che troppi scrittori sedicenti maturi), è un riflesso di autodifesa. Il peggio, infatti, che possa accadere al nostro "lettore per vocazione", e a volte gli accade, è di perdere ogni gusto della comunicazione letteraria: quèlla degli altri come la sua propria. Egli ha dunque da preservare un minimo di freschezza; giacché, per scarc so che gli paia il valore di quel che scrive, la qualità anche del suo lavoro, come di quello dei creatori eh' egli ammira e serve, dipende da uno stato d'animo raro: l'ispirazione critica. Riscorrendo le mie cronache qui raccolte, mi sono accorto che, nello scriverle, avevo provato ad attenermi ad alcuni criteri costanti, seppure a me stesso non ben chiari. Vorrei formularli ora in modo esplicito, per aggiungere qualche segno al mio ritrattino, se non del "lettore di professione" in genere, di uno di essi in particolare, e come invito, per chi leggerà questo libro, a misurare quanto divide ciò che dico da quel che ho fatto. Nello scegliere via via le novità da commentare, ho creduto di muovere con piena libertà da opere italiane ad opere straniere, secondo l'interesse del momento, come se appartenessero tutte alla stessa letteratura. Una volta, uno dei miei. lettori, al quale pareva che io trascurassi gli scrittori italiani, mi accusò, riesumando un termine mussOliniano, di "esterofilia", ma poi, ricordando che io ero vissuto molti anni fuori d'Italia, mi condonò ipocritamente il presunto crimine. Credendo - a torto, come poi seppi-che l'accusa fosse almeno aritmeticamente fondata, gli feci osservare che i libri stranieri tradotti sono già una scelta ed è perciò più · facile che siano degni di nota. Comunque, ma per puro caso, in tre anni di milizia letteraria ininte~otta, le mie note su libri italiani e quelle su libri stranieri si sono press'a poco bilanciate nel numero; fatto che mi lascia perplesso, nel dubbio che qualche altro lettore, liberale invece che nazionalista, pensi che l'ho fatto apposta. A volte ho inteso d'essere indulgente, a volte severo. O meglio: a volte mi sono sentito tutto legato all'oggi, al senso d'un libro in una certa congiuntura e per una sua breve durata, e a volte, invece, autorizzato, dalla natura d'un diverso libro, a provarmi a giudicarlo in assoluto. Di questo divario ero ben consapevole. Ma per il critico del giorno per giorno, non c'è via di scampo, . né via di mezzo. Se egli risolvesse di applicare, all'analisi del bozzetto d'un principiante, il rigore con cui, in occasione d'una ristampa, riesamina un capolavoro mancato come Resurrezione di Tolstoj, non gli resterebbe che far fagotto, dopo esser caduto nel ridicolo. Giudice del presente uscendo dal presente, non può essernessuno, e meno degli altri il cronista letterario. Due pesi, dun~ que, e due misure. Una per il libro che ci è appena caduto sotto gli occhi, un'altra per l'opera già sistemata nella prospetti va della distanza o del tempo. Ma che questi due metri siano palesi, e fra es- · si vi sia comunicazione e scambio; e che applicare, in via d'eccezione, e l'uno e l'altro criterio a una stessa novità appena apparsa, sconfinando, magari solo per un accenno, dal contingente nel permanente, sia un segno della speciale fiducia che chi scrive ripone in un suo contemporaneo, oltre che nella preveggenza sua propria. Ho sempre sentito il dovere d'esporre la trama del romanzo che recensì vo, o per disteso il contenuto d'ogni altro libro. Il compito è a volte ingrato; e neanche è detto che dati del genere siano sempre necessari al giudizio verso il quale deve essere avviato il lettore dell'articolo: a quest'effetto, se ne potrebbe spesso fare a I SAGGI/MILANO meno. Ma l'omissione, m'è parso, spalanca una distanza fra chi .scrive e chi legge: il primo diventa un esperto, al quale il secondo è chiamato a credere sulla fiducia. Inoltre: non penso d'avere • scritto alcun articolo che non contenga qualche citazione diretta. Questo m'è sembrato un mio obbligo verso l'autore (lel libro: che la mia voce non fosse mail 'unica udibile, ma anche alla sua fosse dato di farsi ascoltare, per qualche istante, in prima persona. Dello stile, dirò che l'ho scelto piano e dichiarativo, quanto meglio ho saputo. Il gergo critico mi sembra un sopruso intellettuale e, l'allusività, un~ specie di morbo. Mi dispiace, anche,.Ja freddezza del tono impersonale: per questo ho evitato ìI plurale degli articolisti ("Noi stimiamo ...", "Chi ci segue, si sarà avvisto ..."), e ho adottato in sua vece il pronome di prima persona, attraverso il quale mi sentivo vicino al lettore, e da lui non troppo diverso. Un problema che non ho saputo risolvere è quello della misura in cui, in cronache di letteratura, sia legittimo ed utile discutere questioni di tecnica del comporre.A chiarire perché una certa opera sia fallita in tutto o in parte, un 'analisi delle sue dyficienze d'impostazione, di struttura, di stile, è a volte indispensabile: bisogna far passare il lettore nella cucina dell'arte, per iniziarlo a qualche aspetto di quel che Gertrude Stein chiamava "come si fa a scrivere".(How writing is written). Ma il lettore ha diritto d'obbiettare: "A me non interessa, in questa sede, apprendere in che modo si fabbrichi l'arte. Mi basta sapere se una data opera la raggiunge, e che senso gliene viene. Del resto, gli errori tecnici sorio di rado la causa prima della mediocrità_d'un libro: dietro di essi stanno altre debolezze, che sono dell'uomo prima che dello scrittor~; preferirei che mi si parlasse di queste". C'è da aggiungere che, dell 'opportunitil d'interessare il lettore a questioni di pura tecnica letteraria, il critico è un cattivo giudice, per idiosincrasia professionale: si tratta, infatti, di far posto, o meno, ai problemi che più attraggono lui personalmente, e per l'invadenza dei quali tanta letteratura critica somiglia oggi ai verbali d'una setta, scritti da letterati per altri letterati. , In questa raccolta non si discutono affatto opere di poesia. I motivi dell'esclu~ione sono accennati nell'unicopezzo che contraddice alla regola, (la nota sulle poesie di Elsa Morante). Ma forse l'impedimento maggiore non vi è confessato abbastanza: io non ho fiducia nella mia competenza di poesia moderna. Alcuni poeti contemporanei mi affascinano, e ne frequento l'opera con fedeltà; ma sugli obiettivi essenziali di tutta la poesia d'oggi, come sull'apporto specifico di questo o quel poeta, (per esempio: quale sia la vera statura di Umberto Saba, o di T. S. Eliot, o di René Char), le mie idee sono troppo incerte e private perché io possa promuovermi, da semplice lettore, ad interprete e poi a giudice. Infine, come rinuncio volentieri a parlare per iscritto di poesia, così prediligo, come argomento d'articolo, opere che stanno al margine della letteratura vera e propria: memorie, diarii, lettere, libri di viaggio. In questa preferenza, come provano le statistiche, io seguo il gusto della maggioranza dei lettori contemporanei; in più, di mio personale, vi potrà essere una reazione igienica: un modo d'immunizzarmi contro l'ingestione ad oltranza di letteratura allo stato puro. Mi chiedo fino a che segno tutte le considerazioni fin qui svolte siano ovvie od oziose. La verità è che una breve fisiologia del 63
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