Linea d'ombra - anno VII - n. 39 - giugno 1989

SAGGI/MILANO Paolo Milano in una foto di Zoltan Nagy. camente sconfinata, resta un gran peso. Per dare una preferenza fondata ad un'opera invece che.a un'altra, bisognerebbe aver esplorato con cura una quota sostµiziale delle novità recenti; ma chi può sperare di leggere con impegno intellettuale, ("leggere con la penna in mano", come raccomandava a se stesso, ma solo a Sant'Elena; Napoleone), più di un paio di libri alla settimana? L'onore del critico militante, (nome sonoro ma professione pallida), deve rifugiarsi nelle virtù minute: per esempio, non saltare un rigo dei volumi che viene leggendo. A questa debilitante pratica lo persuade l'esempio negativo di certi suoi colleghi, inclini per pigrizia o necessità a un modo di lettura che si può chiamare diagonale, e da ciò costretti ad abbassare il libro di cui scrivono, dal livello di argomento vero e proprio, a quello di pretesto per variazioni in libertà. Ma sull'attività anche dei più scrupolosi, la scadenza dell'articolo, l'assillo del tempo, che è la nostra comune tirannia, incide in una forma curiosamente indiretta: la tentazione del libro breve. Sicuro di non poter rendere giustizia, in pochi giorni d'intimità, a un romanzo di seicento pagine, il recensore coscienzioso è attratto a preferirgli, come soggetto della sua prossima nota, un "racconto lungo", che si può circumnavigare due volte in una domenica piovosa. A parità, per così dire, di merito, le opere brevi e brevissime godono dunque di un favore critico, a danno di quelle di maggior mole, che è uno degli scanda62 li meno scoperti della nostra "condizione letteraria". "Vorrei esigere dai miei critici", scriveva pressappoco James Joyce, "che spendano tanto tempo nel giudicare i miei libri quanto ne ho passàto io a comporli". Suggestivo com'è nella sua estremità, quest'invito del rigorista di Finnegans Wake è il memento quia pulvis es, anzi l'epitaffio in vita, del cronista letterario. Per il recensore che abbia un minimo d'orgoglio, resistere alle pressioni interessate od illecite, di editori, di autori e loro amici, è compilo semplice: i fastidi che'gliene vengono, lo irritano ma non riescono, moralmente, ad esser problema. Le sue vere croci sono d'altro legno. Egli sa, ad esempio, che il desiderio massimo d'ogni scrittore, riguardo alla misura d'attenzionè che la critica vorrà concedere ai suoi libri, è quello di vivere di rendita: essersi conquistato, cioè, per accumulo di titoli alla famà, il diritto a che ogni sua nuova opera sia oggetto di pubblico giudizio per il solo fatto d'essere della sua penna. Ma a quest'albo degli arrivati, c'è chi appartiene legittimamente, chi di scrocco e chi fa credere d'appartenervi. Come si fa a rispettarlo? Inoltre, dell'occasionale fallimento d'un·ottimo scrittore, non è a volte più generoso, o significativo, tacere del tutto? La figura del buon critico è.definita anche dai suoi silenzi. Alcuni, duri a mantenere: come nel caso di qualché avvenimento letterario altrettanto rumoroso quanto vuoto, a proposito del quale si dubiti se sia più utile mettere in guardia i lettori contro quel libro indebitamente esaltato, o negare anche quest'apporto negativo al giuoco della pubblicità. Tutti gli scritti di un rubricista letterario sono d'occasione, ma alcuni lo sono a doppio titolo; e questi ultimi, gli dispiace doverli fornire e averne fomiti. Intendo i necrologi senza.preavviso, i subitanei pezzi d'obbligo su un'opera clamorosamente premiata, e in geRere tutti i casi in cui le esigenze della cronaca, imponendogli addirittura con oltraggio il dovere della fretta, sperdono quasi ogni ritegno dell'articolista, l'obbligano a dire male quel che sa o bene quel che non crede, a barare sottilmente nei giudizi per mascherare le proprie lacune, quindi a vergognarsi di ciò che scrive. Sul contraltare di queste sue in verità infrequenti mi- , serie, stanno le ambizioni più ingenue del critico militante: come quella di scoprire un autore sconosciuto e straordinario, o, meno romanticamente, segnalare un esordiente di notevole promessa. Se la prima aspirazione è alla mercè della fortuna, la.seconda si può soddisfare ma l'impresa è costosa. Per motivi di prestigio, o generosità, o speranza di lucro, gli editori d'oggi sono così avidi di "firme nuove" che, a una prima raccolta di racconti o a un primo "romanzo breve", basta un minimo di qualità per essere accolti in una collana di narratori.Nove volte su dieci la letturadiun' opera prima delude gravemente: il che è nell'ordine delle cose, e il tempo perduto a compierla, fra alternative di fiducia e scoraggiamento, è un passivo di gestione, di cui sarebbe meschino lamentarsi; ma per il lettore di professione, essa comporta un altro curioso rischio, ch'egli ha ragione di temere: essere còlto dalla nausea della parola scritta. Questa è un'infermità, intermittente per fortuna, una malattia professionale allo stato latente, come l'artrite per i pescatori di perle, contro i cui attacchi egli deve premunirsi quanto meglio può. Il suo rifiuto di spingere oltre un certo limite la propria sopportazione della letteratura del vuoto, (quel vuoto entro cui gli esordienti incapaci si muovono senza fine, ma in cui circolano an-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==