cato ricicla l'orinatoio, lo tira in cento copie e lo mette in un museo: ma questo non ha nessul} senso, è una mistificazione. Invece La lunga notte, è il tentativo di ricostruire quella mescolanza di storia e natura italiane che è stato il fascismo, il modo in cui si sono vissuti quei vent'anni, e in cui si è continuato a vivere per certi aspetti anche dopo. Alla base di questo tentativo ci sono anche dei ricordi: da ragazzino mi affacciavo alla finestra e vedevo passare gli eserciti, vedevo Mussolini appeso a Loreto (è qui, a due passi), ho sentito il rumore dei colpi quando hanno ucciso quindici partigiani, quindici prigionieri politici a Loreto, ragion per cui dopo ci hanno portato Mussolini. Ho sentito la gente, ho visto la storia, la storia grande cioè, farsi scena quotidiana. Questo mi ha molto emozionato. Volevo perciò rappresentare proprio questo periodo della storia italiana, cercare di rievocare per esempio il senso di certe parole di allora, come "Roma", "fa: scisma", "gerarca": parole che avevano un senso enorme, che rischiava di consumarsi in una piccola cifra che definiva soltanto un'astrazione. E allora mi sembrava giusto cercare di parlare di quelle cose; della Milano di quegli anni, del periodo dell'occupazione. In quelle condizioni senti per esempio che si determina un soggetto plurale: la gente dice "noi", è strano. In condizioni di normalità, o di apparente normalità, c'è la frantumazione dei soggetti individuali, ognuno va per conto suo; in quei momenti invece tu sentivi che era diverso, lo sentivi proprio, andavi sul tram e sentivi che tutti condividevano una certa sorte, uria certa condizione, e quando raccontavi che avevi visto un tedesco che aveva buttato via la gente che faceva la fila, era uscito coi pacchi delle sigarette e se n'era andato, tutti ne parlavano, tutti erano coinvolti; e poi tutti erano coinvolti nella fame, nel freddo, nella paura, nella miseria. Emergeva così un soggetto plurale, e in certe pagine del libro io tento di usare dei soggetti plurali, di dire "i milanesi", "loro", e non "lui". Probabilmente queste comunanze sorgono nei momenti rivoluzionari,.nei grandi momenti di tensione, ma anche nei momenti di paura, di dolore, di amarezza, che poi sono molto brevi, purtroppo ..: no, "purtroppo" no! Non si può dire! Con L'Opera hai creato quel protagonista-narratore di cui parlavi prima, che si ritrova ne La lunga notte, e che appartiene alla grande famiglia degli anti-eroi della letteratura Otto-Novecentesca. Ma perché questo personaggio fa il giornalista? Perché mi colpiva nella figura del giornalista il naturale entrare in contatto con ambienti del tutto diversi. Un giornalista un giorno s'interessa del problema degli additivi chimici, e due giorni dopo s'interessa, che so, di un rapimento, va in un paese della Calabria, e parla con i familiari del rapito. Questa possibilità, che è uno dei disastri di un certo tipo di comunicazione, costituisce comunque un tipo di sguardo, uno sguardo vuoto se vuoi, completamente disponibile, per certi aspetti nichilistico: è uno sguardo sul niente, perché per esso tutto è esattamente uguale a tutto. Probabilmente poi m'interessava sostituire a un io narrante impersonale, con tutti i vizi, i rischi, e la sua probabile impossibilità attuale, un io narrante che fosse a sua volta un personaggio, e che continuasse a riportare se stesso, quel suo se stesso traballante, instabile, all'interno della narrazione, consentendo perciò stesso lo scatto di livelli diversi. Mi piaceva molto che il basso continuo INCONTRI/TADINI fosse un anti-eroe: mi consentiva delle melodie molto alte proprio perché c'era il freno della condizione anti-eroica. Nella formazione giovanile del protagonista de La lunga notte è decisivo il cinema. Che cosa volevi dire con quel Prologo al cinema difaustiana memoria? Mi sembra che il rapporto col cinema sia importante per il contrasto tra la condizione di minorità, marginalità, identità instabile del protagonista ... Anzi ... è proprio nella merda totale! ... e il tentativo di adottare pose e modelli di comportamento presi a prestito dagli eroi del cinema hollywoodiano. Questo era voluto? Sì, c'è la suggestione autobiografica di certi pomeriggi in un cinema qui vicino, proprio sull'angolo di via Porpora. Ricordo quelle interminabili apparizioni di certe figure, e il tentativo di usare quei modelli non nel senso profondo del personaggio ma nel manifestarsi materiale, e minuscolo, di un gesto, di una posa. Da lì è venuta l'idea di trasformare questo mio passato in un Prologo al cinema, che servisse a determinare la genealogia di queli 'io narrante così scassato. E invece da dove ti è venuto ilpersonaggio di Sibilla, colei che racconta al protagonista "la lunga noue" del fascismo e della guerra, col suo nome così ostentatamente emblematico? Sibilla .nasce dal teatro leggero deg!i anni bui, diciamo dal 1943 al '45 a Milano. Io non ci andavo, però vedevo le fotografie fuori dai teatri, vedevo i manifesti. Per esempio quando han- .no ucciso i quindici partigiani, li hanno ammucchiati davanti a una staccionata (allora c'era un distributore di benzina lì in Loreto): su questa staccionata dietro i quindici morti c'erano delle locandine con le indicazioni degli spettacoli leggeri, scritte tutte a grossi caratteri neri. E c'era una rivista di teatro, che si chiamava "Il Dramma", con al centro un inserto di fotografie di attori, di attrici: era un mondo strano, insieme molto presente e inctedibilmente lontano dalla mia vita quotidiana, ed esercitava su di me adolescente una grande suggestione. Ali' interno della cultura, del costume dell'Italia fascista, tutto impostato sull'Italia proletaria, e sul personaggio popolare, queste figure conservavano l'immagine di una certa élite, di personaggi eleganti, lussuosi, che vivevano nei grandi alberghi: era una contrapposizione curiosissima. Sibilla è venuta fuori da lì. Il nome poi rimanda alla Madame Sosostris della Terra desolata, e mi affascinava la possibilità di far convivere un personaggio mitico, alto, e uno concreto come l'attrice italiana di quegli anni, di cinema, teatro, e soprattu'tto di teatro leggero, di quel grande varietà che poi è andato avanti anche dopo la guerra. ' In questo libro domina anche l'idea della vita come rappresentazione, teatro, e carnévale, un'idea più barocca che pirandelliana. Sì, mi sforzavo di riprendere la grande intuizione tè~tralegreca di unire il comico al tragico: è un 'invenzione straordinaria aver imposto agli autori che partecipavano ai concorsi di aggiungere alla trilogia tragica anche la commedia. Ed è fantastico che questo sia stato inconsapevolmente rifatto dai rozzi distributori e pro73
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