AFRICA ALL STARS OK JAZZ,OK RUMBA Marcello Lorrai E così, con Johnny Clegg, lo "zulu bianco" che pratica in musica la lotta contro l'apartheid, la nuova musica africana è approdata anche a Sanremo, tra Jovanotti e i Bros, Sandy Shaw e il figlio di Dorelli, davanti a milioni di telespettatori. Mory Kante non è arrivato alle serate del festival vero e proprio, e si è dovuto accontentare della trasmissione-antipasto Aspettando Sanremo, andata in onda la settimana precedente la competizione "canora", con scarsa audience: ma la presenza in area sanremese è bastata a garantirgli, come del resto a Clegg, altri passaggi televisivi. Passaggi che per lamusica del continente nero emersa negli ultimi anni sul mercato occidentale, sono diventati da qualche tempo di ordinaria amministrazione sulle nostre reti. (Dell'interesse per la musica africana moderna si avvantaggiano anche sue figure storiche, individualmente precorritrici dell'attuale successo della musica "afro", che conoscono oggi un rilancio di popolarità: nello stesso periodo del festival abbiamo rivisto per esempio Miriam Makeba in Alla ricerca del/' arca di Damato, dove, con tanto di pugno chiuso, ha proposto una canzone dedicata a Samora Machel, il presidente mozambicano rimasto ucciso in un incidente aereo di origine assai sospetta, canzone che non manca mai nei suoi recital attuali. Pochi che siano i telespettatori per i quali il nome di Machel può avere un significato, o in grado di apprezzare, nel contesto della sagra rivier~ca, l'operazione artistico-politica di Clegg, il dato certo è che ormai anche in Italia la musica africana moderna ha sfondato se non nei gusti e nei consumi ( ma Ye ke ye ke di Mory Kante lo si è sentito dappertutto, sulle radio e nelle discoteche), certamente nella percezione che si è fatta largo all'interno del grosso pubblico: di qualcosa di distinto dal folclore con cui la musica africana, sicuramente fino ali' inizio di questo decennio, veniva complessivamente identificata dalla stragrande massa. Una volta che la musica africana moderna è riuscita a rompere il ghiaccio e ad ottenere udienza, è a questo punto, si può dire, che cominciano i veri problemi. Si tenga presente che l'importazione, in senso fisico (concerti), discografico e culturale della musica africana in Italia sostanzialmente non è diretta. La presentazione sulle piazze della penisola degli artisti africani avviene di rimbalzo, fondamentalmente da Parigi e Londra. È innanzitutto in queste due capitali che si decide quale musica africana e all'interno di quali obiettivi debba essere valorizzata discograficamcnte e proposta in Europa, e dunque quale e perché debba eventualmente, in seconda battuta, arrivare in Italia. Tra la situazione francese e quella inglese si possono osservare delle rilevanti differenze: sia dal punto di vista del- ! 'attenzione critica e giornalistica che da quello di iniziative discografiche coraggiose come quelle delle etichette (in effetti quasi tutte britanniche) specializzate in "world music" (di cui "Linea d'ombra" ha avuto modo di occuparsi) l'atteggiamento inglese rivela un interesse più articolato e più rispettoso, meno pesantemente teso allo sfruttamento. In questo si fa sentire una significativa tradizione di sensibilità e passione per il folk, e anche I'effetto del fenomeno "world music ', che non per caso del resto ha il suo centro oltre Manica, dove in quella tradizione trova un solido background. A essere determinante è però Parigi, che con gli 68 La copertina di OK Jazz (distr. Sono Disc). anni si è affermata come la capitale della musica africana, ecome tale vissuta anche da molti suoi esponenti diversi dei quali vi si sono trasferiti in pianta stabile: rispetto all'Italia la situazione d'oltralpe è l'uomo paragonato alla scimmia. Un uomo però che si è sviluppato in maniera tutt'altro che armoniosa: le scelte effettuate a Parigi sono in larga misura improntate a valutazioni di redditività commerciale e/o a criteri culturali ed estetici spesso scarsamente condivisibili. Mettiamo per un momento da parte il discorso sull'intervento che sotto il riguardo estetico l'industria discografica occidentale ·staoperando sulla nuova musica africana che sta gestendo; su quale impatto, sempre sotto il profilo estetico, questo intervento può produrre sull'evoluzione della musica del continente; e sugli esiti, diversamente apprezzabili, della contaminazione a cui gli · artisti africani di punta sui nostri mercati stanno esponendosi. E mettiamo da parte anche l'esigenza di un ragionamento organico e approfondito su tutto questo, che è in gran parte da fare. Limitiamoci invece a vedere anche soltanto cosa l'industria discografica, i media, gli organizzatori della musica dal vh·o hanno privilegiato. Alcuni paesi: quelli dell'ex impero mandingo (Mal i, Senegal, Guinea, eccetera), e in generale l'Africa occidentale, laNigeria (ma meno, attualmente), l'Africa australe. Se non ci fosse l'intraprendenza delle etichette di "world music", che per esempio su Tanzania, Etiopia, Sudan hanno cominciato a fare un ottimo lavoro, sarebbero in numero maggiore i paesi rimasti completamente esclusi, su cui non esiste praticamente in Europa un'informazione degna di questo nome. E si sono privilegiati artisti più vendibili al pubblico giovanile, più adeguabili al gusto occidentale: quindi in generale artisti delle generazioni più recenti, trascurando grandi classici della musica africana moderna. In questo modo va a finire tra l'altro che nella percezione non solo del grosso pubblico, ma anche nei settori di esso che hanno maturato la maggiore motivazione nei confronti dell'odierna musica africana la musica moderna del continente nero tende ad essere identificata con l'ultima musica africana, di cui personaggi co-
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