Enrico Monlesano. "Scusa" è il loro m.odo (del teatrante, militante e insegnànte) di aprire un incontro, anche fugace e occasionale, che però si deve sempre fingere come voi uto e importante. È la parola dcli' educata ed elegante umiltà, e intanto serve a tenere le distanze. Da sola può essere insignificante (ma non è mai "scusi", e ci deve essere un motivo!), ma non in presenza di quel sorriso ... Quel sorriso compare prima. "Prima" e "senza", come quello del gatto di Alice. Ma non è mai luminoso. E nemmeno attraente. Se non è più una bandiera, è ancora vero che corrisponde ali 'insegna. Del negozio o della nuova ininterrotta negoziazione. Non ha da far proseliti, ma forse clienti. Nei casi peggiori vuol fare amicizia, nell'accezione democristiana del termine. Allora è adesivo, nel senso che rimane appeso alle parole e che vorrebbe trasmigrare con quelle alla conquista dell'altrui condiscendenza. Non dell'attenzione, che non si discute: l'interlocutore è già in tensione ipnotica, mentre da quei denti escono le molte parole e quel minimo di saliva, con cui si cerca di far passare un po' del proprio sé, di far attecchire una relazione. Ci si troverà in sicuro disaccordo, eppure come sposati per un attimo. "Infine cos'è un bacio?" Si può fare dell'ironia dipingendo a tinte faziose qualche involontaria degenerazione, ma infine non si può negare di essere accum unati tutti dal lo stesso sorriso, né di baciarsi magari con poca passione ma anche senza riserve, con una frequenza e una facilità che non ha quasi più limiti. E allora, arrivati sul limitare della felicità e della festa, che bisogno c'è più di teatro? E di politica? Può darsi che nel frattempo ci si sia "imborghesiti", ma è poi tanto duro e'tanto insensato questo naturale e pacifico cambiamento? Certo resta qualche differenza e diffidenza - tra assessore e attore-per la sproporzione che c'è fra il peso dell'uno e il rischio dell'altro, fra la pratica del potere e quella del sacrificio, fra l'allevamento delle realizzazioni e la coltivazione delle illusioni, ma intanto vale la soddisfazione di essere arrivati al compimento di una "stagione teatrale" durata troppi anni e amministrata così bene da non avere più bisogno di futuro. Starà forse calando un definitivo sipario? Cala la sera e, mentre il giovane attore, soddisfatto del comu- .nicato stampa apparso in cronaca locale, affisse le locandine sulle vetrine dei negozi e sulle pareti del le scuole, proprio come una volta, e spediti gli inviti agli Assessori e ·aiProfessori che non verranno ... Mentre il giovane attore dunque, si appresta ad aprire la sala non agibile al suo pubblico di ex-giovani attori, di delusi cinefili e del solito cinofilo che lega il cane fuori, le vere e buone serate giovanili cominciano in altri più luminosi e accattivanti locali. Dal terminal-bar dell'appuntamento, alla discoteca finale, è tutto un susseguirsi di gruppi di soprabiti lunghi e di gonne corte: le spalle imbottite a sproporzione perché si sospenda meglio l'abito. Gli abiti non fanno i monaci, perché non devono far null'altro che fluttuare in bella mostra di sé. Dentro le loro ampie volute di preziosissime e metafisiche lane, si appendono le facce cromate e i corpi stirati delle nuovissime generazioni. Entrano nel tempio musicale del vero "Nuovo Teatro", teorie di cappottoni firmati di tutte le taglie e le altezze. Frotta per frotta si radunano e si fermano qualche istante sulla soglia. Il tempo di fare i biglietti ? Piuttosto la pausa per un' ultima fotografia di gruppo, prima di disperdersi e di scomporsi: le vesti, naturalmente. Serissimi, scattano l'uno verso l'altro un ultimo sguardo di controllo. Una silenziosa compunta approvazione, con qualche nervosismo ma nessuna espressione che rompa il tiraggio della propria o della collettiva immagine, compostamente raccolta dietro le quinte. In mezzo, uno solo ondeggia in modo irregolare, osando sconnettere le linee del collo e delle maniche. Uno solo è autorizzato ad azzardare commenti e apprezzamenti: può spingere lo scherzo ad aggeggiare e rassettare il look altrui. Può minacciare un buffetto di simpatia o incoraggiare uno sfogo leggero di eccitazione, con cui è permesso, di tanto in tanto, ricordare la festa e celebrare la compagnia. Lui è il leader-animatore occasionale, o l'anima del gruppo, che è lo stesso. Lo si può riconoscere subito, appena si volta verso la luce, per quella nota di trucco particolare sul volto: sorride. Un sorriso che non ha nulla di impacciato, di falso, di morboso, o soltanto di stereotipato. È più che spontaneo. È stampato. Dategli tempo e forse il gioco di primo della classe di Tempo Libero Applicato lo stuferà; forse abbandonerà perfino le esperienze-giocattolo di disk-jokey della locale antenna 84, già di orwelliana citazione, per le migliori offerte di vetrinista-commesso o per il miraggio di una apparizione da indossatore in un centro moda del nord. Ma date anche tempo al tempo e magari allora il Teatro ritornerà a significare un punteggio più alto nel gioco oscillante dei piccoli status di periferia. E allora lo ritroveremo e lo riconosceremo sul palcoscenico del centro polivalente del Quartiere, nei panni di un giovane ufficiale dei Carabinieri, quando -per il secondo progetto "Teatro e Rivoluzione" - arriverà la doverosa celebrazione del Centenario del Primo Maggio, nel 1990. In inconsapevole ma trepida attesa, dentro un alto pastrano quasi di foggia militare, è già nato e già pronto il nuovo "attcirgiovane". . Finché c'è subcultura, c'è vita: "il grembo è ancora fecondo!" 57
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