Linea d'ombra - anno VII - n. 37 - aprile 1989

scrittura. Perché queste non persone attratte dal nulla dovrebbero stimolarci? Sono domande legittime: a me non interessano. Possiamo anche sostenere che viene sfiorato il limite ultimo delle potenzialità linguistiche, la mediazione verbale del quasi nulla, cioè della morte e dello sgretolamento verso il non essente, chi parla è l'uomo al limite dell'indicibile, è il confine wittgensteiniano della parola dietro la qùale c'è solo il "mistico"; l'uomo non più essente viene collocato davanti al nulla assoluto e reso responsabile. Bemhard realizza così I' anticapolavoro, l'unica cosa possibile i!l quest'epoca. E un'ipotesi legittima: a me non interessa. Insisto invece sul fatto, per me evidente, che Thomas Bernhard è vittima del morbus austriacus, malattia mortale, le cui cause ci vengono ampiamente spiegate nel libro di ricordi intitolato appunto Ursache (L'origine, Adelphi, Milano 1982). Nel sottile volume che ho dinnanzi, opera di straordinaria forza seduttiva, che spezza comunque il fiato e spinge alla confutazione, sono determinato a intravedere qualcosa che vada oltre il raccontarsi di un uomo, che si differenzi da quello che normalmente si intende per opera letteraria, che non sia semplice lamentarsi delle disgrazie di un adolescente. Mi è possibile leggere quest'opera, viverla, trasmettere il mio vissuto solo ali' interno della dimensione Austria, spio in essa posso osservare il patogramma del morbus austriacus al quale si arrese Trakl, il conterraneo più simile a Bemhard, così come Kafka, Joseph Roth, Emst Weiss e Otto Weininger. In Bemhard il tedium vitae austriaco non è però sublimato come in Hofmaunsthal, né trasformato in rimpianto per il glorioso passato imperiale come in Roth, né rispecchiato nel simbolismo metafisico come in Kafka. Erompe come sdegno che sgomenta da un animo sconvolto, da un cervello che non tiene più conto delle proporzioni. , La genia delle prealpi salisburghesi è indubbiamente maligna. E cattiva, servile, crudele, ha quel fascino malato in grado di annullare qualsiasi contraddizione in una sonora risata. Chi scrive quest'articolo è cresciuto nel Salzkammergut e si trova nella situazione ideale per capacitarsi dell'esplosione di questa rabbia compressa. La domanda più scontata ma non per questo meno importante che, banalità a parte, il lettore si pone immediatamente, è se la situazione sia proprio così terribile e se gli abitanti del Corrèze o del Surrey o della Toscana siano davvero migliori e se sia legittimo presentare città e regione di Salisburgo (trasformata da Karl Heinrich Wagerl in idillio pirografico, ridotta a luccicante prospetto turistico dai politici austriaci, costretta all'intimismo da caffè-bazar per turisti stranieri, particolarmente quelli nostalgici di New York e Tel Aviv) così come fa Bcrnhard. Vi si legge, per esempio: "Se alla fine non fossi riuscito a lasciarmi alle spalle questa città che da sempre ferisce e offende e sempre finisce con l'annientare ogni personalità creativa, che per me è stata, per via dei miei genitori, al tempo stesso, materna e patema, avrei, come tanti dei suoi artisti e come tanti altri a cui sono stato legato e intimo, messo in pratica l'unico gesto significativo per questa città e all'improvviso mi sarei suicidato ..." e ancora" ... tutto in questa città è ostile alla creatività, anche se sempre più e con veemenza sempre maggiore viene sostenuta la tesi opposta fondata sull'ipocrisia e sulla scempiaggine, la sua passione più grande, e qualora la fantasia si faccia anche solo intravedere viene annientata. (...)Lamia città natale è in realtà una malattia mortale ..." Innanzitutto è necessario dire che così la vive Thomas Bernhard: dobbiamo credergli. Se vogliamo limitare l'invettiva ai soli fatti constatiamo come prima cosa che l'Autore, ginnasiale fu IL CONTESTO chiuso in un collegio inizialmente dominato dalla protervia nazionalsocialista, quindi, dal '45, dall'insensibilità e dalla malvagità cattolica, che dovette patire gl_iultimi anni del conflitto e I' immediato dopoguerra prima esposto ai bombardamenti degli Alleati e poi alla fame, che come unico amico ebbe il nonno materno che viveva a Traunstein in Baviera e come unico passatempo la musica del violino suonato nel ripostiglio delle scarpe, sempre sottraendosi alle prescrizioni ortodosse del maestro. Sono episodi sgradevoli, dolorosi, addirittura tremendi. Sono però sproporzionati, se ci atteniamo ai fatti, al grido di dolore e alla denuncia che Bemhard lancia e rovescia nel flusso torrenziale del suo linguaggio, di fatto - e ciò va sottolineato - disadorno di parole, che si smarrisce nella follia e nella sintassi sconfinata, così da stordirci con quel monotono "gridio" di cui si parla nel romanzo Korrektur. Ma in definitiva, quanto contano i fatti? E che importanza ha riconoscere che Bernhard smarrisce completamente il senso delle proporzioni come quando parla dei bombardamenti della città di Salisburgo, non così terribili se paragonati a quelli delle città tedesche, o quando descrive la violenza del collegio come l'inferno totale, come se anche la maggior parte delle personalità artistiche non avesse vissuto esperienze analoghe. Ma il significato dei dati statistici normativamente quantitativi è relativo. L'inferno vissuto dallo scrittore non è fatto solo dagli "altri" ma anche da lui stesso. Patogramma dunque? Certamente. Ma insieme qualcos'altro, e così ritorno al morbus austriacus che, al di là della persona di Bcrnhard, è un fatto obiettivo, politico e sociale, anche se occorre riconoscere che lo scrittore racchiude in sé in modo assolutaDisegno di Andrea Rauch. 7

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