Linea d'ombra - anno VII - n. 39 - giugno 1989

ARTE Per un museo della barbarie o: Dellprivalutazionedi uno scultorenazista Lione/ Richard A proposito del volume Nazi-Kunst ins Museum?, Klaus Staeck Hg., Steidl Verlag, Gottingen1988. C'era una volta il figlio.di un piccolo industriale di <;oblenza, nato nel 1925, che studiava storia dell'arte. Una ragazza -ricchissima, erede della cioccolata Trumpf, passava il tempo libero seguendo gli stessi corsi. I due si conobbero, poi si sposarono, e così Peter Ludwig diventò un fabbricante di cioccolato. Essendo ricco, a capo di un'azienda molto florida, si dedicò a collezionare oggetti d'arte, dall'antichità greca al Medioevo. E accumulò ben presto così tante opere da diventare indispensabile ai musei, cui cominciò a prestare regolarmente i suoi tesori. E 'il nostro cioccolataio arrivò così, a Aix-la-Chapelle, agli onori dovuti alla sua reputazione di generoso amatore d'arte. Modesti onori, a dire il vero, fino agli inizi degli anni Sessanta! Peter Ludwig limitava i suoi interessi all'arte antica. Ma ecco che all'improvviso, consigliato dal proprietario di una galleria di Colonia, si sposta verso l'arte contemporanea e compra, tra l'altro, opere di Warhol, di Twombly, di Lichtenstein. A Kassel, nel '68, sono i suoi acqui.sti a permettere, per la prima volta, alla rassegna Documenta dt non andare in deficit. Conseguenza naturale: i giornali lo esaltano, viene considerato un pubblico benefattore. Dietro al nome di Peter Ludwig si profila da allora,' nella Repubblica federale tedesca, tutto un programma di attività artistiche, e si direbbe anzi che senza di lui nessuna grande mostra sia più possibile. Ludwig sa mescolare abilmente alle occasioni filantropiche i contratti commerciali: presiede questo e sponsorizza quello, entra nelle giurie dei premi internazionali, fa parte delle commissioni che decidono le borse per i giovani artisti. E inoltre un museo nuovissimo, allegato al Wallraf-Richartz, porta il suo nome e ospita a Colonia le sue collezioni, in seguito a un accordo firmato con il comune nel 1976. Il potere, l'autorità del personaggio hanno dunque assunto un ruolo tale che ogni suo intervento non può non pesare, in Germania, sugli orientamenti artistici. Quando chiede aWarhol di fargli il ritratto, non si tratta più di un fatto privato, poiché l'opera può finire nelle collezioni del museo Ludwig. Quando ordina lo stesso ritratto al cittadino della Repubblica democratica tedesca Berhard Heisig, la scelta assume necessariamente· un carattere politico: non si tratta soltanto di riconoscere il valore (compreso quello commerciale, naturalmente!) di un pittore considerato rappresentativo di un'arte "socialista", ma di i asciar contemporaneamente capire che l'apertura all'Est ha da es- . sere incoraggiata. In queste condizioni, è comprensibile che la decisione di Peter Ludwig, nel 1986, di farsi scolpire con la moglie da Amo Breker abbia suscitato molti interrogativi. Da stratega abilissimo, non avrà forse fatto come quei librai parigini che riempiono i loro cataloghi di titoli di autori notoriamente comunisti o di sinistra, per poterci infilare senza rischio i libri nazisti? Non sarebbe finito anche Brekernel museo Ludwig, lavato dalle sue ufficialissime complicità con il Terzo Reich, e la sua opera considerata finalmente sotto il solo rigoroso profilo della qualità? ... Non ne sarebbe sorta pubblicamente nessuna polemica se Ludwig, interrogato dalla stampa su quest'ordinazione, non avesse tenuto a giustificarsi. Il primo settembre 1986 comparve sullo "Spiegel'' una sua intervista in cui · egli dichiara che Breker è "un artista interessante, un grande ritrattista" la cui produzione subisce un iniquo ostracismo. Da un lato, giudica assurdo voler cancellare dalla storiai risultati "artistici" degli anni che vanno dal 1933 al 1945. Dall'altro, non può accettare che degli "artisti" vengano messi in quarantena: e questo proprio perché pro~a sòlo odio nei confronti della politica nazista, consistita nel votare alla Scultura nazista di Arn'o Breker. pubblica condanna intere correnti artistiche. Infine, per quanto lui ne sa, Breker non si è affatto comportato "in maniera criminale". Lo stesso giorno in cui !'intervista Venne pubblicata, Peter Ludwig partecipò·a una conferenza stampa a Colonia in occasione dell 'uscita di un libro a lui dedicato. Chi avesse potuto pensare a qualche goffaggine o imprecisione di discorso, riportato con qualche forzaIL CONTESTO tura dalla penna di un qualche giornalista, dovette ricredersi: il nostro cioccolataio disse che le sue dichiarazioni erano autentiche, e ripetè senza esitazioni che molto rimpiangeva che l'arte dell'epoca nazista non venisse esposta in nessun museo tedesco. Il collezionista di avanguardia e il generoso mecenate si mostrò così allo scoperto, con stupore di alcuni, come un partigiano del tradizionalismo più dèsueto. Negli ambienti artistici, lo choc fu notevole. E la risposta vivace. Una campagna di protesta organizzata dal cartellonista Klaus Stàeck raccolse in pochi giorni circa duecento firme. Le personalità più note tra i critici d'arte e i conservatori di museo si unirono ali' appello lanciato il 6 settembre: "Non c'è posto nei musei per l'arte nazista". La disputa si basava forse su qualche malinteso? Peter Ludwig tentò di accreditare quest'idea.1118 settembre, tenne a precisare le sue posizioni nel corso di una trasmissione televisiva. Non ho mai voluto, disse in sostanza, che venisse onorata l'arte nazista, mi auguro semplicemente che si infranga il tabù per il quale. non si deve esporre l'arte prodotta in Germania tra il 1933 e iJ.1945. Ho mostrato a sufficienza, aggiunse, di.non avere nessuna simpatia per il nazismo, ma questo non può·impedire che io mi pronunci a favore di un'immagine più obiettivadella nostrastoria. Edi prendersela con una mostra dedicata di recente all'arte tedesca del XX secolo, peraltro considerevole, nella quale il periodo 1933-45 era solo una "macchia bianca". I successivi interventi con i quali Ludwig · tentò ingenuamente e con franchezza di giustificarsi, non fecero che accusarlo ancor più, dimostrando quanto i suoi avversari l'avessero capito alla perfezione. Per cominciare, ciò che viene incensato come "arte sotto il Terzo Reich" è stato, anche se parzialmente, già pre~ sentato al pubblico del dopoguerra: un'esposizione del '74 a Francoforte ha provocato non poche controversie e lasciato non poche tracce nelle memorie. Ma queste presentazioni sono state fatte a titolo documentario, per illustrare con degli esempi la politica culturale del nazismo; mentre ciò che Ludwig ha chiesto è semplicemente che le produzioni di Breker, Thorak e altri possano venir presentate a fianco di quelle di Beckmann, di Giacometti, di Klee o di Picasso. Tutta la questione verte in fondo su questo punto. Per Peter Ludwig, Breker è un "artista", anzi un "aftista" di valore, che merita di conseguenza di entrare nei musei come un degno rappresentante dell'arte del XX secolo. Per Klaus Staeck e i firmatari dell'appello, Breker ha invece tradito l'etica dell'arte sottomettendo la sua creatività a un regime che sosteneva apertamente la distruzione e l'assassinio. Mentre egli glorificava questo regime, l'arte autentica ne veniva bandita, respinta come "degenerata". Ed egli ne era soddisfatto. Aprire le porte dei musei a lui e ai suoi pari, porterebbe al loro snaturamento, perché la funzione del museo non è quella di mettere in mostra qualsiasi CO" sa, ma di operare una selezione. Nel 1981 la partecipazione di Amo Breker alla esposizione Paris-Paris/1937-1957 al Cen19

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