·ii_ ~W4{;,- i- .. ùtR. • ,W., (J.u. e,:_ \Wtl~ {lit, . /4. )1(- !h: ( We..:/,J{;_~'' M ·, . . ~ ~ grande impresa giapponese. Questo ha cambiato molto le cose, perché il valore che si determina attraverso la vendita all'asta è molto superiore a quello che veniva determinato attraverso la vendita privata dal mercante. Così i collezionisti, i critici-funzionari, i critici-manager, che gestiscono i grandi musei e determinano operazioni che hanno influenze enormi, alcuni mercanti, soprattutto tedeschie americani, pochi italiani, i musei e le cased'asta determinano una situazione in cui un giovane o riesce a entrare nel giro, o non è niente. Per certi aspetti è vero che un giovane oggi è più favoritodi quarant'anni fa, quando erano anchepochi quelli che ci provavano. Ma ora ha quest'ossessione di entrare nel meccanismo, per cui se non riesce a essere nel momento giusto al posto giusto, è tagliato fuori. Capita di vedere pittori che per un anno sono lì lì per partecipare al grande giro, e l'anno dopo non ci sonopropriopiù, spariti. È un meccanismo spietato.Peraltro in Italia c'è una condizione abbastanzaparticolare, perché, nell'assenza totale di istituzioni e di un mercato pubblici, e di acquisti da parte dello stato, c'è un collezionismo piccolo e medio che manca in altre parti del mondo, e che costituisce una valvola di sicurezza mantenendo, ali' infuori e contro il grande giro organizzato, la possibilità di una circolazione, anche se ristretta, di un certo numero di opere. Per quanto riguarda i valori, io non credo possibile elaborare degli schemi per cui, se metti uno scrittoo un dipinto qualsiasi in una specie di macchinamentale, e prende i suoi circuiti giusti, alla fine sai se è bello o no. È sempre una somma estremamente complessa di elementi, di culturà, di contesti, di esperienze personali. La storia dimostra che non è possibile costituire l'estetica come una scienza esatta, anche perché l'oggetto cambia di con, tinuo. Al Metropolitan di New York c'è una sala, dove, accanto ai Vermeer, ci sono opere di quattro o cinque pittori fiamminghi, che vivevano nella stessa città, con la stessa luce e gli stessi oggetti intorno, vedendo la stessa gente, ritraendo le stesse cose, in certi casi addirittura con gli stessi tagli, usando le stesse tecniche di pittura. Chiunque abbia l'occhio un po' esercitato capisce che dove ci sono i V~rmeer"succede" qualcosa che non succede neINCONTRI/TADINI gli altri quadri. Lì il caso è singolarissimo, perché c'è una comunanza di tantissimi elementi, di quasi tutti gli elementi che dovrebbero essere determinanti. Tu senti, vedi, percepisci che la qualità della luce che c'è nei quadri di Vermeer, della materiapittorica, è un'altra cosa, ma come si fa a definire la differenza? Sì, puoi parlare di pennellata, del modo con cui è trattata l'illuminazione, però èmoltodifficile determinare una serie di elementiche ti consentano di essere applicati anche in un altro caso. Anche tra un pittore espressionista di medio livelloe un Van Gogh capisci che succede lo stesso, però gli elementi in ballo sono diversi. Mi rendo conto che il risultato di questo discorso è banale, perché è bello quello che ti viene da definire tale, e di fronte alla domanda "Perché?" farfugli qualcosa che non sai bene. Penso del resto che sia più facile determinare in parole il valore, che so, di una lirica, perché la letteratura usa lo stesso tipo di materiale linguistico. Ma andare fino in fondo con le parole nell'analisi di un linguaggio che usa-un materiale diverso è davvero molto difficile. Difronte a certe manifestazioni di_massa(penso per esempio alle impressionanti code per Van Gogh) mi pare che gli intellettuali abbiano due tipi fondamentali di reazioni: c'è chi protesta contro lo snobismo di massa.per cui anche la cultura diventa uno "status symbol" e un elemento di auto-gratificazione consumis1ica, e c'è chi dice invece che esiste una nuova richiesta di cultura, legata alla scolarizzazione di massa, che è unfenomeno positivo. Tu che dici? Forse quando vediqueste scene selvagge, le lunghe code,certe considerazioni vengono spontanee. Però io non sono d'accordo con chi contrappone al presente unpassato di fervorosapartecipazione all'opera d'arte. Il fatto che un gran numero di persone intravvedaconfusamente qualcosa che non appartiene alle dure leggi della vita di tutti i giorni, una dimensione che si contrappone alla quotidianità, be', non mi sembra poi così negativo. Lo stesso direi del relativo diffondersi di certe conoscenze, dovuto proprio alla scolarizzazionedi massa.Certeamarezze mi sembrano espressionedella rabbia di una classeche ha sempre goduto di certi piaceri e che ora li considera decaduti perché li hanno tutti. È molto facile mettersi lì a ridere degli strafalcioni della gente, e della montatura commerciale che c'è intorno: ma non c'è soltanto questo. Alla gente che vede una mostra di Van Gogh, qualcosa rimane comunque in mente, un'immagine, una figura dipinta, e questo è già un acquisto formidabile, anche se poi queste persone equivocanomostruosamente sul senso di quel valore,anche se la loro percezioneè guidata da strumenti falsificatori. El' alternativa poi quale sarebbe? Non capisco. Educare con dei corsi di estetica di quattro anni tutta la popolazione di un paese?·Portare tutti alla piccola collezione di miniature medioevali? La cultura di massa pas!ìaattraverso momenti di volgarità, di abbassamento di livelli, ma è l'unica ~tradapercorribile. Certo, il modoin cui si configura il rapporto fra il mito di massa e l'oggetto in se stesso, è falsificante. Però è sempre la spia di un'aspirazione a qualche cosa, del desiderio, del bisogno di trovare altri valori, diversi dai sottovaloriche ci governano quotidianamente. Lagenteche si attacca al muro unariproduzione di VanGogh, sì, sbaglieràtutto, sarà mossa da motivazioni di second'ordine, di quart'ordine, ma insomma ha tratto con sé qualcosa che si svilupperà, 71
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