Linea d'ombra - anno VII - n. 38 - maggio 1989

IL CONTESTO CONFRONTI l'estasi senza rischiodi ElvioFachinelli Filippo La Porta Caro Elvio Fachinelli, desidero subito dirLe che dalla lettura del Suo libro sull'estasi si apprende che Lei sta fondamentahnente bene in questo periodo; che dalle Sue finestre milanesi si arriva perfino a scorgere, strizZllildo un po' gli occhi, quella lucente superficie marina che Freud non riusciva a vedere dal suo triste studio viennese (anche se, come Lei scrive, ne intuiva l'esistenza). È vero che, come ogni "guarito" (nel senso più ampio del termine) Lei è preso dalla incontenibile smania di farcelo sapere a tutti i costi; però l 'evento in sénon può che rallegrare gli animi, proprio nei mesi in cui si risveglia la giovane dea della vegetazione Kore, leggermente disturbata dal!' effetto-serra. E vorrei anche rassicurare i lettori di questa rivista, in ansia per le sorti della Ragione, che il Suo libro non èqualcosada cui difendersi: anzi, per usare una Sua immagine, deve essere serenamente accolto con gratitudine, per la sincera passione con cui affronta tematiche scivolose. Quello che subito colpisce è il disarmante candore di colomba che traspare dalle Sue pagine e l'astuzia compositiva da volpe che sottende l'insieme (un accattivante montaggio che alterna capitoli-saggio, quasi specialistici, a capitoli che si distendono narrativamente, a capitoli diaristici e liricheggianti). Candore e astuzia che creano un cortocircuito intellettuale di indubbio rilievo. Certo, può fare uno strano effetto sentirsi dire da unopsicanalistache il limite della psicanalisi consiste nell'ossessione di vigilare, difendersi, controllare. Come se un teologo ci avvertisse, dopo una hmgaesoffertameditazione; che il limite del cristianesimo consiste nel!' esagerare questa faccenda dell'esame di coscienza! Ma tant'è: come Lei sa bene, la superficie coincide misteriosamente con gli abissi, il vuoto si ribalta in pieno. A pensarci bene, tutto questo può anche essere consolante: ci solleva in qualche misura dall'obbligo pedante di scavare, di non fermarsi alla prima impressione ... Ferma restando però la gratitudine vorrei dirLe però che il Suo libro solleva perplessità e interrogativi che tenterò di porle nel modo più schematico possibile, scegliendo naturalmente unatraletanteprospettivedacuièpossibileleggerLa: -Davvero l'uomo civile, dopo aver finora accantonato l' estaticoperragioni di pura necessità (come Lei osserva), potrebbe finalmente concedersi qualche spensierato passo di danza? Dopo aver faticato a erigere imperietrabili barriere in difesa dell'io, possiamo ora dare il segnale di cessato pericolo e sorseggiare beati un sorso di punch al Lete? Non intendo rimproverarLe un ottimismo così contagioso, e che rispecchia un percorso individuale, ma Le sembra plausibile questo storicismo progressivo? A ben vedere !'.estasi, nelle sue varie forme, ha 32 sempre comportato pericoli di destabilizzazione per l'individuo eper qualsiasi società. La società greca, molto saggiamente, dava il più ampio riconoscimento a questo tipo di esperienze, cercando però di regolamentarle. Lei vede, dai greci ad oggi, un lungo cammino, un' evoluzione storica particolarmente favorevole al libero dispiegamento dell'estasi. Può darsi che siamo prossimi alla fine del regno della necessità, ma non sarà che oggi la gente vuole "uscire da sé", evadere, più per una triste necessità che per una libera scelta? -Sì, è giusto e democratico affermare che "l'eccessivo è disponibile in ognuno di noi", che l'estasi è a tutti accessibile, anche perché rimanda a un'esperienza originaria che proprio tutti abbiamo fatto, come Lei ben ci spiega. Ma è a tutti accessibile solo a certe condizioni. Non ricordare questo può solo alimentare equivoci. Certo, la fenomenologia dell'estasi si è enormemente diversificata: l'estasi non va cercata solo nei baratri, si nasconde anzi nel cuore delle nostre esperienze di vita metropolitana. Maè sempre necessario distinguere. Non pretendo che si distingua tra estasi induista ed estasi degli antichi mistici ebrei (che a quanto pare sono molto diverse tra loro, come ci riferisce Scholem); però un conto sono le estasi per così dire "quotidiane" (immergersi per esempio nella folla brulicante di una discoteca), un conto le esperienze straordinariè che ci modificano in profondità. Altrimenti "estasi" diventa solo un nome suggestivo e non troppo impegnativo per la nostra stessa,(misera) condizione ·attuale. Anzi, a questo punto non dobbiamo neanche Foto di Giovanni Giovannetti. più faticare: ilnostro mondo forse non ha più bisogno di estasi, come il mondo dei primitivi, cheeragiàdiperséaffollato dadeichesiincontravano dappertutto ... - Il Suo libro può essere visto come una vibrante e persuasiva propaganda in favore del- !' estasi: si elogiano intrepidezza e immersione, si parla per pagine epagine di gioia emeraviglia e visioni scintillanti e idee che vengono da "non so dove". Ora, qualche volta l'effetto può essere controproducente. Tutte quelle lamine d'argento e righe di luce e fuochi fatui e strisce viola suscitano inverità un legittimo desiderio, forse un po' difensivo, di delicata penombra. D' altra parte Lei stesso mette onestamente in evidenza, aproposito dell'estasi, "la debolezza dei tentativi di parlarne". Ma non è questo il punto. Chi ha vissuto esperienze di questo genere si è sempre felicemente contraddetto riguardo la natura non discorsiva della stessa i;sperienza (da sempre l'uomo ha cercato di dire I'indicibile). Però il fatto è che Lei sembra ridurre l' estasi a qualcosa di comodamente e piacevohnente consumabile, di colorato e soporifero come uno spot pubblicitario. Sì, è vero, parla anche diangoscia come passaggio inevitabile verso la gioia, ma cita una voltasolo Simone Weil aproposito di "trasferimenti ascendenti di energia". Eppure era stata proprio laWeil a indicare il distacco estatico come una "morte", implicante la perdita di tutta l'energia vitale. Quei trasferimenti di energia/orse ci saranno, ma non soho garantiti; la invasione di gioia successiva allo svuotamento angoscioso non è insomma compresa nel prezzo. Depuriamo l'estasi da tutti i tremendismi, ma è davvero possibile usarla per arricchirci tutti, inserirla in un progetto migliorista di reintegrazione della psiche? - Lei parla dell'estasi come di un' esigenza e potenzialità antropologica. E va bene. È giusto tirarla fuori da quell'angusto ambito patologico in cui la psicanalisi tende a immetterla (operazione che andrebbe fatta anche per il narcisismo, che Freud e il direttore di questa rivista vedono quasi esclusivamente come fatto patologico e regressivo). Ma la Sua formulazione mi sembra a un tratto riduttiva. Qualche anno fa si sarebbe detto: troppo e troppo poco. Troppo perché l'estasi non è propriamente "un' esigenza" (si può benissimo vivere facendone ameno) e troppo poco perché non si tratta nemmeno di una possibilità tra le altre, di un esperimento ordinario acuì Lei vorrebbe sollecitare la "nostra comune percezione". Diamo uno sguardo alla cultura di questo secolo. Lei citaProust,Bataille,Benjamin, Bellow (oltre aun 'ampia bibliografia psicologica). Non ho nulla da obiettare sulla svagata casualità di certi accostamenti. Ma perrestarenell' area culturale della Sua disciplina vorrei ricordarle, a proposito di estasi, L'uomo senza qualità. Com 'è noto, il romanzo di Musi 1,grandiosasintesi di una civiltà in declino (fondata proprio su una spiccata attitudine critico-ironica) si config~ome un'impossibile ricerca dell'estasi, del!' "altro stato". L'opera resterà incompiuta, /d . I . ruotan o mtoma a se stessa e a propno centro inesistente, e perdendo lungo il cammino un po' della sua ironia originaria. Un filosofo tedesco, che ispirò molte parti di questo romanzo,

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