Linea d'ombra - anno VII - n. 39 - giugno 1989

nile. Un esempio è quel militante di Amburgo che si è dato molto da fare per far partire circa tre anni fa il gruppo ora in piena espansione degli "Uomini contro la violenza maschile", indirizzato soprattutto contro mogli e compagne: come capita in minor misura anche a me, riceve talmente tante lettere, telefonate e lodi da donne da esserne quasi imbarazzato. In piccolo è la mia stessa esperienza: le donne hanno per il tema del maschile uno schietto interesse e mi esprimono, per il fatto di occuparmene, una simpatia magari discorde ma spiccata, il che mi gratifica molto. Per i maschi, il "silenzio degli uomini" ha colpito ancora edè ben raro che un collega, con cui pure siamo usi commentare le reciproche pubblicazioni accademiche, si lasci andare a qualche osservazione su questo tema. E visto che esso è diretto principalmente agli uomini, è una triste constatazione. A proposito: gli antisessisti dovrebbero comunicare .inprimo luogo con le donne o con gli altri uomini? Naturalmente con entrambi! C'è tuttavia una fase iniziale quando gli uomini vengono per la prima volta coscientemente alle prese col loro maschile in cui è importante che essi parlino soprattutto tra loro, ed è abbastanza comune che a quello stadio vogliano comunicare poco con le don- . ne. È tuttavia una soluzione sbagliata e abbiamo bisogno di sedi per entrambi i tipi di comunicazione. Non riesco a immaginarmi un uomo "sano" che non parli anche con le donne. L'atteggiamento delle donne influenza tuttavia l'oscillare degli uomini tra antisessismoe neomaschilismo. Ho un amico, un "vero progressista", che in buonafede cerca di emendare i suoi comportamenti tradizionali. Lentamente tuttavia si sta scoraggiando e mostra un certo rancore verso le donne, sta diventando cioè meno antisessista e più neomaschilista, 'perché dice in sostanza: "Io faccio quel che posso, eppure le donne continuano a trattarmi come 'il nemico'. Non vale allora proprio lapena di sforzarsi, se poi, qualunque cosa faccia, sono il cattivo per definizione, solo perché capita che sia maschio". È frequente che gli uomini che cercano di essere non-sessisti siano molto delusi dalle rinnovate accuse delle donne; ci aspettiamo che lodino il nostro sforzo, mentre dobbiamo essere invece molto attenti poiché l'intenzione antisessista non è sufficiente: attenti così alle critiche al comportamento sessista involontario. Gli atteggiamenti maschilisti sono molto sottili e complessi, ci vuole un sacco di tempo per capirli, figuriamoci poi per cambiarli. Certo, qualche critica delle donne è mal pensata perché ci vedono normalmente ali 'interno della complessiva esperienza (negativa) nel rapporto coi maschi. Ma anche in questi casi la reazione non dovrebbe essere di ostilità ma di sfono di chiarificazione. A costo di essere polemico, penso tuttavia che si deve ammettere il fatto che, in termini quantitativi e politici, il panorama antisessista è un fallimento: di fronte ali' enorme impatto del movimento delle donne, la maggior parte degli uomini ha reagito cercando di salvare o di restaurare il dominio o parte di esso. Dato che la grandissima maggioranza delle donne accettano o devono accettare che gli uomini sono una componente essenziale della loro vita economica, sociale, emozionale e sessuale, questo ha dato ai maschi una leva nel rapporto privato di potere per moderare il radicalismo femminile. Così "il silenzio degli uomini" non è soltanto la loro incapacità di esprimersi emozionalmente: è anche l'inconsapevole istinto che la resistenza passiva può permettere loro di superare la tempesta conservando il controllo del timone. Né la miccia dell'abbandonò femminile è stata sempre così drastica: molte donne non sono "andate via", oppure solo un poco, oppure sono poi tornate indietro, oppure sono andate via dagli uomini, ma non dal proprio uomo. Di conseguenza, Sher.e Hite ha ragione: "l'uomo liberato" 1non esiste. Sul campo di battaglia della politica dei sessi, la presenza di uomini "nuovi" e tradizionali è proporzionale, per usare una metafora di Norberto Bobbio, al miagolio di un micetto rispetto al ruggito di un leone. P,erché allora lefemministe dovrebbero abbandònare una visione binaria dei rapporti tra i sessi, dove le donne sono buone e gli uomini cattivi, che è il fondamento intellettuale de/l'azione radicale? Perché dovrebbero indirizzarsi verso una distinzione tra maschi "buoni" o "cattivi", dando così sicuramente ifvia a una super-battaglia nelle loro file, se i maschi "buoni" sono così pochi e politicamente inesistenti? Sarebbe semplicemente inesatto sotto i/profilo fattuale e suicida sotto quello politico. Ed' altra parte il piccolo numero degli antisessistifa sorge32 re un'aspra domanda culturale: non può forse darsi che il loro limitato retroterra sociale sia stato insufficiente a generare una riflessione autonoma, al di là del puro prendere in prestito definizioni di maschile dal movimento femminista? Gli scrilti neomaschilisti mi colpiscono sempre per come siapossibile derivare risposte assurde da domande interessanti. Una di queste è l'accusa che gli antisessisti siano mossi soprattutto dal complesso di colpa; quando sento per esempio tanta insistenza su un diverso maschile raggiunto attraverso un itinerario interiore alla ricerca delle radici profonde dei nostri mali, il mio retroterra-cattolico e meridionale è unpo' allarmato da qualcosa che ricorda il viaggiò protestante attraverso la Caduta e la Rinascita, e la ricerca della Natura Peccatrice dell'Uomo. Non penso che i nostri gruppi siano un fallimento: essi sono, come dice un detto tedesco, "una goccia d •acqua su un sasso bollente". Certo i nostri sforzi sono solo un piccolo contributo al gran problema dell 'ingiustizia tra i sessi; ma noi raggiungiamo degli individui e questo è il nostro succes~o. Ritenere il _nostro impatto un fallimento parte dalla idea sbagliata che ci dovrebbe essere un "movimento degli uomini" così come esiste un movimento delle donne. Ma chi è in possesso di privilegi non creerà mai un movimento per modificare il sistema. Non è neppure del tutto vero che l' antisessisrno maschile sia così marginale. In alcuni ambienti, limitati ma significativi, esso è un terna accettato e importante: nel recente sciopero degli studenti di Berlino di questa fine '88 inizio '89, moltissimi gruppi sono stati dedicati al patriarcato, e tra questi un terzo circa trattavano del maschile, e vedevano la partecipazione accesa e appassionata di centinaia di maschi: ho seguito io stesso quelli s_ullaviolenza maschile, o quello molto combattuto sulla proposta delle donne di quote femminili di riserva nelle assunzioni universitarie. Sul complesso di colpa adesso: la maggior parte dei maschi non tro- · verà la spinta a cambiare i propri atteggiamenti sessisti a meno che non provi sentimenti di colpa e di vergogna. Certo, una volta sottolineato che moltissimi uomini semplicemente restano ben legati alle loro abitudini maschiliste tradizionali, il nostro ideale non è certo quella minoranza che definiamo "gli uomini femministi", che sostengono il movimento delle donne ma contemporaneamente sono molto tradizionali nei comportamenti legati ali 'identità sessuale e non sanno esternare i sensi di colpa che li circondano. Svilùppare in positivo atteggiamenti e comportamenti non sessisti non vuol dire rinunciare al nostro interesse nelle relazioni con le donne, anzi dovremmo combattere con loro nel quotidiano per una vita soddisfacente per entrambi. Ma nel far questo noi uomini dobbiamo tener conto quanto profondo è l'impatto del sessismo sulla vita di ogni giorno e quindi essere disposti a rinunciare a quel potere che ci deriva dal solo fatto di essere maschi. L'interesse per la definizione di maschile ci porta a parlare dei "men'.s studies" che negli Stati Uniti e nei paesi del centro-nord Europa sono abbastanza diffusi. Dicci qualcosa sugli approcci principali. Il termine "men• s studies" è al punto attuale abbastanza accettato negli Stati Uniti e si riferisce a quattro principali indirizzi di ricerca. Il primo e più importante si lega alla tradizione ortodossa di ricerca sui ruoli sessuali e di "gender" risalente fino agli anni Trenta, che ora alcuni studiosi antisessisti (e il nome di Joseph Pleck è il più noto) stanno cercan-

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