Linea d'ombra - anno VII - n. 38 - maggio 1989

un bell 'urlaccio caloroso o una maledizione, soltanto questa risata silenziosa, furba, diffidente. Posso immaginare cosa avrebbero detto di me se gli avessi chiesto di entrare. No, esagero. Non pensano e non dicono nulla di ·quel che io potrei immaginare che pensino o dicano. Parla per te; nessuna falsità. Ci sono già abbastanza falsità; è già stato fatto abbastanza male. Per tutto il resto del pomeriggio ho trasportato il carbone dal recipiente ali' aperto fuori dalla cucina fino al garage, che può essere chiuso a chiave, e la casa mi osservava altezzosamente, mi vedeva come sono davvero. Una volta o due le ho restituito lo sguardo e ho pensato che anch'io forse la vedevo com'era davvero. Ma mi sconfiggerà di certo, perché ha una grande qualità, è molto furba. Sa come nascondere il proprio odio sotto una maschera ipocrita - ancora una maschera beige, naturalmente - perché qui tutto quel che può essere beige è beige, la vernice', i tappeti, le tende, le tappezzerie, i copriletto. Ogni cosa indossa questa maschera neutrale- il paese, la gente, il cielo, perfino gli alberi non sfuggono a questa regola. Ma prima di esser riuscita a riempire il recipiente a metà mi sentivo stanca come se avessi camminato per cinquanta migliastanca e del tutto disperata ... Ora questo bagno sarà sempre una buca per me e una buca schifosa oltre a tutto. Ero troppo stanca per aver voglia di mangiare ma sono anda~ a letto con una bottiglia di birra riempita d'acqua bollente per stare al caldo. Tutti i letti sono freddi, stretti e duri. Ci sono.tre stanze da letto. Le pareti di questa sono decorate con fotografie di templi greci - suppongo siano templi, colonne per lo meno. C'è un tavolino da toilette da due soldi con uno specchio che non vuole stare a posto, un armadio nello stesso stile del tavolino e una sedia dallo schienale diritto. Anche qui ho messo dei cuscinetti paraspifferi lungo i davanzali della finestra perché ricordo come riparavano bene dal freddo a Vienna. Lentamente mi calmo un poco e poi sono calmissima. So che il secondo stadio della solitudine è finito e che il momento peggiore è passato. Guardare i cuscinetti e ricordare i mucchi di neve di un biancore giallastro e la statua dello Spirito Santo. "Nubi di pietra," disse André. "Molto tedesco! Come le interiora di un tacchino." Un'altra volta disse, "Le gambe sono la parte più nobile, più bella, armoniosa e interessante del corpo umano." Io dissi No, non ero d'accordo. Discutemmo seduti a un tavolo del Parisien davanti a bottiglie di champagne tedesco. Non era chic berlo. Di tanto in tanto facevi salire la schiuma nefbicchiere con uno di quegli aggeggi di legno che avevano e poi facevi _fintadi sorseggiare. Mi pare di vederci là seduti e vedo la mia pelliccia di astrakan e il vestito che indossavo ma non ci sono io dentro. Ogni cosa è nitida, luminosa, ben definita- un po' più piccola di quanto non sia in realtà, forse, e le voci vengono da una certa distanza, ma sono molto chiare. È "Rolvenden" a essere dietro di me, nella nebbia. Nella camera da letto dell'appartamento nella Razumoffskygasse c'erano bassi tavolini da caffè, vetri di boemia, un gran quadro di Franz Joseph e quadri più piccoli ai due lati del generale e di Madame von Marken. Pierre entrò e disse "Brava" quando mi vide col mio nuovo vestito nero. C'era-un odore di lillà quando si usciva in strada, di lillà, di scarichi e di passato. Sì, di questo sapeva Vienna allora ... STORIE/RHYS La danza della spada e la danza dell'amore Ogni quindici giorni gli uffi,ciali della delegazione giapponese ricevevano il loro seguito all'Hotel Sacher. I giapponesi avevano un gran bisogno del loro se·guitoperché nessuno di loro conosceva tutte e tre le lingue necessarie - francese, inglese, tedesco. C'erano interminabili discussioni sulla traduzione esatta dei documenti. Avevano paura di non mostrare il tatto che i rappresentanti di una potenza asiatica avrebbero dovuto avere, paura di votare con la minoranza invece che con la maggioranza - que- .sto sarebbe stata la loro fine a Tokyo. Così il colonnello Hato aveva il suo segretario e consigliere privato - che era André- e il tenente colonnello Matsu aveva il suo - che era Piem<. Poi c' erano altri quattro ufficiali (all'inizio - irnumero aumentò poi a scatti e a balzi), l'attaché della marina, le dattilografe, accuratamente scelte da Matsu a Parigi e tutte molto gradevoli da vedere anche se non tutte proprio efficienti, a detta di Pierre, di un interprete ungherese e di vari altri sfaccendati osservatori. Alla fine dei lunghi, elaborati pasti alcuni ospiti si congedavano e gli altri andavano alla porta accanto, nel salotto di Matsu - finestre alte, dalle tende di seta, mobili dorati; specchi luccicanti. Poi apparivano le bottiglie di Tokay·e di ki.immel e i giapponesi si toglievano la maschera. Poi venivano tirate fuori e fatte circolare le fotografie. "Questa è Madame Yoshi." "Com'è graziosa!" "È vestita all'europea." "Com 'è sorridente e felice!" "Certo che è sorridente," disse il capitano Yoshi, con aria piuttosto arcigna, pensai- "Madame Yoshi è una donna molto fortunata. Madame Yoshi sa di essere una donna molto fortunata." Le fotografie di Matsu erano del suo bambino e delle sue tre figlie i cui nomi significavano Risveglio mauiniero, Ordine e Sole del Mattino. Aveva comprato una màcchina da scrivere per ciascuna delle figlie, come regalo. Non ci disse mai il nome del figlio, o quale regalo gli fosse destinato. Troppo sacro? Il capitano Oyazu non aveva fotografie, ma in meno di un batter d'occhio riusciva a trasformare il giornale della sera in una rana che pareva lì lì per mette~si a saltarè e sorrideva i_nmodo compiaciuto, infantile, quando lo ammiravano. Quella particolare sera il colonnello Hato e Oyazu se ne andarono dopo il primo bicchiere di Tokay, e non appena se ne furono andati Yoshi cominciò a danzare. Yoshi era il più alto, il più bello e il meglio vestito degli ufficiali giapponesi e parlava il francese e il tedesco meglio.di tutti gli altri. Per prima eseguì la danza della spada, usando ombrelli invece di spade, e poi quel che credo fosse una danza d'amore perché mise i piedi ad angolo retto e tenendo un ombrello dritto venne dietro di noi a passo di dan- . za, guardando le donne del gruppo obliquamente e con aria beffarda. Ma Simone, che era la più graziosa delle dattilografe e aveva soltanto diciott'anni raccolse subito la sfida. Danzò davanti a lui con le mani sulle anche, ridendo, imitando alla perfezione ogni suo passo, e dopo qualche tempo la tensione e la sfida scomparvero dal viso di lui. La attirò a sé e cominciò un goffo foxtrot. André suonava Dardanella per loro, al pianoforte. 59

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==