mo un'allegoria del Vietnam che riscatta la perdita della guerra con un mito di "ringiovanita leadership maschile"). Si sa bene come i registi americani più interessanti di oggi - Altman, Kubrick, Coppola, Allen- siano ognuno a suo modo praticanti molto abili del genere, ma in un senso storicamente nuovo: essi cambiano genere come i modernisti classici cambiavano stile, in ambedue i casi trattandosi non tanto di una questione di gusto individuale, ma piuttosto il risultato di costrizioni oggettive nella situazione della produzione culturale contemporanea. Siamo insomma di fronte non tanto al caso di un pastiche di generi nel senso classico quanto a quello di qualcosa di diverso: prima perché abbiamo a che fare non con la cosiddètta alta cultura nel senso di un pasticheur come Joyce, ma piuttosto con la cultura di massa che ha un'altra dinamica ed.é molto più immediatamente soggetta alle determinanti del mercato. In altre parole, e sono conscio di star per usare un termine in voga che però Ryan e Kellner sembrano accuratamente accantonare, gli sviluppi filmici che abbiamo qui in mente, avendo luogo come fanno nel tardo capitalismo o società dei consumi dei nostri giorni, possono essere colti in termini di una situazione culturale molto differenziata, cioè quella del "postmodernismo", un movimento talmente diffuso da contenere in sé tendenze confliggenti, perfino contraddittorie. Anche per il cinema hollywoodiano la collocazione cruciale del postmoderno è dopo gli anni Sessanta: il postmoderno è un postumo, o un gioco di attesa, dato che è quello in cui stiamo vivendo - un prolungato momento culturale stranamente privo di peso, adombrato da rivolte incomplete, percorso da assenze, una sorta di Controriforma che bussa alla porta di una Riforma incompiuta o, meglio, appena incominciata. Da questo punto di vista ilpostmodernismo rifiuta la continuità storica e prende residenza in qualche dove al di là di essa perché la storia è stata spezzata: dalla visione nucleare di una possibile fine della storia, dal Vietnam, dalla droga, dalla rivolta dei giovani, dai movimenti delle donne e degli omosessuali - in generale, dall'erosione di quella falsa e devastante universalità incamatanell 'autorità della trinità piramidale di Padre, Scienza e Stato. Ora il postmodernismo fa meno di ancoraggi proprio perché le vecchie certezze sono realmente crollate: di qui il gran parlare di serialità, un'incessante ricircolazione e ripetizione nel deposito imagistico collettivo, perché così tanta parte della realtà è seriale. Come ben sa la fiction di un Vonnegut o di un Barthelme, viviamo in una foresta di immagini massprodotte e incessantemente, paralizzantemente vuote. L'individualità è divenuta una parodia di se stessa, un'altra parola per una scelta di moda, un composto di stili di vita, un autopromozionale talk-shaw. Gran parte del libro di Ryan e Kellner s 'incarica di dissezionare brillantemente le conseguenze di tutto questo nel cinema degli anni Settanta e Ottanta, quello più segnato dalla concomitante ascesa della "nuova destra" e dei suoi miti patriarcali e centralizzanti: i due autori riescono bene a mostrare come resti tuttavia 52 un varco per l'espressione di alternative utopistiche e infatti il libro si chiude con la formulazione perfino troppo ottimistica che negli anni in cui viviamo il cinema hollywoodiano registra uno slittamento di sensibilità che dà bene a sperare inuna narrativa nuova rispetto alle due, la caduta del liberalismo e il trionfo del conservatorismo reaganiano, tracciate così accuratamente nel libro. Vorrei terminare isol~do, fra i moltissimi citati e analizzati nel libro, due film che apareri mio restano emblematici sopra ogni altro dei primi anni Ottanta, ambedue nell'area dell'ancoradiscussissima, a tutti i livelli, ideologia del "Sogno Americano": un film dell"'occulto" che apre il decennio,The Shining di Ku_brick (1980), e Zelig di Allen (1983). Comincerei da quest'ultimo, che Ryan e Kellner discutono brevissimamente, forse a torto: Zelig è la storia di un tra~formista compulsivo, un "malato" cronico che in forza di sé riesce a emergere come supereroe del Sogno Americano - il film è una tipica opera postmodernista nel suo uso di ironie multiple, e tuttavia disimpegnate, per contestare idee sia moderniste che realiste di fiction, realtà, dei loro rapporti, e produce una visione stilizz.atae limpidamente spiritosa che trascende le banalità dei fatti che incorpora, una satira molto intelligente che sospende il giudizio. Dal punto di vista filmico Zelig stabilisce se stesso e i mass media come le determinanti del significato: la camera non si limita a registrare eventi o atti già determinati come importanti da categorie di giudi2io esterne ad essa, ma, nel semplice atto di metterli a fuoco, rende importanti, persone, eventi e luoghi. Conseguentemente imedia diventano l'arena in cui i' ideologia può venir contestata, la stessa ideologia del Sogno Americano appunto: lo vediamo bene-nelle sequenze in cui Zelig, felice imit.azione di un trasvolatore atlantico, è posto di fronte a Lindbergh e la ·spunta, col suo io che produce immagini e imita in flusso costante altri, sull'io più tradizionale di desideri ben demarcati e fissi dell'eroe lindberghiano. Certo, l'ironia collagistica postmodernista di Zelig ha i suoi limiti precisi; mentre, infatti, produce il nuovo e rimpiazza l'eroe americano convenzionale, lascia intatto il mito e, anzi, finisce per abbracciare un ethos in cui i media sono l'unica arena di conflitto ideologico e quindi gli arbitri finali della realtà - un ethos, va aggiunto, divenuto centrale alla vita politica americana, in cui le campagne presidenziali sono fatte di immagini più che di programmi e il militare che sbarca a Grenada o altrove si prende altrettanta cura delle immagini che produce che del piano di battaglia che escogita. In The Shining, che è invece analizzato con cura da Ryan e Kellner, i due autori correttamente individuano il fulcro del film nell 'intersezione di una temati_caocculta pubblica e privata e vedono in esso un'allegorizzazione di come i children delle subculturedegli anni Sessanta e Settanta devono essere sembrati particolarmente mostruosi a una generazione più anziana di americani conservatori, •ipredecessori cioè della rampante nuova destra dei primi anni Ottanta. Il film guarda complessamente indietro e avanti nella storia americana: il suo termine di riferimento indietro sono gli anni Venti, il decennio che è anche l'ultimo momento in cui una genuina classe agiata americana conduce un'esistenza pubblica aggressiva e ostentata in cui una classe dominante americana proietta un 'imrnagine di sé che è allo stesso tempo class-conscious e inapologetica e gode dei suoi privilegi senza pro.vare colpa alcuna, apertamente. e armata degli emblemi del cappello a cilindro e della coppa di champagne, sul palcoscenico sociale bene in vista a tutte le altre classi; il termine di riferimento avanti è invece la sempre più spuria atmosfera multinazionale in cui lo scrittore bloccato (Jack Nicholson) è assunto per un lavoro che non gli è proprio da anonimi organization men. La lezione di The Shining dunque, la sua analisi profonda e "working out" delle fantasie di classe della società americana contemporanea - qui la nostalgia per l'ultimo periodo in cui la coscienza di classe è bene in vista e il desiderio di una gerarchia sociale ormai svanita- è particolarmente disturbante sia per la sinistra che per la destra: la cornice generica del film - la ghost story - demistifica implacabilmente il film di nostalgia come tale, il pastiche, e nerivela il contenuto sociale concreto. Lo scintillante simulacro di questo o quel passato è qui smascherato come possesso, come progetto ideologico di un ritorno alle dure certezze di una struttura di classe più visibile e rigida, e questa è una prospettiva critica che include ma trascende il richiamo più immediato di anche quei films dell'occulto (stile The Exorcist in poi) con cui The Shining potrebbe momentaneamente esser confuso. Ryan e Kellner sono molto acuti nel decostruire il tessuto complesso del film, la sua stessa "tenuta" estetica, come quando discutono il modo in cui Kubrick esamina la psicopatologia sessuale del disciplinarismo e·primitivismo di destra e vedono come il tema sociale conservatore della necessità della disciplina per controllare una natura violenta, disordinata e incontrollata sia inscritto nello stile del film, esso stesso altamente stilizzato e controllato. Il nucleo di pensiero sociale conservatore il film lo replica e sovverte nella finale pazzia e morte del protagonista, nella sua totale immersione nella natura panica, che rivela paradossalmente una dimensione progressista, come se il conservatorismo che fa da sfondo facesse mostra del desiderio di sfuggire, alla fine, al conservatorismo.
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