ILCONTESTO L'impotenza verde Un movimento e le sue contraddizioni Marino Sinibaldi Il paradosso di questa fine secolo sarà probabilmente questo: tutti sapremo quale è il Problema, la Questione Capitale, il Nodo Decisivo; nessuno avrà Metodi, Sistemi, Soluzioni. È lo scenario dell'Impotenza verde. Una nuova sensibilità che si diffonde e ha grandi potenzialità, rischia di smarrirsi, soffocata sotto il peso di due schiaccianti contraddizioni. La prima è la sproporzione tra l'entità del disastro e ciò che viene fatto (ma forse addirittura ciò che può realisticamente, concretamente.essere fatto). È stato già notato come certe grida allarmiste (Dieci anni di tempo per salvare il pianeta! Senza r Amazzonia moriremo soffocati!) abbiano effetti ambigui. La recente notizia secondo cui la normale radioattività delle mura domestiche rende la permanenza nelle proprie case più pericolosa di qualunque soggibrno in zone inquinate, mi sembra esemplare: che cosa possiamo farci, come dobbiamo reagire, che tipo di rivendicazione o issue (per usare termini cari alla politologia ambientalista) possono realisticamente, concretamente innescare informazioni del genere? Rischiano di disarmare più che di provocare. Sembrano invitare alla rassegnazione più che alla ribellione. Ma certo i cittadini milanesi che il pomeriggio di un sabato dello scorso gennaio, in presenza di dati di inquinamento prossimi al disastro, hanno bellamente ignorato l'invito a rinunciare all'automobile almeno per lo shopping, a modo loro hanno risolto il dilemma; in perfetta · coerenza con l'immortale motto italico "Me ne frego" verrebbe da dire. E c'è poco da essere campanilisti, ovviamente: a Roma l'inarrestabile aumento del traffico privato ci sta trasformando tutti, patrizi e plebei, in un popolo di lemming, Ma il fatto che .-Ar , i / .J ', l . ~ " .., ~-· proprio la metropoli lombarda così civile, evoluta, "di siniDa un quadro di Mario Schifano stra" (e anzi ora ròsso-verde) abbia dato prova di una tale pacchiana indifferenza dovrebbe colpire: la sproporzione tra una sensibilità accertata da infiniti sondaggi e i comportamenti concreti è evidentemente incommensurabile. L'indisponibilità ad abbandonare l'oltranzismo consumista, questa peculiare cifra antropologica degli anni Ottanta, è ancora il nocciolo della questione, lo zoccolo duro dell'inquinamento. Eppure bisogna capirli, quegli irrefrenabili automobilisti milanesi. Di fronte a una situazione così drammatica, a pericoli che spuntano ovunque (le case, i mari, là terra, lo spazio), ad allarmi che arrivano da ogni lato (l'Amazzonia, l'Antartide, il fiume sotto casa, i freni della propria auto), ci si sente come il messaggero di cui parla Kafka: tutti i suoi sforzi sono inutili, il mesSilggio che l'imperatore morente gli ha affidato non raggiungerà mai il 4 destinatario. Perché il messaggero non riuscirà mai a liberarsi dalla folla che-lo preme; e anche se così non fosse, non arriverà mai alla scala; e comunque mai raggiungerà i cortili; e in ogni caso c'è la città enorme, davanti a lui, e poi il mondo intero ...: "mai e poi mai potrà avvenire". Rinunciare perun giorno all'automobile sarebbe come scendere uno, uno solo di quei gradini: nulla di più ingenuo, illusorio, vano, devono essersi detti i kafkiani automobilisti milanesi. L'apologo di Kafka è molto suggestivo, ma nelle nostre condizioni suona un po' falso. È più "pertinente" un altro eroe letterario, Michele Strogoff: magari fingersi ciechi ma portarlo, il messaggio all!imperatore. L'unica etica possibile, in questi casi, l'unico comportamento che non ci renda complici della distruzione mortale, è quello del "come se": pensare e agire "come se" fosse possibile fare davvero qualcosa, provando a salvare qualcosa, intanto (se non altro se stessi e la propria coscienza, anche se sarebbe troppo poco). Sarebbe stato interessante di-scutere questo, nei mesi alle nostre spalle; e invece i giornali, nei giorni del "sabato ne,ro" milanese, erano pieni di articoli preoccupati del "delirio verde" e del "risorgente antindustrialismo". Certo, dipende dal fatto çhe i giornali sono in mano al potere: il potere dell'au- ·tomobile, quello, ora un po' meno spudorato, del nucleare, quello sempre arrogante della carta stampata; la voce degli opinionisti evergreen (Giorgio. Bocca) o emergenti (Angelo Panebianco) insorge compatta, appena appaiono minacciati i grandi miti del nostro tempo (lo Sviluppo, i Consumi...). Maladebolezzaculturaleepolitica dei verdi italiani ha permesso che questo avvenisse, per così dire, senza opposizione. E che nel senso comune la piatta e banale percezione di questa sproporzione- le dimensioni della tragedia ambientale e quello che si può fare - finisse per divèntare il più grave ostacolo all'allargamento della coscienza ecologista (oltre che un comodo alibi, naturalmente). E invece - sarà per un difetto di prospettiva o solo la scelta di un terreno più facile da affrontare- la sproporzione che ha agitato le acque del variegato universo ecologista è un 'altra: quella tra le possibili dimensioni del movimento, la sua natura, i suoi valori e la sua ormai piuttosto stabile rappresentanza politico-istituzionale. ("Linea d'ombra" si ,è già occupata di questo aspetto della questione ecologica. Perché molti di noi sono vicini al movimento e anche alle liste verdi. Ma soprattutto perché lo sviluppo e le difficoltà del movimento verde in Italia sono rivelatori della situazione culturale - in senso lato, anche di cultura po-
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