la rivoloi sacra) e acqua e fuoco purificatori e simboli. Come a ricomporre "i colori, le parole, le pulsioni" di un mondo. Come uno sguardo che si pone il problema del suo rapporto con il mondo e gli esseri, prima che con il cinema. Ciò che èpiù sorprendente in Yeelenè la capacità di dare vita a un universo•magico, il sapere Komo e il Pilone magico e l'Ala di Koré e i loro poteri, che sembra sfuggire alla nostra comprensione e che una lunghissima didascalia iniziale si incarica di riassumere, e di tradurlo in un racconto sempre chiarissimo nei suoi conflitti di fondo. In effetti, Cissé lavora con grande precisione sui motivi della cultura bambara, sul suo anùnismo e sullesue cosmogonie, investiti però in una chiave di miti più universali in cui sono leggibili a uno sguardo occidentale risonanze saturnine e eclipiche, di gelosia e furia del padre e di amore del figlio per la madre, ma è soprattutto dominante il grande mito di Prometeo: il figlio che ruba il sapere magico che è Potere e potere sulla natura, e quin- · di è esoterismo, separatezza élitaria, esclusio-· ne, perché sia patrimonio di tutti, perché deve essere di tutti. È una lotta che si incarna in un viaggio iniziatico, la lunga fuga del figlio, aiutato dalla madre, attraverso l'intero paese sino alle sorgenti sacre e auno zio cieco che è un po' il suo doppio e gli svelerà gli ultimi segreti necessari per l'inevitabile scontro finale, ma che si fa anche viaggio d'esperienza: di un paese, degli uomini, delle passioni,"del sesso. Quasi in una sintesi di tante questioni di cultura e di linguaggio. Forse, l'Africa è davvero "il luogo in cui Ja· famiglia, l'erranza e i segni magici ritrovano le loro funzioni originarie". E forse !\oralità che è la radice del film con le sue componenti di ùnmaginario e di fantastico, con i suoi toni di racconto di "sensazioni e emozioni", si fa infine la chiave di un ripensamento del linguaggio del cinema moderno. Significativo ci pare il rapporto di Cissé con la sua cultura, in un primo luogo con una magia millenaria che, al di là di ogni credenza omeno, è difesa di una concezione della vita, elemento essenziale di una quotidianità econoscenza africane. Ma non è contemplata nella sua natura immobile, presunta sublime, non è canto stregonesco e fatalistico, ma è attivamente investita nel suo processo di composizione e scomposizione. Il "ritorno alle origini" è squarciato, riproposto in una dimensione di squilibrio. I conflitti fra le generazioni che si trovano sparsi in tutti i suoi film, riassumono in Yeelen quella "perturbazione" che, secondo Labou Tansi, è oggi il dato culturale e politico più appariscente del!' Africa. Cissé lo rende in tutta la sua violenza primaria, con quel tanto di "crudeità" che sembra connaturato a una condizione terzomondista, e ènecessità di andare sino in fondo alle cose, alle lacerazioni. Alla luce non si può arrivare se non attraverso la· violenza, che culmina in un finale messianico, conclusione del cammino dell'eroe e, attraverso lui, della conoscenza umana. Lo scontro tra padre e figlio con armi magiche, il fuoco e la luce, è un'a-pocalisse spielberghiana in cui il mondo (e l'ùnmagine entra in "fusione" in un bagliore abbacinante. Cissé vi adombra persino un senso attuale, di pericolo, di "dominio del sapere che può portare l'umanità verso la fine". Ma la conclusione è aperta. Si apre forse un tempo del figlio del figlio, I"'impuro" che il protago- "nista ha avuto dalla regina "sterile", che è la speranza e se ne vane! deserto, verso il sole, per tornare al "paese degli uomini". Nel fondo (ma solo sotto questo aspetto), la sua caratteristica artistica non è lontana da quanto è stato attribuito a certi letterati africani, Soyinka ad esempio, cioè una "capacità mitopoiètica, nutrita di tradizione e di esperienza contemporanea", tradotta in una cifra espressiva personalissima. "In Africa c'è tutto, ma nulla esiste", dice Cissé. C'è una grande ricchezza culturale che nessun paese, nessuna dirigenza è interessata a raccogliere, a mettere a frutto. È questo il compito che si attribuisce come artista (di conIL CONTESTO tro a ruoli più comodi di Cantore nazionale o di Regista tuttofare). Nello stesso tempo, in ciò rivendica l'azione di un immaginario personale, intuitivo, che mette in campo le proprie strutture profonde. Certamente è anche la dialettica tra queste due tensioni che fa l'interesse del film, che gli dà una dimensione più complessa, ma questo approccio prepotentemente individualistico e poetico, questo uso della poesia per "interpretare le proprie tradizioni e la propria gente" in un rischioso equilibrio tra elaborazione fantastica e sforzo analitico, resta pur sempre una strada affascinante quanto difficile da controllare, e alla fine tutta da discutere. Con i suoi nodi si sono trovati a fare i conti, senza uscirne, grandi cineasti del terzo mondo, primo fra tutti Rocha. È una lezione che può esprimersi in tutta la sua autonomia e originalità quando è assimilata al proprio contesto; e per ora questo è il caso di Cissé, almeno in Yeelen. Ognuno avrebbe magari preferito un'accentuazione politica o pedagogica o culturale pura, che sono poi i termini dell'attuale dibattito africano. Ma il merito di Yeelen è anche quello di intervenire in maniera così creativa e attiva nel cuore dei problemi delle culture africane. Un'immagine di Yeleen. 21
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