IL CONTESTO Jan Ferslev in una scena di Talabot {foto di Jan Riisz). ca, in attesa del possibile disgelo. In questo si riassume, quindi, un complesso progetto di sopravvivenza, e di conseguente parallela rimeditazione, dello spirito del teatro, che mi pare resti abbastanza omogeneo tanto se delineato e sceverato nelle sessioni itineranti dell'università internazionale dell'IST A, gemmazione dell'Odin e punto d'incontro dei suoi alleati e interlocutori, ormai giunta con la manifestazione salentina del 1987 al quinto appuntamento, quanto se rispecchiato nelle strutture degli allestimenti presentati dal gruppo danese al pubblico. Nell'età glaciale, soprattutto operando su queste lince d'attività ed aggregazione, l 'Odin sembra farsi carico della responsabilità complessiva di testimoniare, dinamicamente e sperimentalmente, di certe "esperienze sociali, politiche e teatrali" maturate, dagli anni Sessanta in poi, nel laboratorio (direi non solo teatra~) del Living, di Grotowski, di Brook, oltre che proprio; e, anche alla luce di questo intento, è possibile interpretare i suoi ultimi spettacoli. Di fronte a Il Vangelo di Oxyrhinco si è portati a scomporre la rappresentazione secondo quei principi che ritornano o, citando Grotowski, "leggi pragmatiche", che guiderebbero le più generali pratiche dell'attore e che sono oggetto del lavoro teorico-pratico dcll 'IST A. Una conferma diretta che Il Vangelo, così, può definirsi una regia della teoria, una teoria-spettacolo, l'ho ricavata in seguito anche del saggio di Barba, ll corpo dilatato. A loro volta, le "leggi pragmatiche" indagate dall'IST A, nel laborioso confronto fra Oriente e Occidente, mi pare derivino in qualche modo dalla logica medesima del fare teatro dell'Odin, rivelandosi una razionalizzazione a posteriori di essa. Il principio di alterazione dcli' equilibrio dell'attore non è forse in rapporto con qucll"'equilibrio di lusso" che struttura tutti gli spettacoli dell'Odin, i quali mirano, proprio come si afferma esplicitamente per questo Vangelo, a creare nel pubblico (e nell'attore) "un disorientamento che fa sentire in vita"? E il principio dell'opposizione come "danza" dei contrari nel corpo dell'interprete non è in relazione con un concepire la dimensione spettacolare anche come "danza" di svariate impossibili citazioni<>fantasie, veri stimoli di azioni fisiche dcli' attore, che, nella prassi associativa del "montaggio", si filtrano in alternanza e abbina20 menti di figurazioni ora dure (Kras, Animus) ora morbide (Manis, Anima)? E lo stesso "montaggio" che è il fondamento di ogni compiuta rappresentazione dell 'Odin non ricorda la logica del principio delle "semplificazioni" sia come concentrazione di energia sia come eliminazione dell'accessorio ed evidcnziazione del!' essenziale in una azione? Insomma, nel lavoro dcll 'Odin, il corpo danzante del!' attore finisce per essere, come alle origini, coincidente con il teatro; lo spettacolo è quel corpo e quella danza, e tutti i principi di teatralità essenziale circolano indifferentemente, unitariamente, nell'interprete e nella rappresentazione. Ecco allora scaturire un teatro che è appunto "spreco di energia", cioè antitesi d'uno spettacolo della quotidianità o del minimo sforzo o della naturalezza; un teatro che "rompe gli automatismi del corpo quotidiano" dell'attore, che invita lo spettatore a spezzare l'inerzia e la gravità del suo immaginario. Qualcuno ha detto che i principi messi a fuoco dall 'ISTA non sono che l'autobiografia tecnica dell 'Odin; sicuro, a patto che ci si accorga che, con il suo lavoro, il gruppo danese ha creato e cerca, a più livelli, anche di scrivere la biografia del teatro. ll Vangelo di Oxyrhinco è in effetti questo; tutto ciò che nell 'Odin è stato tendenziale in esso si sintetizza con lucidità e compiutamente, realizzando il risultato di ·"un comportamento extra-quotidiano nel pensare una storia" parallelo al "comportamento extra-quotidiano del! 'attore". È lo spettacolo dei vent'anni dell 'Odin che porta, inoltre, a maturazione l'impegno complessivo artistico, etico e politico d'una generazione teatrale, quel! 'impegno che Barba ha condiviso con JuliariBeck, JudithMa- _lina, Jerzy Grotowski. L'Odin, infatti, si dimostra fedelissimo agli ideali sottesi al lavoro come ai temi di questa generazione, riproponendo uno spettacolo sulle "manifestazioni della fede nel nostro tempo e della rivolta sepolta viva", che culmina nella domanda: "Che cosa farebbe oggi Antigone?". Sì, problemi da anni Sessanta, che è stolto liquidare col "già visto", perché poi così, come ci accade assistendo a/l Vangelo, non abbiamo visto mai. L'interrogativo livinghiano viene difatti calato in un clima sorprendentemente fastoso, apocalittico, ma un po' cialtronesco, fra il Meyrink dc La notte di Va/purga e i trucchi del più mirabolante teatro barocco o d'un medium dell'800: pietre semoventi, sibilare di coltelli, crocifissi che nascondono lame, cadute verticali di sipario che creano un effetto di specchio per le due metà del pubblico che si fronteggiano, separate da una lunga passerella giapponese e avvolte dalla membrana sanguigna dello scenario. Emozioni e associazioni dello spettatore slittano fra Il libro tibetano dei morti e il Dibbuk di An-Ski, le leggende praghesi e De Ghclderode, fino ai maestosi fantocci di Seneca, cui certo s'ispirano gli attori de Il Vangelo di Oxyrhinco. Fra teste mozzate che cantano la rivoluzione e la speranza, guerriglieri e idoli balinesi, figure da tarocchi e gangster sudamericani, nella energetica dispersione degli elementi e nella costante sottolineatura dell'inganno scenico e del trucco che supera deliberatamente il limite del buon gusto, si fissa alla fine, per saturazione, una impressione pregnante, cui tutto lo spettacolo-ci si accorge-indirizza sottilmente, coprendo e paludando, in apparenza, con i suoi turgori un nocciolo ideale che viene invece a delucidarsi come individuale rivelazione. Ame, s'è ripresentata all'improvviso la fotografia di una camera di tortura dei colonnelli argentini, pubblicata su una rivista geografica- un posto che sembra un biliardo di periferia, non fosse per la polvere e il sangue. Allora ho capito che Il Vangelo di Oxyrhinco, questo spettacolo che avrebbe potuto pensare, per il rigore e la visionarietà, Artaud, è soprattutto l'ultima delle rappresentazioni di un teatro davvero politico - dopo il Living, un Frankenstein dcll 'Odin. E, in definitiva, quell'ebreo chassidim, in attesa d'un Messia che per tutti pare già arrivato e che s'aggira, chapliniano, fra le gonfie figurazioni barbariche della rappresentazione, non potrebbe esscrc Julian Beck, l'uomo che ha speso la vita, interrogandosi sull"'eredità di Caino"? Certo può essere arduo accostare la tolstoiana essiccazione gestuale, specie dell'ultimo Beck, con la stilizzazione clamorosa ed enfatica de Il Vangelo, ma il risultato è paradossalmente lo stesso, l' obiettivo resta sempre far tralucere lacriticae l'utopia sotto i veli della storia, attraverso il teatro. L'intenzione sovrasta i modi. Se si pensa alle polemiche sul disimpegno che seguivano le apparizioni italiane dell'Odin, negli anni Settanta, vien da sorridere alla considerazione che è rimasto l'unico gruppo o quasi a fare del teatro politi-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==