Linea d'ombra - anno VII - n. 39 - giugno 1989

IL CONTESTO • tro Pompidou, proposta da Germain Viatte, aveva scatenato un'identica controversia. Era circolata una petizione intitolata Gli artisti degenerati contro la presenza di Arno Breker al CenJro Pompidou, che aveva portato al ritiro volontario di colui che aveva provocato lo scandalo. Sotto le firme di Alechinsky, Appel, Bazaine, Bury, Hartung, Manessier, Pignon, Soulages ecc. si potevano leggere in particolare queste frasi: "Nel 1942, grazie alla potenza di fuoco delle armate hitleriane, Arno Breker, scultore mediocre, occupava l'Orangerie. In quegli anni, in tutta l'Europa occupata, si staccavano dalle pareti delle gallerie le opere di tanti artisti, perché ebrei, resistenti, esuli o prigionieri. Hitler perseguitava da ima parte 'l'arte degenerata', e dal!' altra era il mecenate di,Arno Breker, il suo scultore prediletto ..." Qual è la posta in gioco? Si tratta più che mai del grande colpo di spugna, della riabilitazione ufficiale di tutti coloro che, per arrivismo o per corruzione, misero le loro competenze al servizio dell'ideologia nazista. Il rappresentante del gruppo liberale nel parlamento della Renania-Westfalia non ha usato molte perifra" si per sostenere Ludwig: "Rifiutare l'ingresso nei musei all'arte manifestatasi sotto il Terzo Reich," ha dichiarato, "vuol dire porsi sullo stesso piano di coloro che hanno condannato come arte degenerata intere correnti dell'arte moderna". In altri termini, le produzioni considerate artistiche nella Germania dal '33 al '45 appartengono anch'esse ali' arte moderna, e i loro detrattori si comportano da nazisti. Un ammirevole ragionamento per assurdo onde giustificare le peggiori infamie! . Arno Breker in quarantena? È naturale che egli si senta amareggiato per il fatto di non vedere la gloria di personalità compromesse quanto lui con il potere nazista come i non pentiti Martin Heidegger e Cari Schmitt. Non ha avuto, dopo il '45, Jastupefacentecarrierachehanno avuto critici d'arte come Karl Korn,, Will Grohmann, Cari Linfert, o perfino l'ostinato impenitente Robert Scholz, che avevano servito la causa nazista con zelo almeno pari al suo. Nelle alte sfere della politica e della finanza, è però ben lungi dall'essere stato abJ;>andonato. Dopo aver scolpito Hitler, ha immortalato il cancelliere Erhard. Dopo là famiglia Goering, la famiglia· del miliardario Gerling a Colonia. Dopo il suo mecenate Albert Specr, ministro di Hitler, il mecenate Ludwig. Firma liberamente contratti. Espone liberamente. Una galleria di Bonn gli dedica il massimo dell'attenzione possibile. Gli dedica dei libri, gli offre spazi pubblicitari nei giornali. Non sono davvero pochi gli artisti che desidererebbero venir messi da parte in questo modo! E però la produzione di Arno Breker (tutta la sua produzione, quella degli anni Trenta come quella degli anni Sessanta) è molto meno innocente di quanto alcuni pretendano. Non può venir considerata soltanto come arte accademica e ufficiale. Non può venir banalizzata ali' interno di un ampio movimento neo-classico. No, le sue statue di uomini e donne non sono assimilabili al "realismo socialista" alla Gerasimov, in auge nell'Unione Sovietica del tempo di Stalin, né i suoi affreschi sono la stessa co20 sa dell'architettura del Palais de Chaillot. Questa produzione, al di là del suo conformismo e del suo asservimento al potere, al cliente, è imbevuta di mortiferi ideali dei nazisti. Peter Ludwig si è spinto pericolosamente in avanti attribuendo a Breker un riconoscimento di onorabilità. Molti di coloro che si sono ribellati alle sue dichiarazioni hanno sostenuto che, piuttosto che nei musei tradizionali, il luogo naturale per le opere rappresentative del Terzo Reich sarebbe tra le vestigia dei campi di concentramento. E perché no, in fin dei conti? È grazie agli orrori morali che hannd potuto funzionare gli orrori fisici. Gli eroi di pietra cesellati da Breker sono inseparabili dalla barbarie in azione. E allora, invece degli addestramenti militari congiunti, perché non ipotizzare una coopeCINEMA Afriea: tutto e nulla. razione franco-tedesca da esercitare su questo versante? Anche alla Francia sarebbe molto utile un Museo della Barbarie, o qualcosa di imi1e.Gli anni del "collaborazionismo"vi avrebbero tutto lo spazio meritato. Vi si potrebbero leggere su pannelli giganti le storiche frasi dei Brasillach, Céline, Chardonne, Drieu la Ro- . chelle, Jouhandeauecc ecc ... E sarebbe presente ancheBreker, proprio lui, attraverso il ricordo della sua grande mostra all 'Orangerie delle Tuileries nel 1942. E potremmo vedere in sua compagnia la "crema" dei suoi ammiratori: Cocteau, Sacha Guitry, Dunoyer de Segonzac, Despiau, Belmondo ... Un mecenate di generoso umanesimo come è Peter Ludwig dovrebbe rifletterci seriamente. Progetti di questo genere sono importanti. E hanno bisogno di denaro. L'universotragicodi SouleymaneCissé Gianni Volpi Che un film africano, Yeelen. La luc,e, sia per la prima volta uscito nelle sale commerciali, costituisce di per sé un evento. Certo perché è un ulteriore segno, dopo quanto sta avvenendo per fa letteratura, di interesse e apertura e permeabilità alla cultura africana che può assumere forme regressive, tra primitivismi, esotismi, estetismi vari, ma può anche funzionare come principio attivo nel corso del contesto e esprime in_ognicaso un salutare allargamento delle conoscenze; ma ancor più perché infine un film africano esce di fatto da quell'ambito di protezibnismo economico e critico cui lo condannavano le attenzioni di troppi "petits blancs". Con le migliori intenzioni, una sorta di ghetto illuminato (e se contributi e aiuti hanno spesso un senso, non ne ha nessuno l'assenza di rigore nel dibattito e nei giudizi). Yeelen, invece, si mostra attrezzato a affrontare le rudezze del mercato e della critica. E ciò che più importa, lo fa senza rinunciare in nulla alle sue eculiarità etniche e culturali; Yeelen, anzi è il più "africano" e magico dei film di Cissé. Detto questo, bisogna subito aggiungere che ia sua autenticità non è quella di un incunabolo del continente nero (immagini povere, imperfezioni tecniche, dilettantismo). Come diéeva Calvino a proposito del primo Rushdie, il suo è un sapere ancestrale nutrito di letteratura (e cultura e cinema) moderno. Cissé ha fatto i suoi studi cinematografici al VGIK di Mosca, con Romm, bazzica gli ambienti parigini più cinéphiles, ha assimilato le-lezioni più sofisticate del cinema d'autore evropeo e a esso dà un contributo or-iginale,personalissimo. Autenticamente africano, anzi del Mali, anzi bambara, è il suo mondo, la storia che racconta, I'immaginario che evoca, ma senza arcaismi e chiusure. Le sue sono radici che "trattengono per dare linfa e non per delimitare". Sa che cosa prendere e che cosa rifiutare dcli' occidente sviluppato, la sua è una delle strade possibili per risolvere in maturità di risultati il dilemma tra vecchio e nuovo, tra tradizione e modernizzazione obbligata, che ha attraversato la cultura africana in questi vent'anni, in ogni caso è utile punto di riferimento. Yeelen è un film produttivamente "povero", anche se sullo schermo questa povertà non si vede, ché sta fuori, prima, intorno al film. Cissé ha messo insieme- segno di una condizione (in Africa girare un film resta un'impresa, non esiste un cinema, un'industria), ma anche di una capacità di usare utilmente, senza · compromissioni, un proprio status di autore internazionale - denaro di famiglia, diritti dei suoi precedenti film Baara eFinyé (entrambi di grande interesse), aiuti di Jack Lang e del ministero degli esteri francese. Là Fuji gli ha dato 1O mila metri di pellicola, il Burkina Faso gli ha messo a disposizione attrezzature e alcuni tecnici, il Mali i mezzi di trasporto e, in un secondo tempo, un prestito bancario. Si aggiunga una lavorazione avventurosa (di ben due anni, più volte sospesa per avversità naturali, per incidenti, per la morte dell'attore principale); ma tutto ciò è cancellato nel film, è mutato in leggerezza, in trasparenza. Un uni verso che ha I' evidenza delle cose primarie e vere, paesaggiacquitrini, savana, deserto - e figure - Bambara e Peuls, stregoni e guerrieri, re e donne, vecchi e bambini- e riti (per la cerimonia del Komo si tratta di veri iniziati, lasciati quasi improvvisare) e magie (riproposte nella loro bellezza e naturalità, in un gesto polemico verso il cinema antropologico europeo, e senza trucchi per impossibilità tecnica e per scelta) e animali (i polli e agnelli sacrificali, i tori e i leoni del-

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