Linea d'ombra - anno VII - n. 38 - maggio 1989

PACE O LIBERIA~? Introduzione al pensiero di Giinther Anders Norberto Robbio Non vorrei tradire o impoverire il pensiero dell'autore, ma mi . pare che le tesifondamentali desumibili da questo Diario (G. Anders, Essereo non essere.Diario di Hiroshimae Nagasaki, Einaudi, Torino 1961. Le pagine qui riprodotte sono la prefazione da me scritta al libro) possano essere riassunte nei cinque punti seguenti: 1. una guerra atomica potrebbe portare all'annientamento fisico di tutta l'umanità; 2. la guerra atomica è un evento possibile; 3. questo ev~nto finale della storia umana non può essere considerato come una alternativa, e quindi come oggetto di scelta fra altri eventi possibili; 4. la constatazione della possibilità dell'evento e l 'impossibilità di considerarlo un'alternativa fra le altre, ci impone perentoriamente di prendere in qualche modo posizione contro la continuazione della politica atomica; 5. un modo di prendere posizione può consistere nel rendersi conto che la nuova situazione crea nuovi doveri di ciascuno di fronte ai propri simili, una nuova morale. L'enunciazione di questi cinque punti può servire a caratterizzare la posizione dell'autore nei riguardi di cinque altri possibili atteggiamenti di fronte alla catastrofe atomica, contro i quali il Diario conduce una polemica, ora scoperta ora allusiva, sotto for- · ma di dialogo con interlocutori più o meno immaginari, di riflessioni occasionali, di vere e proprie tesi filosofiche, di confessioni autobiografiche. · Gli avversari più comuni (e volgari) sono i cosiddetti "minimizzatori". Ve ne sono di due specie, secondo che dicano "no" al primo punto o al secondo. Rifiutare il primo punto vuol dire ammettere che, sì, la guerra atomica è spaventosa, ma non bisogna esagerare: questa guerra è una estensione quantitativa, non una trasformazione qualitativa delle altre guerre; per quanto grande la strage, è impossibile che gli uomini muoiano tutti, e l'umanità, bene o male, sopravviverà. Discorsi di questo genere, si ascoltano tutti i giorni: rappresentano il modo più facile per mettere il cuore in pace, e non pensarci troppo. Per comprendere l'estensione in quantità, basta il comune raziocinio; perafferrare una trasformazione qualitativa, occorre un certo sforzo d'immaginazione, l'abbandono di comode pigrizie mentali. Contro le prediche dei soliti moralisti, che in questa occasione sono battezzati "profeti dell'apocalisse", questo atteggiamento vuol essere la rivincita del buon senso. I guastafeste possono dire quel che vogliono: loro, gli uomini del buon senso, non ci credono. Si capisce benissimo che dietro questa facciata di buon senso c'è semplicemente il desiderio di non pensare alle cose che rovinano il buon umore e la salute. Il buon senso pretende di essere realistico contro il senso traviato degli incorreggibili idealisti. Ma, appunto, lo dice molto bene il nostro autore, per capire che cosa potrebbe accadere in una situazione così straordinaria, come lo scoppio della guerra atomica, ci vuole immaginazione, spirito inventivo, rifiuto dei luoghi comuni, capacità di sottrarsi alla presa delle propagande accomodanti e interessate. Così accade che proprio coloro che accusano i profeti di sventura di essere utopisti, sono, senza saperlo, i veri utopisti, perché finiscono per scambiare per cosa reale quella che sin d'ora è una probabile irrealtà: la sopravvivenza del genere umano. Si leggano le ultime battute del dialogo fra l'autore e uno di quelli che stanno con i piedi sulla terra: "Sognatore ostinato che non è altro! Tutto il suo ottimismo non fa che riposare su un'omissione: sul suo rifiuto di rappresentarsi la- reale, imminente- irrealtà del mondo. Il perché di questo: un'eccessiva abitudine all'essere, o mancanza d'indipendenza o pigrizia o viltà - non spetta a me, straniero, di stabilirlo". L'altra schiera di "minimizzatori" è composta da coloro che non accettano il secondo punto. Essi dicono: "Ammettiamo che l'evento è terrificante e che, se dovesse accadere la guerra atomica, l'umanità non potrà sopravvivere; mal' eventononaccadrà". È molto chiaro lo spostamento dell'argomentazione dalla discussione sulle conseguenze alla discussione sulle premesse. In questo caso si è d'accordo coi "professionisti del panico" sulla valutazione delle conseguenze, ma non sull'esistenza delle premesse che dovrebbero condurre a quelle conseguenze. L'umanità intera è destinata a scomparire se la guerra atomica esploderà; ma la guerra atomica non esploderà. Ho l'impressione che nella bocca tanto dell'uomo della strada quanto dell'esperto, questo sia l'argomento più corrente (anche se nelle pagine di Anders non è preso di petto come gli altri). E non consiste evidentemente in un atto di omaggio a nobili ragioni morali, ma semplicemente in un calcolo delle utilità: da quando le armi atomiche sono nelle mani di tutti, è come se non fossero nelle mani di nessuno; la guerra atomica, pulita o sporca che sia, non è conveniente; la politica è dominata dagli interessi, e questo tipo di guerra non fa l'interesse di nessuno, ma la sciagura di tutti. Nel Diario questo argomento è visto un po' di sbieco, ed è considerato (e respinto) in una delle variazioni più tradizionali: la fiducia nei competenti. Perché ci si dovrebbe preoccupare dicose che stanno al di fuori delle nostre possibilità? Ci sono o non ci sono i competenti della politica? E dovremmo pensare che i competenti siano diventati così incompetenti da distruggersi a vicenda e da distruggere insieme con essi tutta l'umanità? La risposta che Anders dà a questo tipo di argomentazione già lascia intravvedere la direzione verso cui muove, la soluzione cui vuole arrivare: un appello ad un nuovo impegno morale, fondato sulla responsabilità comune, a cui nessuno può sfuggire, perché mai come oggi è stato chiaro che siamo tutti sulla stessa barca. Siccome è in questione la sopravvivenza stessa dell'umanità, non vi sono più competenti: tutti gli uomini sono competenti allo stesso modo, e debbono assumersi il peso e il rischio di questa competenza. Anche in questo caso, l'efficacia persuasiva dell'argomentazione è affidata a un dialogo con lo specialista di un "ramo", di cui le battute salienti sono queste: "Perché non lascia tutta la faccenda ai signori che se ne intendono?". "Per una ragione molto semplice. Questi signori non esistono". "C'è sempre un competente in ogni ramo". "Questa è la cosa più terribile". "Che cosa?". "Che lei consideri la distruzione eventuale del mondo come un ramo fra gli altri". E più oltre: "E chi pensa, dice e ripete che dobbiamo fidarci dei 'competenti', mostra, oltre che di essere pigro, di essere assolutamente incompetente. Nel ramo 'fine del mondo"'. Accanto alle due schiere di "minimizzatori", dei quali, come abbiamo visto, i primi negano le conseguenze, gli altri le premesse, vi sono coloro che, pur accettando e le premesse e le conseguenze, le quali riguardano constatazioni di fatto, più o meno ve37

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