Linea d'ombra - anno VII - n. 37 - aprile 1989

SAGGI/BERARDINEUI esorcismi.Machecosa cerca, e checosavuole e devetenereabada, lo stilecriticodi Debenedetti?Potreidire, semplificando,che Debenedettidoveva sentire molto acutamentecerti doveri fatali per il criticosaggista:i doveriderivantidallasuaposizionedimediatore tra le forze selvagge nascostenell'arte, i pericolie le violentespintecentrifughe, in particolare,dell'arte e della letteratura moderne, e le regole doverose di una socievolerazionalità. Non si trattavacertodi addomesticare il potenzialeoscuronascosto nella forma artistica, e tanto meno di neutralizzarlo (come troppospessoavvienenella criticaaccademico-scientificae di sistemazione).MaDebenedetti,nonsottovalutandoaffattoi donie i rischi dell'arte (indicati da una lungatradizionedi pensieroche va da PlatoneaNietzsche), sentiva didover agire comeunaccorto e abilemago,che non deve scatenareforze misteriosesuperiori alle sue capacitàdicontrollo.Resoansiosodalle invincibiliambivalenze simboliche dell'opera d'arte, Debenedetti praticava per esorcismoprovvisorio un intellettualismomoderatore,benché acuminato:l'intellettualismo ossessivoe in parte cerimoniale di chi sa che non si può conviveresenza precipitarenella follia con una ambivalenzae polivalenzaonnipervasivae irrisolta dei segni e delle cose. Il dilemmadel critico, e la debolezzadi una scelta troppodecisa in un sensoo nell'altro, li troviamo formulati per esempio nella Prefazione 1949 alla prima serie dei suoi Saggi critici (1929):"o sacrificarea una agevolecomunicativa,cioè ammorbidirsi in unmestiere, in un servizievolegiornalismodell'intelligenza incorsivo;oppure sacrificarea unadura intelhgenza,a costo di rimaner soli, di perdere la carta d'identità" (pp. 15-16). Non volendoné restare solo, perdendo la carta d'identità di critico, né diminuirsinel mestieredi un giornalismo servizievole,Debenedettiha elaboratole più sofisticateformazionistilistiche e intellettualidi compromessodella nostra letteraturanovecentesca.Confrontatocon altriduegrandimaestridell'equilibrio e dell'indecisione scettica come EmilioCecchi e EugenioMontale - nei quali lo stile del riserboe della reticenza non è esente da una certa grettezza e da un pessimismostorico un po' pettegolo- ecco,in questoconfronto,Debenedettiapparedotatodi unapiù aerea, mercurialee innocenteeleganza.Nel suo scetticismo non c'è nessuna oltranza. La sua passione di ricercanon si è mai consolidatain unaWeltanschauungnegativa, immobilistica.Né ilcinismodelmestiere,né i rigoridellasolitudineeranofattiper lui.Nonè certo un caso che i suoiautori, tra i piùgrandidella letteraturanovecentesca, siano stati Proust, Svevoe Saba.Gli autori menoviolenti,meno terroristici,meno dottrinarie sofistici dellamodernità.Maestri nell'arte di nonmentiree di dichiarare se stessi, perché sapevano fin troppo bene quanto sia facile mentire, nelmomentostesso incui si è formulato il propositodella verità. Aggiungereiun'ipotesi, appenaun po' fantasiosa,ma anche, credo, non del tutto infondata. Due dei più interessanti e inquietanti saggi che Debenedetti scrissenegli ultimi anni della sua attività, riguardano la sorte, la deformazione,l'irrigidimento, la metamorfosie infine la sparizione del personaggio-uomonella narrativa contemporanea. "CHIAMOPERSONAGGIO-UOMOquell'alter-ego,nemicoo vicario,che indecinedi migliaiadi esemplari tuttidiversitra 06 Giacomo Debenedetti (arch. Garzanti). loro,ci vieneincontrodai romanzie adessoanchedai film.Si dice che la sua professionesia quella di risponderci,ma moltopiù spesso siamonoi i citati a rispondergli.Se gli chiediamodi farsi conoscere,comecapitacoipoliziottiinborghese,esibiscelaplacca dove sta scritta la più capitale delle sue funzioni, che è insieme il suomottoaraldico: si trattaanchedi te. Allora nonc'è più scampo,bisognalasciare che si intrometta.Ma non ha solo questa virtùdi mediatore,che spessorende 'più praticabilela vita'. L'evoluzione della sua specieporgeanche il filo rossoper seguire la storia,nonsolodella narrativa,madi tutta la letteraturae forseanchedellealtrearti.Attualmenteinquellaevoluzionedeveessere successoun salto qualitativo:ne è prova la decadenzadella critica che vorrei definire osmotica,la quale penetrava il personaggio,e ne era penetrata, siapure col rischio di contrabbandare una vischiosità,un intricodi filamenti organici, una indiscretae madidaabbondanzadi flussi;maalla finearrivavasiaa comprendere quel personaggioche a spiegarlo. Le si è sostituitaun'altra critica di tipo soprattutto accerchiante:essa stringe d'assedio il personaggiocon strumentidi superlativaingegneria,corredatidi pannelli,manometri,lampadinemulticolori,che durantel 'impiego ne permettonoanche il controllo;quasi sempre, tuttavia,preferisce la bellezza, l'efficienza tecnica dell'assedio al momento dell'espugnazione." (Commemorazioneprovvisoria del personaggio-uomo, 1965.) E già due anni prima, nel 1963,il saggio-conferenza Ilpersonaggio-uomonell'artemoderna si aprivacon questeparole:"Sono un critico letterarioe, sebbenecreda fermamenteche i criteri più utiliper leggeree intenderele opere di letteraturasianoquel-

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