Linea d'ombra - anno VII - n. 38 - maggio 1989

Clara Sereni. plessi, quelli delle madri di un "diverso", di un bambino vuoi ritardato vuoi irrecuperabile: una galleria di piccole situazioni e di ritratti di un rapporto, di difficoltà della accettazione e costruzione di un rapporto così difficile e anzi, a volte, quasi impossibile. Delle due parti in cui si dividono i brevi racconti, la prima è introduttiva (la maternità, la scoperta) e la seconda descrittiva. Clara Sereni .costruisce piccole situazioni rivelatrici, e, del suo lavoro si apprezza non solo la sottigliezza psicologica e descrittiva ma la capacità di rendere con la parola (sempre ancorata a un reale, ad azioni e comportamenti precisi, mai fumosa e mai, come oggi è di moda, con la pretesa di toccare il limite del definibile e col rischio di restar solo chiacchiera, sia pur lacaniana) ciò che è ben difficile da rendere: quel panico, quello strazio, quella dolcezza anche, che fanno di queste madri le madri, oggi, più madri, e dellamatemitàun'esperienzadavvero di confine. È infine da questo libro che ho capito che Clara Sereni può diventare una scrittrice di primaria importanza. Docce fredde e calde Assai brutto, l'ultimo romanzo di Saul Bellow (La sparizione, Mondadori) di una volgarità tutta cinematografica, da commedia sotto-Allen con pretese di rivelazione psico-sociale. Peccato. Bellow perde colpi sempre più spesso, forse dovrebbe riposarsi per un po' e non sentirsi obbligato - visto che non sembra versare in ristrettezze economiche - a tirar fuori un libro ogni sei mesi, alla Moravia ... Meglio spostare subito l'attenzione a un altro grande nome della cultura ebraico-americana, Lesie A. Fiedler, autore di un racconto di vena teorico-saggistica presso la Giuntina di Firenze, L'ultimo ebreo in America, che si avvale di una prefazione di Guido Fink, bravo come sempre. Fiedler è un grande critico, ma i suoi risultati nel romanzo, un genere che ha tentato più di una volta, non sono certo ali' altezza di quelli raggiunti nella saggistica. Qui però l' ambizione narrativa è risolta nella scelta della parabola, della narrazione fortemente tematica e per situazioni. Un vecchio ebreo starnorendo e un suo amico vuol mettere insieme i dieci uomini necessari al minyàn, rito espiatorio. Il vecchio è stato un buon combattente per il socialismo, ed è ora curato da monache cattoliche. La fatica del protagonista Jacob è improba: si scontra con la pigrizia, il rifiuto, le scuse di una generazione assimilata o fortemente assimilata, che preferisce dimenticare le sue origini e la sua storia, per un'identità amorfa e comune. Questo dilemma antico e aperto di tutta una cultura continuamente lacera_tadalle due tendenze, è narrato da Fiedler con vivacità cinematografica, con lodevole brevità (lo dico in rapporto al romanzo brevissimo di Bellow, che sembra invece lunghissimo) e con straordinaria intelligenza del rapporto testo/contesto, di ciò che c'è sotto, dei dilemmi che sempre rispuntano per tutti. Una delusione: Impressioni personali di lsahiah Berlin (Adelphi), esaltazioni noiosissime e un po' bigotte di figure "rappresentative" dell'accademia e della politica, svolte accademicamente·anche quando di accademici non si tratta (vedi il caso di Aldous Huxley), zeppe di schidionate di aggettivi mirabolanti. La vena migliore di Berlin, che ci aveva incantato coi saggi russi di Il riccio e la volpe (Adelphi) la ritroviamo solo nell'ultimo testo del nuovo libro, quello dedicato agli incontri con Pastemak e la Achmatova nel '45 e nel '56: Ciò che narra di Pastemak è in fondo già noto ma il ritratto dell' Achmatova, di questa gran donna della poesia e della cultura del secolo presa nel turbine dello stalinismo, è possente e, almeno per la mia ignoranza, rivelatore. Ci si esalta di nuovo, infine, in questa piccola rassegna di "giudaica", con il fumetto di Art Spiegelman MaU:S.Racconto di un sopravvissuto (Rizzali-Milano Libri), un capolavoro del fumetto, un vero romanzo per irrunagini, e uno dei libri più coinvolgenti, lucidi e veri, che abbia affrontato la storia della persecuzione e dello sterminio degli ebrei sotto Hitler. Spiegelman si mette in scena, raccoglie le storie del padre oggi in America sullo ieri in Polonia, fa romanzonelromanzo,divideipersonaggi in topi (gli ebrei), gatti (i tedeschi), maiali (i polacchi). Straordinaria la situazione e visualizzazione dello ieri, ma anche straordinaria-con il latente con: flitto padre-figlio, Europa-America, vecchio-nuovo - la descrizione di un presente che nevroticamentecoinvolge. Non perdetelo! Pensare, classificare, narrare Di Spiegelman avevamò (n.23) pubblicato un'intervista, quando Maus usciva a puntate su "Linus". Del libro di Georges Perec Pensare/classificare (Rizzali) pubblicammo due testi nel nostro n. 20. L'ossessione classificatoria ha retto l'opera di Perec, che voleva arrivare alla comprensione atDue disegni da Maus di Art Spiegelman. traverso la classificazione, o da questa operazione era evidentemente rassicurato - un modo "classico" di affrontare il mistero, scientifico come"religioso". Non si dimentichi che Perec è pronipote di uno dei maggiori scrittori yddisch, l'Isaac Peretz delle Novelle ebraiche (Universale Feltrinelli). C'è un'ansia metafisica dietro Perec, in una chiave laicizzata e francesizzata, che è quella del filone Jarry-Queneau, quella delJ'Oulipo. Delirio logico e iperrealistico; saggezza costruita sopra la reazione paurosa e nevrotica di chi teme di essere sopraffatto dalle cose, dal]' esistenza; soffi di aria calda e di gelo; fiducia nell'esorcismo della parola, nella possibile assolutezza del verbo ... Perec mi sembra uno scrittore nel pieno della tradizione ebraica, ma anche nel pieno delle preoccupazioni di tanti .. La letteratura ha per lui una funzione magica e primitiva. Nel IL CONTESTO testo che apre il libro e che già usci sulla nostra rivista egli conclude: "confusamente, sento che i libri che ho scritto si inscrivono e trovano un loro senso nell'irrunagine globale che mi faccio della letteratura; ma mi sembra anche che non potrei mai cogliere con precisione questa irrunagine: essa è per me un al di là della scrittura, un 'perché scrivo' al quale non posso rispondere che scrivendo, rinviando continuamente il momento in cui, cessando di scrivere, questa immagine diventerebbe visibile, come un puzzle quando è definitivamente terminato". Testimonianza chiarissima sulla grandezza e, diciamolo, l'orrore della malattia e della religione chiamata letteratura. Chissà perché mi viene qui da citare il libro più bello (solare e terribile insieme) che ho letto ultimamente e che c'entra poco con la cultura del nostro tempo. È Il canto di Patroclo dall'Iliade nella traduzione molto bella di Maria Grazia Ciani, edito meritoriamente presso Marsilio. Si legge Omero ad alta voce, e ci si ammalia. In questo canto c'è l'orrore della guerra e della violenza e dellamorte ottenuto per elencazioni, classificazioni, ripetizioni, descrizioni, suddivisioni (le armi in particolare, e le"mosse" dello scontro, e i modi di morire). Ma è come, se tutto avesse un suo senso, una sua spiegazione, una sua chiarezza - ché gli dei, anch'essi tremendi, intervengono, rompono o regolano la fatalità, spezzano la classificazione e la prevedibilità che ne deriva. E l'eroe ha pure il suo peso, ha un libero arbitrio che può, se pure a tratti, contrastare il fatto. C'è una risposta in sé, nella vita e nella morte in sé, nella loro accettazione, che manca invece ai ben fondi esorcismi di altre culture. E manca soprattutto allo sfasciume del nostro catto-laicismo. 29

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==