Linea d'ombra - anno VII - n. 37 - aprile 1989

Gela, la vecchia Terranova di nomianna memoria, è obbligata da circa un quarto di secolo a giacere con il luciferino complesso petrolchimico sorto ai suoi bordi e di origine inconfutabilmente meno nobile. Caso, certo non raro, di città doppia, un po' come le strane coppie di stelle parcheggiate anni luce da noi. Il modello, zona industriale/zona urbana, è apparentementedémodé,ma, in realtà, drammaticamente attuale. Infatti, sebbene in formato ridotto, Gela appare come una copia molto ben riuscita della Los Angeles descrit- . ta in Biade Runner, altrettanto futurista quanto sottosviluppata. E di questi tempi, Gela si propone in una dimensione ancora più attuale grazie a un singolare progetto video. Proprio così, progetto video, lontano dalle metropoli, dai ceti intellettuali, dalle iniziative culturali di cui si nutrono i critici "transmediali", le nuove figure del rachitico panorama culturale contemporaneo. Ma più che essere il video di scena a Gela, è Gela a costituire la grande scena prescelta per l' allestimento di un video installazione di proporzioni faraoniche: 100 telecamere disseminate nei 400 ettari di territorio della città, dal lungomare al "Macchittello", il villaggio dei dipendenti dello stabilimento petrolchimico, da via Venezia alle traverse di corso Vittorio, la strada che taglia in due Gela, riproducendo in vitro -e arriviamo a tre - una città simulata, ma una simulazione sostanziata dalla realtà. L'opera è stata ribattezzata "Video Lento", espressione non tra le più felici e, certo, non l'unico aspetto del progetto a meritarsi delle considerazioni. Al soggetto di sicuro bisogna prestare maggiore attenzione. Uno scenario (Gela, tutta) attraversato da comuni cittadini e da invisibili killer al servizio di uno strano potere. Cittadini alle prese con l' arduo compito di ostacolare il compito dei killer, terminando incolumi la giornata. Il background della vicenda contempla sullo sfondo la cronaca di un primo bilancio di queste relazioni pericolose: 40 morti in dodici mesi, nessun colpevole identificato. Attemioneperò, oltre allo scenario, anche i personaggi della storia sono reali, niente attori, nessun croma-key, come talvolta si è visto in qualche video installazione. Qualcosa, dunque, di simile a 64 V I D E O I CENTOOCCHI DELSINDACODI GELA Gennaro Fucile,Paolo Rosa un civil-wargame, magistralmente orchestrato su uno scenario altro, universo parallelo davvero fantascientifico e un'atmosfera da detective stè>rynel senso pieno del termine. Ma se il progetto stupisce; raro attimo di sense of wonder, per dirla con gli scrittori di fantascienza, non meraviglia, altresì, lo scivola~ento dei piani letterari. Dick, ad esempio (sua la storia da cui era tratto B /ade runner), sull'argomento scriveva: "Non è un romanzo giallo - disse Paul. Al contrario è una forma narrativa interessante, probabilmente del tipo fantascienza. Oh no - dissentì Betty. Non vi è scienza. Non è ambientato nel futuro. La fantascienza si occupa del futuro, in particolare di un futuro in cui lascienzaèpiù progreditadiadesso. Questo libro non corrispon_dea tali requisiti. Ma - disse Paul - si occupa di un presente alternato. Vi sono molti famosi romanzi di fantascienza di questo tipo. E spiegò a Robert: pcrdoru se insisto su questo punto, ma come mia moglie sa, sono stato per molto tempo un appassionato di fantascienza" (La svastica su/sole, ed. Nord). Oppure, per metterla in termini più formali, il video lo si potrebbe defirure un naturale punto di confluenza tra un gadget per eccellenza (il monitor), il manifesto più radicale dell'immaginario tecnologico (la fantascienza) e la pornografia (indagine parossistica dello sguardo), quest'ultima, qui a Gela, presa nella sua variante poliziesca, laddove i tempi del voyeur e quelli del detective sono sempre coincidenti. Indagine, in fondo, nel suo etimo, parla chiaro: spingere dentro. Un sistema organizzato come un codice genetico, per riabusare di una celebre metafora, che stabilisce le regole del gioco, ma dove è la strategia, ovvero l'autore, a decidere le mosse. E le strategie sono infinite, oscillando tra l'immaginazione e la sua morte. Quest'ultimo è il caso di Gela, che però, ora va détto, non è del tutto (o solo) una video installazione. L' autore, Ottavio Liardi, di professione avvocato, è il sindaco della cit- . tà siciliana. Gli omicidi, tragicamente reali, sono opera della maf'ia, fortemente coinvolta nella zona e i cittadini di Gela le possibili vittime nel mirino dei killer. Li ardi, dopo un escalation che ha portato decine di morti nell'ultimo anno, ha proposto di far sorvegliare dalle telecamere l'intera città, confidando nel potere deterrente. di questi occhi imparziali,.dislocati nei punti ad alto rischio. Ottenuto il finanziamento dalla Regione siciliana (500 milioni) e il consenso di polizia e carabinieri, ben presto Video Lento sarà operativo grazie ai tecnici della sede catanese della Sip. Niente da eccepire, dunque, sugli intenti. Pure, qualcosa stona. Forse perché come diceva Kant "un oggetto è mostruoso quando con la sua grandezza annulla lo scopo che è nel suo stesso concetto" e l'estensione qui gioca un ruolo determinante sulla qualità e il senso del progetto. Insomma, che cosa aspettano queste telecamere, se non morte/spettacolo, una merce che sta conquistando quote di mercato sempre più ampie, al punto che da fenomeno emergente (in parallelo al dispiegarsi dei media) si può oggi parlare di cultura sommergente, dove a essere sommersa è la cultura stessa alla sua radice, cioè l'uomo. Così, con terribile semplicità, il video si dimostra atto a slittare da favole elettroniche che possono incantare il cuore a sguardi necrofili che pongono in corto circuito sia vecchie etiche che possibili deontologie sull'uso dei mezzi elettronici. I nuovi media affascinano, ma se oscurano la dimensione del sociale, ponendosi in questo caso quale ultima spiaggia per arginare la delinquenza mafiosa, be', allora qualcosa di profondamente guasto esiste proprio nel cuore della nostra cultura. E, in prospettiva, quella morte del sociale annunciata in forma oracolare da Baudrillard, appare più che concreta. Video Lento, appunto, che sancisce enfaticamente il passaggio a una cultura materiale fondata integralmente su immagiru sempre più olografiche, che impediscono di vedere altro, la realtà stessa, trasformata progressivamente in un forma particolare di arumazione. Come a Gela. Certo, non ci si può esimere dall'augurarsi che l'iniziativa quanto meno arresti la catena degli omicidi, ma paradossalmente, come sempre accade per eccesso di realtà, Video Lento assume già ora contorni metafisici. L;attesa (altro che Vladimiro, Estragone e Godot) sembra destinata a essere senza fine, poiché in questo "video racconto" non c'è finzione, solo un vuoto in B/N riempito da volti opachi e livide ombre in movimento tra bar, edicole e fermate del pullman. Sempre che non ci si ritrovi con un suicidio in diretta. Se la maggior parte dei suicidi, come è ormai accertato, si consuma di fronte a uno specchio, perché con i tempi che corrono, qualcuno non potrebbe preferire la telecamera? Sarebbe una beffa atroce. D'altronde, di buone intenzioni è lastricata la via per l'inferno. Figuriamoci quelle di Gela.

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