Linea d'ombra - anno VII - n. 37 - aprile 1989

giatura, isolato dal film, può certo presentarsi nelle prime due ca~ tegorie prese in considerazione, ma anche là non si è mai riusciti a risolverlo in maniera globale, nella sua qualità di "problema". Quello che là si chiede è una bella storia ben strutturata, nel campo del ben fatto, del fatto a mano. Vuol dire chiedere di vedere il film prima che sia girato, è un 'operazione di controllo, di compatibilità, è volere che l'universo cinematografico sià "già là", predigerito. Il regista ne sarà l'illustratore e ciò che gli si richiederà sarà la conoscenza tecnica. Lo sceneggiatore, in questo caso, è chi conosce tutte le astuzie drammatiche, i trucchi, i gimmicksche servono a rinvigorire una storia. Tutte persone che si suppone sappiano quello che vuole il pubblico, tutti veri professionisti. Appunto, professionisti: parola oggi tanto di moda, parola sinistra in quanto vero prodotto di questi anni Ottanta. "Un vero professionista è chi non supera mai i confini della propria competenza". E tutto questo è all'origine di quanto di peggio può esistere: delle sceneggiature filmate. Ed è quello che si vorrebbe sempre di più fare per rispondere alle richieste standardizzate della televisione. Noi, se vogliamo sopravvivere, siamo condannati a ben altre cose: a sottolineare la singolarità di un'opera personale. E in questo caso, per il cinema che amiamo e che possiamo fare (ma ancora per quanto tempo?), dobbiamo sapere che questa operazione ribalta i termini della relazione sceneggiatura-film: il film esi- ..ste prima della sceneggiatura e la sceneggiatura non si può scrivere che se il film esiste già- nella testa e nel corpo del suo autore- in qualità di vero progetto filmico, estetico, che non ha prnticamente niente a che fare con le "belle storie ben scritte da bravi professionisti", ma con il desiderio profondo di un creatore che vuol fare del cinema piuttosto che avere lo statuto di cineasta. Chi mai potrà farci credere, anche solo per un secondo, che questa alchimia si può imparare seguendo delle lezioni di sceneggiatura? La sceneggiatura, se tutto quello che la precede ha una qualche realtà e una qualche verità, non può che seguire. Che la si scriva da solo, in due o in cinque, in due giorni o in un anno, facilmente o tra mille difficoltà, non importa. L'essenziale è quello che ne viene fuori, il desiderio di un oggetto unico, con la sua forza, la sua goffaggine, il suo carattere personalissimo e unico. Tutti sanno benissimo che il cinema è malato. Se non lo fosse non si organizzerebbero tante feste, euro-conferenze, dichiarazioni solenni, esposizioni nelle fiere commerciali, eccetera. Se non lo fosse, ci sarebbero dei film da vedere, e basta. È vero, invece, che il mercato del cinema d'autore, del cinema indipendente a basso costo, il solo a cui abbiamo accesso, si riduce a gran velocità, ricacciato dai bulldozer.dei megaprodotti e dai discorsi do46 Una scena di Lo fiammo del mio cuore di Alain Tanner. minanti, quelli della pubblicità e del piatto consenso che l'accompagna. Come si gestirà questa situazione nei corsi di sceneggiatura? Diamine: andando verso i gusti del grande pubblico. E con che soldi? Crisi della sceneggiatura e mancanza di 'creatori? Mettendo l'accento su questa domanda si contribuisce a confinare in un angolo il cineasta-creatore, a segare il ramo su cui è seduto. Invitando i membri delle associazioni sovvenzionanti a partecipare a questi corsi, si cerca di convincerli che la riuscita di un progetto passa attraverso una "buona sceneggiatura" e la sua codificata scrittura. Ed è proprio qui il vero pericolo, in questo desiderio di far passare attraverso le istituzioni, nella più generale idea che ci si può fare del cinema, quest'inutile postulato. Anche se, e la cosa mi pare evidentissima, mai niente di buono uscirà da questa cucina. Nel 1985 i "Cahiers du Cinéma" hanno pubblicato un eccellente numero sul nodo-sceneggiatura, al quale ho preso qualche efemento utilizzato qui e che molti dovrebbero procurarsi con urgenza.Si dice, tra le altre cose, che "quando non ci sono buone sceneggiature è perché non ci sono buoni film" (e non l'inverso) e anche che "c'è un problema di sceneggiatura là dove non ci sono registi degni di questo nome". Ci può essere una crisi dei soggetti, è normale perché la crisi è ovunque nelle teste e perché, a forza di diffondere l'odio per le idee, questo porterà i suoi frutti, ma cari amici, non c'è, non ci sarà mai una crisi della sceneggiatura, per la semplicissima ragione che la sceneggiatura non esiste in quanto tale. La prova, date la sceneggiatura X a registi A e Be, se sonp dei veri creatori, vi faranno due film totalmente diversi. Il resto è sceneggiatura messa in scatola. Il che mostra perfettamente che il momento forte del.lavoro è la messa in scena, che è il momento in cui una storia è lavorata da uno sguardo e presa in carica da una morale. Essere un cineasta e mettersi a rimorchio delle cosiddette tecniche di sceneggiatura, vuole già dire abdicare alla parte essenziale di quello che significa fare film, vuol dire fare atto di sottomissione alle leggi della domanda, vuol dire confessare la propria impotenza. Vuol dire dare in mano ai propri nemici dei bastoni per farsi picchiare, carattere peraltro tipicamente elvetico, ma di cui si poteva sperare che almeno i cineasti fossero esenti. E del resto lo erano,.almeno fino a non molto tempo fa. Sarebbe ora di smetterla con l'agitare falsi problemi (e per giunta anche vecchi e andati a male) per mascherare quelli veri. E viva i film girati con una sceneggiatura di due o duemila pagine.

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