Linea d'ombra - anno VII - n. 37 - aprile 1989

STORIE/PETROSI NO di inzeppare, ancora una volta, la tua cartella. Il tuo banco e i suoi dintorni erano un campo di frammenti piccoli e grandi, di residui e di tracce che ti assediavano e di cui non ti accorgevi. Erano fogli spiegazzati, sui quali avevi tracciato segni indefinibili che io raccoglievo e ti riportavo, per capire insieme a te le mete provvisorie che avevi attinto. Mi intrattenevi così in lunghi discorsi che puntellavi su un puntino, un cerchietto, uno svolazzo contorto. Erano pezzettini e riccioli di carta, che avevi ritagliato con un paio di forbici, nel tentativo di contornare un disegno, rifinito eccessivamente, fino a scomparirti letteralmente di mano. Erano granelli e palline di creta che avevi trafugato da un laboratorio, per rimodellarli vanamente sul banco in forme da interrogare. Erano cerchi e triangoli di legno combinati insieme per fingere figure e simboli che sembravano ammaliarti e che poi abbandonavi per passare ad altro. · Una sovrana dissipazione ti circondava, che ti rendeva cieco a ogni residuo dei tuoi gesti e indifferente a ogni sottoprodotto delle tue operazioni. · Ma questo ti accomunava in parte agli altri bambini, e spesso era difficile dire, chi di voi concorreva di più a colmare il cestino dei rifiuti. Ti distingueva invece da loro una esplosiva e trionfante trasandatezza fisica. La canòttiera ti penzolava a sbrendoli e i pantaloni di lana della tuta si ritiravano sotto l'addome prominente. Ad ogni piegamento in avanti, mettevi a nudo le tue natiche, e se non ti davo una mano a tirarti su almeno le mutande, non ti davi pensiero dell'ironia dei tuoi compagni. Un'ironia che mi preoccupava, ma di cui tu non sembravi afferrare il senso. E se ti chiedevo un po' più di · accortezza nel maneggiare i tuoi abiti, ti limitavi ad appallottolare un lembo della camicia e salvavi così, per condiscendenza, un'apparenza di decoro. Girando perla classe o accoccolato in un angolo, giocavi continuamente col tuo sesso minuscolo, che rivoltavi, accarezzavi o martoriavi tra le dita. Perciò quando richiamavi imperioso la mia attenzione cori i tentacoli delle tue mani, e mi toccavi e ritoccavi la faccia, sentivo nel naso l'odore dell'urina che impregnava le tue dita. Te le facevo lavql'e, ma serviva a poco. Subito dopo cominciavi a esplorare daccapo la tua pancia, a grattarti il sesso, ad avvitare le dita nella cavità dell'ombelico. Ma con le dita ti esploravi volentieri il retto i primi tempi. Per molti mesi ti rifiutasti di defecare a scuola, pur patendo a volte penosi m_aldi pancia. Scoreggiavi a tutto spiano e gettavi Io scompiglio nei crocchi dei tuoi compagni. Ma i bambini sono in gençre tolleranti per le manifestazioni fisiologiche del loro corpo e, a parte qualche occasionale irritazione, non ti davano addosso. Eccetto uno, che ti rovesciava contro tutta l'intolleranza che pativa lui stesso in casa dai suoi. Temevo costantemente la tua solitudine, e pur lasciandoti il tempo e le occasioni per fare piano piano i conti con te stesso e 102 i tuoi bisogni, tentavo di correggere con discrezione i segni più plateali che potessero indurre gli altri ad additarti come abnorme e ad escluderti. E non è quasi mai accaduto, sia perché non ti escludevo io, sia perché a poco a poco ti impadronivi della parola e disputavi agli altri l'intuizione più feconda, il paragone più calzante, l'argomentazione più puntuale. Uscivi cioè sempre più spesso dal tuo letargo e lasciavi affiorare i segni d'una sensibilità puntigliosa e di una intelligenza aggressiva e scontrosa. Queste eruzioni sempre più frequenti di risentito vigore ti restituivano dignità e presenza, e il tuo disordine, la tua trasandatezza, i tuoi odori finivano piuttosto col segnalare la tua eccentricità, non i connotati esclusivi del tuo essere bambino. Salutavo con piacere questo ergerti progressivo in virtù della parola. Non era stato inutile bisbigliarti, parlarti a lungo, anche quando occhieggiavi come cieco o distoglievi lo sguardo come un sordo. Centro d'un discorso al quale prendevi parte, non oggetto di imperativi d'ordine, né obiettivo di pietà malintesa, ti aprivi via via per dirti in qualche modo, per contare sempre meglio in orizzonti meno instabili. Certo le tue nascoste ferite continuavano ad essere aperte, ma cominciavi se non altro a farci l'occhio e a posarci su lo sguardo con maggiore franchezza. Intanto si avvicinava un'altra estate, e dovevi rinunciare alle mie letture e alle mie orecchie. Ma ci lasciavi, si direbbe, un po' più disponibile a vivere. E io riflettevo che era bastato un segno, quello giusto, per ricominciare a volerlo. Leggete una grande storia di libri. · Un capitolo al mese. tlNDICE , DEI LIBRI DEL MESE Il mondo attraversoi libri.

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