STORII/PUROSINO Le tue invocazioni affiorano, e mi costringono a meditare i tuoi messaggi e a decifrarli, a suggerirti vie d'uscita sensate o utilizzabili. Pratica che sola può restituire un senso alla scuola, per ridurre, se possibile, il numero degli spostati. Ma gli insegnanti si dedicano più spesso a lustrare gli ingranaggi che collocheranno il bambino nei ricetti e ricoveri del macchinismo occidentale. Il quale, peraltro, si autoalimenta da canali privilegiati, lungo i quali transitano gli eletti di turno che gli servono per durare. Con te avevo ben altri ingranaggi da lucidare, ben altri riposti grumi da sciogliere. E volevo farlo senza tentare di nascondermi dietro gli obblighi astratti del lavoro che ero delegato a svolgere e pagato per fare. Così come i polacchi puliscono i parabrezza agli angoli delle strade, imarocchini vendono tappetie noci di cocco sullespiagge e i nordafricani raccolgono pomodori nelle campagne; la maggior parte dei maestri e delle maestre "educano" i bambini nelle scuole di stato.Hanno un solo terrore: quello di vedersi ridotti, da uno Stato insipiente e becero, al ruolo di bassa manovalanza senza credito. La loro vergogna è di vedersi imprigionati in aule non toccate dai fastigi bramati del prestigio sociale. Situazionepotenzialmente catastrofica,perché su questo fondo di fluttuantee ispessita frustrazionepuò accadere di tutto, e le aule e le scuole possono trasformarsi facilmente in covi di sbandati, in fortini di nevrotici, in piazzeforti di tirannelli, in celle di allucinate. È generalmente in questa truce epopea della pedagogiache si muove il popolo dei bambini, in transitogiornaliero, e quasi senza difese, tra i suoi miasmi e le sue cieche frenesie. Avevo le mie informazioni su di te. I maestri e le maestre si informano sempre. Il vicino di casa, la merciaia, la panettiera hanno sostituito i barbieri come fonti di nutrimento della chiacchiera di quartiere nei moderni agglomerati urbani. Bisbigli, accenni e resoconti rendono trasparenti e perfinoabbaglianti gli ufficiali silenzi familiari, le battaglie più sorde e i borbottii notturni. Ma non sempre questi occhiuti fari sociali, che scavano e illuminano il fondo dei nuclei domestici, migliorano la sorte e la fortuna dei piccoli· che vi si trovano impantanati. La consapevolezza collettiva si tiene paga di se stessa e non ritiene suo dovere infrangere la sacralità dell'altrui intimità. Forse perché le violenze che vi si consumano richiamano sgradevolmente alla coscienza violenze più prossime già in atto, o in procinto di scatenarsi, e quindi passibili di diventare a loro volta oggetto di altre consapevolezze e di altri discorsi. E tu eri già oggetto di consapevolezze collettive e di discorsi diffusi. A casa avevi poco spazio, si diceva. Troppe presenze estranee si incrociavano, che ti toglievano il fiato e ti toglievano soprattutto loro, tuo padre e tua madre. E poi litigi e risse, ritorni e abbandoni,riconciliazioni e silenzi, tuttimarchiati da eccessi,con te in un angolo a osservare, pesare, tentar di capire, incapace di parlare, di nasconderti, fuggire. E con un rimpianto, un doloroso rimpianto che ancora oggi racchiude una invocazione e una speranza, e che io raccolgo quandomi vieni vicino e mi chiedi di scrivere a nome tuouna Ict100 tera ai tuoi. Ininterrottamente mi detti: "Caro papà, io voglio stare con te e lamamma. Andiamocene tutti e tre in centro amangiare il gelato e a guardare le giostre. Non mandatemi più a dormire dalla zia. Non mi piace. Ciao da Gianni". Scrivo con cura le tue lettere e le abbellisco con figurine autoadesive, perché tu ti rifiuti di disegnare a contorno i tuoi fantasmi. Ma poi, regolarmente, dimentichi a scuola le tue lettere, le abbandoni sotto ilbanco, le disperdi tra i giornalini e i librie spesso la bidella, ignara, le raccoglie con la paletta e le scaraventacon le bucce e i pennarelli scarichi nel sacco nero. Così le tue invocazioni affiorano, ma non raggiungono i tuoi agognati interlocutori, perché lo ritieni inutile o perché forse ti manca il coraggio di accusare e di ferire chi ti ferisce e rischia di ucciderti. Raggiungono inveceme, cui ti rivolgi con timidezzaoper calcolo, per costringermi a meditare i tuoi messaggi e a decifrarli, e per suggerirti vie d'uscita sensate e utilizzabili. III Non era stato così i primi giorni. Li passavi accucciato sulla tua sedia, abbracciandocon il corpo il pianodel banco, la testa reclinatae gli occhi assonnati.Guardavi quasi offesochi ti scuotevadal tuoabbandono, tichiedevaattenzione e cercava di penetrare oltre lo spessore del tuo silenzio, le sequenze delle immagini che ti popolavano la mente e I'infinita stanchezza che ti prostrava. · Poi mi accorsi che ti affascinava ascoltarmi leggere libri di storie e di fiabe. Fu una scoperta che mi lusingò, perché mi consegnava tra lemani il galeotto che sembravaaprirmi unprimovarco nel tuo abbandono. Quando leggevo, assumevi unaposizione più distesa.Vedendoti così raccolto, immobile dell'immobilità di chi sogna e rivive i palpiti e gli erramenti dell'altrui storia, temevo di terminare troppo presto la mia lettura e di sottrarti in anticipo i pezzi di vita e di fantasia che stavi facendo tuoi. Anche quando gli altri cedevano alla stanchezza e cominciavano a strisciare i piedi, e io stesso soffrivo per le mie fauci riarse, tu rimanevi in imperterrita attesa di un'altra storia e di un'altra fiaba. Finalmente chiudevo le pagine e tu, deluso, ritornavia posare il tuo capo sul banco, Ma ormai la Ieuura, che ti aveva risvegliato da sonnolenza e apatia, era diventata il tuo feticcio, quello a cui sacrificare il tuo silenzio e le tue indecifrabili attese. Ti impadronivi del primo libro che ti attirasse e mi afferravi per la manica senza grazia, implorando con tono querulo e deciso:"Me lo leggi?" Mi tallonavi quando pulivo i canarini, innaffiavo le.piante, riordinavo gli armadi e scrivevo avvisi sulla lavagna: "Me lo leggi?" E quando ero costretto a tacitare la tua indomita pretesa, a respingere lamanoche si attaccava allamiagiacca, a chiedertiamia volta di non insistere e di aspettare unmomento più propizio; tiritiravi al posto col tuo libro, che sfogliavi intristito come un deposito segretodel qualeper iImomentot'era negato l'accesso e ilgodimento. Non avevi nessuna intenzionedi impararea leggere,come ca-
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