Linea d'ombra - anno VII - n. 39 - giugno 1989

mo, troppo dilatata per il secondo. Una delle maggiori qualità che dà alla musica di Bach quel carattere così straziante sta secondo Gould nel fatto che "si ha quasi l'impressione di vederlo lottare entro i limiti della sua incredibile immaginazione lineare, allo scopo di restare nel quadro costrittivo di un'armonia tonale in piena espansione, e perfino di sforzarsi così di salvaguardarla. Perché Bach, invecchiando - aggiungeva sottilmente Gould-dispiegò e allargò tutte le premesse fondamentali del Barocco, vale a dire il conflitto fra la ragione naturale e il mondo dello spirito, che si traduce musicalmente in una lotta tra lo stile strumentale e lo stile vocale, nel conflitto fra la secolarità decorativa del Sud e l'austerità religiosa del Nord" (4). Per Schèinberg, la cui attività creatrice si situa in un momento di transizione altrettanto profonda per le arti di quello che ebbe luogo alla fine del Rinascimento: l'armonia tonale è invece un vocabolario divenuto ambiguo e minato da un disordine organico. Era possibile dare· un senso al vuoto della dissonanza che si era creato? Iri quale direzione poteva muoversi questo nuovo e strano mondo della dissonanza? (Quella stessa dissonanza che era per Schèinberg la chiave stessa della storia della musica, storia appuntò dell'"emancipazione della dissonanza"). "Schèinberg .:_ scriveva Gould - arrivò alla conclusione che, se era la ricchezza eccessiva dell'armonia tonale cromatica ciò che aveva provocato la reazione del- )' atonalità, e che, se era la materia melodica ultrae)aborata dei post-wagneriani che si era associata a questo vocabolario cromatico, c'era qualche possibilità che la chiave dell'organizzazione del linguaggio dell'atonalità risiedesse nell'allungamento e nell'estensione estrema della lint!a melodica" (5). La musica dodecafonica rivela, da questo punto di vista, intense qualità contrappuntistiche, cosicché quando Gould suona Schèinberg, è un dialogo di quest'ultimo con Bach che egli organizza al pianoforte; mentre, viceversa, l' ascolto dell'interpretazione che Gould dà di Byrd e Gibbons, virginalisti inglesi della fine del Cinquecento, suggerisce perfino una vicinanza non casuale con Webem o Berg. Ora, evidentemente tutto ciò può esser messo in rilievo solo a patto di una certa presa di distanza rispetto adeteriti.inati vincoli posti dalla condizione tecnica e storica del pianoforte. La "sublime indifferenza allo strumento" che Gould dichiarava più o meno paradossalmente di praticare, e che diceva di derivare direttamente da Bach, era, come·ben chiarisce questa intervista, l'atteggiamento necessario per mettere da parte gli orpelli rituali e spettacolari che avvolgono tuttora il pianoforte, e per considerarlo inveANTOLOGIA IL CONTESTO ce come uno strumento per pensare la musica oggi. Note 1) In francese: Glenn Gould, Ecrits, a cura di Bruno Monsaingeon, t.l., Le dernier puritain, Paris, Fayard, 1983, 286 pp.; t. II, Contrepoint à la ligne, idem, 1985, 487 pp. Glenn Gould, Non,je ne suis pas du tout un excentrique (interviste), montage et présentation de B. Monsaingeon, idem, 1986, 235 pp. Dall'edizione inglese, curata in Canada da Tim Page, è tratta la scelta di scritti pubblicati in italiano dall 'editore Adelphi col titolo L'ala del turbine intelligente, Milano 1988. Lo studio di Geoffrey Payzant è stato tradotto in Francia dal)' editore Fayard col titolo Glenn Gould, un homme dufutur (ed. or. GlennGould, Music andMind), Paris 1983, 317 pp. 2) Ècrits, t. II, pp. 243 3) Bach, le non conformiste, in Ècrits, t. II, pp. 14 4) Ibidem, pp. 17. 5) Arnold Schonberg. Une perspective, in Ecrits, t. I, pp. 198. La traduzione italiana di questo passaggio è un po' diversa (ed. cit., pp. 204). -Suonare il • piano: incontro con Glenn Gould a cura del "Keyboard Magazine" traduzione di Paola Lagossi In un'intervista di qualche annofa lei ha detto: "Alcuni artisti credono che l'originalità dipenda dal grado di brutalità con cui infrangono le regole. lo credo piuttosto che l'originalità dipenda dalla levità con cui si aderisce a certi presupposti leggermente diversi dalle aspettative degli altri". Mi piacerebbe sapere quali sono i presupposti a cui aderisce lei. Innanzitutto cerco di dimenticarmi che suono il pianoforte. Quando desidero far scaturire un disegno strutturale profondamente impresso nella mia mente, faccio di tutto pçrché non vi si inserisca alcunché di specificamente pianistico. Per esempio, ultimamente ho fatto il montaggio delle Sonate op. 2 di Beethoven che avevo registrato da poco. Ho una vera e propria passione per leprime Sonatedi Beethoven, che nonprovoper quelle del secondo periodo, l'Appassionata o la Waldstein. Questo dipende dal fatto che tutte queste Sonate giovanili si potrebbero virtualmente trascrivere, senza far quasi nessun cambiamento, per trii, quartetti o quintelli ad archi. Perciò, questa mattina verso le tre, dopo otto o nove ore di montaggio dell' op. 2, mi sentivo come in uno stato di allucinazione, perché pensavo che ogni fraseggio dovesse somigliare a dei possibili colpi d'arco. Tendo a pensare la musica orizzontalmente, più che per blocchi verticali. Come prima regola, allora, ho di resistere alle tentazioni offerte dal pianoforte, a quelle che si potrebbero dire le sue "risorse naturali". Certo questo non vuol dire che io eviti sistematicamente l'uso del pedale. Anzi, all'occorrenza il pedale può aiutare ad avvicinarsi alla sonorità del quartetto ad archi o dell'orchestra. Ma fin da quando ero ragazzo ho sempre cercato di allontanare l'idea che lamusica che suonavo era una musica fatta essenzialmente per il pianoforte e di darle una sonorità di tipo orchestrale o da quartetto. Questomododiprocedere presuppone in linea generale chesi elabori e si applichi un sistema di fraseggio che potrebbe andar bene al violinooal violoncello. Questoderiva dal fatto.chesonopersuaso che il pianoforte, per la maggior parte dei compositori imporJanti (a differenza dei compositori pianistici) sia solo qualcosa di sostitutivo. Esso permette di suonare quella musica che altrimenti sarebbefattada un quartettoo da un'orchestra. Credoche siano pochi i compositori di qualità ad aver scritto peni pianoforte, senza avere in mente nessun'altra combinazione sonora; talvolta i risultati sono stati disastrosi. I compositori. che hanno lavorato utilizzando le combinazioni sonore dell'orchestra postwagneriana credendo di poterle adattare al pianoforte, per lo più si sono persi per strada. Questo non è statocerto il caso di Beethoven. L'unico momento in cui la scritturapianistica di Beethoven nonmipiace affatto è quellodella secondamaniera, perché diventa troppopianistico.Mipare che lì abbia lavorato a vuoto, dalpunto di vista musicale e pianistico, mentre questo non avviene nelle sue prime composizioni e neanche nelle ultime. Se ben ricordo, in quell'intervista citata da lei mi riferivonon tanto ai presupposti quanto all'originalità. Dicevo che in Mussorgsky, contrariamente a quanto succede in Mendelssohn, I'ori35

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