesse rivelato un segreto enorme. "E la mogl\e? Dov'è? Perché non la fai venire qui?" Avevo capito il suo stato d'animo: di sua spontanea volontà non voleva parlare, ma sperava che fossi io a fargli le domande. Continuò a tacere, si guardò a destra e a sinistra, e poi, dopo essersi sincerato che nessuno stesse entrando nel negozio, improvvisamente tirò fuori da sotto il bancone una fotografia a colori e me la cacciò in mano, abbassando quindi nuovamente la testa. Era una fotografia con gli angoli già consumati, raffigurante una donna araba abbigliata con abiti europei, di fattezze regolari, con due grandi occhi, ma con il viso non più giovane truccato pesantemente e vistosamente. Portava una sgargiante camicia scollata e senza maniche, una minigonna molto corta ormai non più di moda, di color verde mela, alla vita una cintura di anelli di ottone, le grossegambe calzate in unpaio di scarpe gialle coi tacchi molto alti, con le stringhe intrecciate al polpaccio e allacciate sotto il ginocchio. I capelli neri erano in parte raccolti in uno chignon sul capo, in parte lasciati sciolti sulle spalle. Su tutto il corpo erano appesi gioielli di poco prezzo, e teneva in mano una borsetta di finta pelle nera lucida. Già solonel guardare la fotografiasi rimaneva abbagliati, travolti senza possibilità di resistenza; figuriamoci se fosse comparsadi persona: con l'aggiunta del profumodella cipria, l'effetto sarebbe stato splendido. Guardai Sharun. Era in ansiosa attesa della mia reazione al- . la fotografia, e non ebbi il coraggio di deluderlo; ma proprionon riuscivo a trovare la terminologia adatta per elogiare questo "fiore arabo finto", e pcrdò mi limitai a riporre lentamente la fotografia sul bancone. "È molto alla moda, è veramente tutta un'altra cosa dalle ragazze Saharawi di qui." Non potei che dire così, per non ferirlo e allo stesso tempo per non tradire la mia coscienza. Nel sentire le mie parole Sharun fu molto contento e subito aggiunse: "È moltoallamoda emoltobella, qui nonci sonoragazze che le si possano paragonare." Mi misi a ridere e gli chiesi: "Dove si trova?" "Ora si trova a_Montecarlo." Quando nominava la moglieera come se parlasse di una dea. "Tu sei mai stato a Montecarlo?" Temevo di aver sentito male. "No, ci siamo sposati l'anno scorso in Algeria" disse. "Dopo sposati, perché non è tornata con te nel deserto?" Alla mia domanda il viso del giovane si incupì, perse la sua espressione animata. . "Sahida mi ha detto di tornare prima io, lei sarebbe venutanel
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