SCIENZA/OLIVERIO Si giungerà un giorno a una macchina che inganni l'uomo, tanto sottile il suo modo di ragionare e di rispondere, tanto duttile il suo modo di comportarsi? cobiologi, i sociobiologi... Sono infatti questi studiosi, gli evoluzionisti e i biologi del comportamento, che hannocontribuito a smantellare, passo dopo passo e nel giro di pochi anni, numerose certezze che l'uomo nutriva sulla sua unicità: non è forse oggi ormai ben noto che il sonno e il sogno, il comportamento sessuale e quellomaterno, la memoria e l'aggressività, la comunicazione e l'apprendimento rispondano a strutture, meccanismi e regole abbastanza simili negli animali e nell'uomo? Ma nonbasta: aglipsicobiologi, che hanno dimostrato le strette somiglianze che esistono tra molte caratteristiche del cervello e del comportamento animale e umano, si sono uniti i sociobiologiche hanno indicato come l'amore materno, la cooperazione, l'altruismo altro non siano che adattamenti, strategie comportamentali programmate dai geni che assicurano la nostra sopravvivenza in quanto specie umana. Strategie che condividiamo con le altre specie animali e che ci spingerebbero ad amare, a riprodurci, a prenderci cura dei figli, a cooperare con altri individui inquantoaltronon saremmoche "macchine cieche, programmate per la sopravvivenza"... Si potrà forse obiettare che i sociobiologi ci fornisconoun'immagine esasperata del determinismo biologico e che la cultura ci consente di opporci ai vincoli che ci rendono schiavi dei nostri condizionamenti: ma è indubbio che la linea che traccia i confini che separano il cervello e i comportamenti dell'uomo da quelli degli animali è sempre più sottile e che non esiste aspetto del comportamento per cui siamo veramente unici, superbamente,isolati e distanti dal resto del regno animale. Ciò che ci rimane è la ragione, l'eccellenza in quel pensiero logico che ci distingue dagli altri animali. Ma ora che i computers sono in grado di operare razionalmente, di comportarsi secondo i principi di una logica sempre più raffinata che cosa ci rende veramente unici e soprattutto che cosa ci consente di dire che in futuro resteremo tali, esseri razionali e logici per antonomasia? Alan Turing, il teorico dell'intelligenza artificiale noto per aver delineato i principi che regolano una "macchina" logica ideate, ideò un gioco che si basa sul dialogo tra una persona che ponedelle domandee due altrepersone, unuomoe una donna, che non sonoa lui visibili e cherispondono attraversouna telescrivente. L'obiettivo di chi interroga è di arrivare a stabilire chi sia l'uomo e chi la donna; ma questo obiettivo è difficile: l'uomo, infatti, risponde alle domande barando, cioè fingendosi donna e for.- nendo falsi indizi quali l'avere i capelli lunghi, un vestito scollato e altre risposte ambigue mentre la donna, scrisseTuring, "può intervenire dicendo 'Non dargli ascolto, sono io la donna', anche se ciò non è di aiuto in quanto anche l'uomo può fare simili affermazioni". Turing era affascinato da questo problema e si chiedeva che cosa sarebbepotuto succedere se unamacchina avessepotuto porre interrogativi e formulare giudizi: "La macchina compirà gli stessi errori della persona che interroga? Questa domanda", scrisse Turing, "è più giusta di quella più classica: 'Le macchine sono in grado di pensare?"' Al giorno d•oggi il gioco di Turing può essere riformulato in termini nuovi, prescindendo dal problema di chi sia l'uomo e chi la donna: una macchina che passa il test di Turing è infatti una macchina in grado di ingannare un uomo che pone le domande in quanto gli lascia credere di essere un altro uomo, anziché una macchina. Si giungerà un giorno a un computer che superi il test di Turing, cioè a una macchina che inganni l'uomo, tanto sottile sarà il suo modo di ragionare e di rispondere, tanto duttile il suo modo di comportarsi? I sostenitori di questa ipotesi indicano come ci stiamo sempre più avviando su questa strada e come, per esempio, vi siano oggi programmi per il computer in grado di compiere diagnosi mediche con una precisione e affidabilità superiore a quella del medico medio: in grado, cioè, di "ragionare" ma anche, sulla base di piccoli indizi e di esperienze registrate in passato, di intuirequale possa essere l'origine di un sintomo ambiguo e di arrivarea dipanare la matassa che conduce alla diagnosi di una malattia. Forse, in futuro, i computer potranno competere con i medici e, in alcuni casi, addirittura con i chirurghi. Ciò significa che le menti artificiali arriveranno a eguagliare, se non forse a superare, quelle biologiche? Che un giorno una macchina supererà a pieni voti il test proposto, quasiper scherzo, daTuring? Vi è chi si oppone a questa ipotesi, non tanto sulla base di unavalutazione dei possibili futuri raggiungimenti delle menti artificiali ma di un giudizio più radicale che pone in discussione ciò che realmente significhi "pensiero" e, di conseguenza, la liceità del test di Turing. Si tratta quindi di un tipo di opposizione più glo- · baie, attuata da quei filosofi umanisti che contestano la logica di Turing: come il filosofo John Searle che, in risposta al gioco immaginario proposto dal teorico dell'intelligenza artificiale, propone un altro gioco, quello della "stanza cinese". "Immaginate", ipotizza John Searle, "che esista una stanza senza porta né finestre ma con una sola apertura, una sottile feritoia simile a quella che esiste nella buca delle lettere. Attraverso la feritoia introduceteun testo scritto in cinese e, dopo qualche tempo, infilate unquestionario, anch•esso incinese, con delledomande che si riferiscono al testo. Mezz'ora dopo dalla fessura vengono fatti passare dei fogli contenenti delle risposte sensate, anch•esse scritte in cinese, che fanno ritenere che qualcuno, dentro la stanza, capisca quella lingua. Ma" sostiene Searle, "dentro quella stanza avrei potuto esserci io stesso che non so nulla di cinese ma che avrei potuto essere statojstruito, attraverso una serie di regole, a convertire dei ghirigori inaltri ghirigori: perciòall'interno della stanza non si verifica una vera comprensione del cinese, anche se la stanza si comporta come se ciò avvenisse." Il ragionamento del filosofo dell'Università di Berkeley presenta però delle debolezze che sono statemesse in luce da altri filosofi, da psicologi e da teorici dell'intelligenza artificiale: per esempio gli stessi esseri umani non sono completamente consapevoli delle operazionimentali che sonoallabase del loropensiero cosciente; inoltre l'uomo che Searle ha introdotto nella stanza chiusa non è più sofisticato e complesso, dal punto di vista funzionale, dei neuroni che all'interno del cervello agiscono per tradurre una lingua; infine un sistema che fosse in grado di superare questa variante del test di Turing in realtà comprenderebbe il cinese in quanto una definizione scientifica di ''comprendere" può essere enunciata essenzialmente in termini comportamentali. Queste sonoalcune tra le diverse obiezioni che vengonoopposte alle posizioni umaniste di Searle; ma al di là di questi diversi punti deboli presenti nell'apologo della stanza cinese lo stesso Searle ne ha ammesso un altro: se la mente, come egli stesso ritiene, è qualcosache dipende dalle proprietàbiochimiche deineu93
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