Linea d'ombra - anno VII - n. 37 - aprile 1989

ma hanno ambizioni alte e cercano i mezzi adeguati a esprimerle (per pochi o per molti, è allora secondario), e che credono nella riflessione e nella creazione per un bisogno di conoscenza ecomunicazione insofferenti delle idee ricevute, delle finte originalità, del burattinismo succube di così tanti loro "colleghi"; questa istanza non di novità per la novità ma di novità per la verità edi novità perun progetto degno delle emozioni e delle reazioni dei più, ... avranno pure il diritto di esprimersi, e qualora si esprimano di trovare chi aderisce o discute, chi partecipa della stessa ricerca, chi vuole ancora capire, scegliere, e fare insieme, quando possibile. Da spettatori non vili, ma a loro modo, e altrove, attivi. Vale per il teatro forse più che per il cinema, vale per la musica, non vale almeno oggi per la televisione, ma può valere per molti altri campi e settori. Anche per il cinema, ovviamente. Non è che, in giro per il mondo, esista solo un cinema ipercondizionato e secondario, e anche se il cinema conta meno di altre forme di spettacolo un suo spazio e una sua necessità può continuare ad averli, ma appunto scegliendo e invitando lo spettatore a scegliere, cercando e trovando i propri spcttator). Sono dcli' idea che tutto questo sia vero molto più altrove che in Italia (o in Francia, in Germania, in Spagna, cioè in quella parte dell'Europa assestata e seduta nel suo comodo divano-bara di benestante tranquillità sociale delle grandi maggioranze). Là dove le contraddizioni sono ancora forti o esplosive, nel Terzo Mondo, nell'Europa dell'Est, perfino in Inghilterra e nel centro deWoccidente, gli USA, esiste un cinema più vitale, che perfino sa giostrare ancora con i grandi mezzi (speculando, truffando anche, ma tenendo conto di un contesto di contraddizioni ...) riuscendo a dire qualcosa; e se con i mezzi del realismo e dell'immaginario, se con la logica dell' "autore" o quella della "squadra" (tutt'altrochedisprezzabile, checché ne dica il tardo idealismo franco-italico) è nonostante tutto abbastanza secondario. Ma poi perfino in Italia, insieme al calar di braghe dei registi ex di sinistra (ruffianeschi, sofistici, abbrancati alle loro menzogne che credono significative; o ai loro spazi politico-finanziari, non meno sottogovemativi e clientelari di altri) può venir fuori, e rallegrarci,, un Mortacci in cui dal pozzo non ancora profondo di un passato che abbiamo fatto in tempo a conoscere, sconcertandoci con la sua arcaica poesiacontadinesca più che borgatara (ché la televisione e la piccola borghesia più aggressiva hanno occupato anche le borgate), sembra parlarci ancora una volta e per interposto medium amicale un "mortaccio" molto seppellito, il Pasolini dei momenti più sereni. Un Mortacci che sa riscattare dal loro abominio alcuni tra i più trucidi dei comici vecchi e meno vecchi. Un Mortacci che non può piacere agli italiani di oggi, e che d'altronde li racconta nel loro vecchiume e nella loro malvagità sorridente in un episodio impressionantemente vero, da Dilrrenmatt ciociaro, come quello con il giovane Rubini (inerte, amorfo, e perciò stesso carne da macello come tanti altri giovani ~embrano voler essere). Perdireche perfino qui e perfino nelle maglie strettissime della capitale amorale può esistere un cinema intelligente, di poesia o di prosa, attuale o distante (e il film di Citti è attuale perché distante, distantissimo). Di contro, il superfluo cinema dei superflui -dagli oltranzisti, non dico in cosa, Ferreri e Bellocchio allo sbavante Maselli e al super-Bertolucci-e dei pacchiani, degli arricchiti, dei comici. Giovani o vecchi. Di centro o di margin~. In alto: Sergio Citti, regista di Morlacci, con i suoi attori (Benti, Rubini, Gassman, C. Alt, McDowell, Luotto). 1 . 1 Al centro: i gemelli Ruggeri, e in basso Andy Luotto nello stesso I m. 43

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