sci subito il paese insieme a Stephan, loro figlio, sono numerose e trovano eco nelle lettere a Scholem fin dal 4 aprile 1933. A quest'ultimo però, sembra necessario più tempo per comprendere pienamente quel che accade; d'altro canto il suo mondo e la sua vita sono realmente l'altra faccia della lunarispetto a quella dell'amico. Non lo sono solamente dal punto di vista delle condizioni di vita: l'uno, Scholem, anche se a nome e per conto dell'università, può comprare i libri che l'amico è costretto a vendere per sopravvivere (cf. Carteggio, pp. 135ss.), può, in anni difficili, come il 1938, recarsi negli Stati Uniti per studiare tenendovi tra l'altro un ciclo di conferenze, può, in sostanza, svolgere una quotidianità "normale" come accademico in un 'università nascente. L'altro, Benjamin, vive un destino di precarietà assoluta; la disparità sembra talora causare corti circuiti tra loro. "Considera", scrive Benjamin il 31-5-1933 (p. 66), "che qui devo fare tutto da solo, nelle circostanze più difficili, mentre tu hai una casa e cento mani al tuo servizio. E non <:omprendoEscha [prima mo- . glie di Scholem]. nel novero di coloro che ti rendono servigi così umili"; ancora molti anni dopo Scholem sente il desiderio di rispondere a questa affermazione (nota 3, p. 66): "era una grossa esagerazione. Non avevo neanche una segretaria, altrimenti sarebbero stati conservati molti testi ora perduti, che gli rimandai indietro perché me lo aveva chiesto nel corso degli anni". Altrove, nell'estate 1934, ancoraBenjamin: "ho ricevuto ora le.tue righe del 20 luglio (...). Anzitutto apprendo che la mia memoria presenta una lacuna. In effetti avevo dimenticato la lettera a cui ti riferisci, e le sue domande. La cosa è deplorevole, sebbene possa essere spiegata. Una memoria che deve rielaborare le impressioni prodotte da situazioni continuamente, imprevedibilmente diverse sarà raramente attendibile come una memoria che è sostenuta da una vita stabile e uniforme". Ma, come osservavo non è una diversità solo di condizioni esterne; vi sono, lo si sente, una inclinazione profonda esistenzialmente e un pensare la vita radicalmente divergenti. "Benjamin trattò il proprio destino èome questiòne personale, in cui la rinuncia a ogni stabilità e la preparazione a morire per suicidio garantivano la libertà quotidiana - fino appunto ali 'ora d~l suicidio. La rivoluzione, precisamente come il Messia nella tradizione del- !' ebraismo rabbinico, era da attendersi e vaticinarsi, ma senza nessuna seria aspettazione di vederla. Che Scholem, impegnato urgentemente a costruire una Università, e una società, i:braica in Palestina fosse di altro parere va da sé". È ancora Momigliano a fare questa Òsservazione (Pagine ebraiche, p. 214) e un valido fondamento a essa è certamente rinvenibile nella corrispondenza tra i due amici "dell'università di Muri" per usare la stessa espressione con cui Scholem e Benjamin erano soliti fare allusione ai primi anni della loro conoscenza quando psiedevano insieme in un piccolo villaggio -Muri appunto -per frequentare l 'università della vicina Berna. Scholem aveva lasciato l;t Germania nel 1923 imbarcandosi a Trieste con F. Goiten; entrambi erano destinati a segnalarsi come studiosi di grande livello. La partenza di Scholem era avvenuta dopo un secco taglio dei rapporti con la famiglia che, integrata al tessuto sociale e culturale tedesco, era inaccettabile per chi pensasse - come lui faceva-che "l'inizio della verità perun ebreo è di riconoscere il suo essere ebreo, di imparare l'ebraico, e di trarre le conclusioni - quali che possano essere (e questo è il pro_blema)" (Momigliano, Pagine ebraiche, p. 202). In verità le conclusioni tratte da Scholem erano indubbiamente in direzione del sionismo e non si ha l' impre1,sione,leggendo le sue lettere aBenjamin almeno, che per lui fossero possibili molte altre alternative. Più volte, e con una certa en- . fasi- specie considerando la pacatezza e la discrezione generalmente mostrata dai suoi scritti (penso, oltre alle lettere alla sua autobiografia Von Berlin nach Jerusalem, ora disponibile anche in traduzione italiana presso Einaudi) - assume toni nazionalistici lasciando emergere un retrostante sentimento di separazione dal resto del mondo non ebraico: "proprio que·- sto ci chiediamo, se in questo paese ci si può sentire a propriò agio quando non sì partecipa direttamente alla sua vita, se (exempla docent) ciò non crea rapidamente un'estraneità morale intollerabìle, dove la vitalità non si può affermare.( ...) Lanostraesperienzaèchea lungo andare può vivere qu· solo chi, nonostante ogrii perplessità e ogni depressione si sente intera"- mente unito al paese e alla causa dell'ebraismo.( ...) La mia vita qui è possibile-e credo di avertelo già scritto qualche volta-solo perché mi sento legato aquestacausafinilel declino e nella disperazione, altrimenti la problematicità di un rinnovaJl!ento che appare soprattutto come decadenza linguistica e hybris mi avrebbe già fiaccato da tempo" (26-7-1933, p. 79-80). Di conseguenza non era possibile a Scholem considerare che un problema come quello dello stanziamento ebraico in Palestina e del- !' enorme numero di profughi ebrei che giungevano nel paese potesse costituire un problema appunto e suscitare lecite preòçcupazioni nella popolazione araba. "Gli arabi conducono una vera e propria guerra partigiana, che rivela una forza inattesa - insomma un carattere terroristico e barbarico"( ...p. 206) scrive aBenjamin nel giugno 1936, senza considerare che quello stesso dato riferito ali 'amico in una precedente lettera e che cioè "l'immigrazione ha assunto proporzioni leggendarie, vengono 5.000uomini al mese (...) il principale contributo all'immigrazione è ancora dato da gruppi che erano già •sionisticiin passato, degli altri gruppi si parla di più; ma il numero di coloro che sono spinti quaggiù dal terrore - che ora assume davvero forme molte violente- aumenta solo in modo lento e graduale" (p. 191) avrebbe ben potuto costituire per la popolazione araba un elemento di grande allarme! Su questo il silenzio di Benjamin è molto significativo; si spezza solo quando, appreso delle violenze che segnano la terra di Palestina e i rapporti ebreo-arabi, scrive a Scholem: "per il momento vorrei sperare che -almeno gli eventi palestinesi mi giungessero a conoscenza solo attraverso relazioni esagerate. Ma anche in questo caso i fatILCONTESTO ti e i sintomi che destano preoccupazione sono abbastanza numerosi, dappertutto. Consapevole di questa situazione vorrei acquisire la cittadinanza francese, se ciò non comportasse spese che potrebbero far sì che lamia nuova cittadinanza fosse rilasciata a uno scheletro" (pp. 204). Nella sua introduzione Scholem risponde ali' accusa più volte rivoltagli di. avere cercato di convincere l'amico a raggiungerlo in Palestina e a tal proposito scrive: "nulla potrebbe essere più lontano dal mio atteggiamento reale. Nei lunghi anni della nostra amicizia, anche nelle lettere precedenti al 1933 (...) non ho mai cercato, anzi, non avrei mai potuto cercare di indurre auna decisione siffatta (di recarsi in Palestina) un'altra persona, e meno che mai un· uomo così còmplesso come Benjamin" (p. 7), A conclusione di un'accurata lettura dell'epistolario non si potrebbe giungere a una considerazione diversa da quella di Scholem riguardo a questo specifico problema; la mia impressione, a differenza di quanti hanno'presentato uno Scholem "coercitivo·", è piuttosto che questi mettendo al primo - e forse esclusivo posto-laquestione dell' ebraicità, agisse di conseguenza e con coerenza. A lui dunque non interessa molto un trasferimento e di conseguenza una presenza in Palestina che non sia perfettamente in linea con il progetto e l'idea sionista (cf. lettere di Benjamìn e Scholem, pp. 71.- 72; 79-80; 85-86) e poiché quella di Benjamin non lo sarebbe stata non la desidera. È sintomatico a questo proposito che più volte nelle lettere si immagini e si discuta una visita di Benjamin senza arrivare mai a concluderne nulla fino a renderla quasi "mitica"; e le difficoltà legate al momento storico, pur essendo assolutamente. gravi e vere, non giustificano quell'impossibilità chiamata in causa. · Da parte degli studiosi si è anche fatto molto spesso riferimento a tensioni tra Scholem e Benjamin causate dal progressivo avvicinamento di Benjamin al marxismo; a tal proposito si sono pòi registrate le critiche ai critici - la ripetizione è volontaria- talora forse un poco eccessive ma a volte a far cogliere gli eccessi cui le due categorie (pro-Scholem/pro-Adorno) si erano spinte. A tal proposito, Cesare Cases, parafrasando la prima delle tesi benjaminiane sulla storia, scrive con ironia: "Ancora non si è ben capito se [Benjamin] vinceva le partite a scacchi perché era un automa materialistico con dentro un nano teologico, oppure un automa teologico con dentro un nano materialistico. Fatto sta che vince tutte le partite, anzi ha dato scacco matto anche a Adorno e tutti i francofortesi-v,endetta postuma per le loro critiche - e in pratica è rimasto solo adominare il campo (...)"(Caleidoscopio benjaminiano, a cura di E. Rutigliano e G. Schiavoni, Istituto italiano di studi germanici, Roma 1987, p. 59-60). Non si può fare a meno di èondividere l'ironico dissenso che Cases qui manifesta quando si affronta una certa letteratura tutta tesa a dimostrare quanto la scuola di Francoforte fosse vicina a Benjamin e Scholem lontano, o viceversa. In realtà, dal carteggio qui in esame, sirica- -> 27
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