· lavi persone e cose alla tua portata. Te lo dissi, e fu tutto. Quindi ritornasti a perlustrare col tuo rametto l'angolo di prato nel quale eri andato, con tutta evidenza, a rifugiarti. La maestra mi invitò nell'aula, e quando ci fummo, sfilò davanti a me, da un mucchio di fogli, un fascio di tuoi disegni. Me li mostrava quasi intimidita, come capita in genere a una maestra di _scuolamaterna nei confronti di un maestro di scuola elementare, giudicato un gradino più in su nella fiera gerarchica della scuola italiana. Erano disegni nei quali non vedevo traccia né di mondi infantili banalmente convenzionali, né, all'opposto, disegni vigorosamente aperti, brulicanti, fantastici. Sfogliavo, invece, deformità apparentemente indecifrabili, macchie e guizzi che straripavano o si rattrappivano, cupe lacerazioni di tratti neri che facevano pensare a gesti inconsulti, a manate senza grazia e a echi di emozioni profonde e ingovernabili. "Eppure negli ultimi mesi è molto migliorato", continuava a dire la maestra, che si sforzava di trovare in quel marasma dcli' orrore un lembo di grazia fissato in qualche angolo di pagina, con un suo senso più definito e una commistione di colori più allegra e invitante all'occhio di chi guardava. Ma la ricerca si rivelava infruttuosa, e l'adulto tentava invano di attingere da quei fogli conforto e pace. Mi chiedevo: perché cercare quel che non c'è, anziché raccogliere il messaggio che vi è trascritto e comunicato? Quei segni erano i fantasmi di un'altra vita, che ci sollecitava a entrare nei suoi meandri e intrichi. La mia visita era finita. Ora davanti avevo l'estate. II Le poche ~ttimane estive non ti avevano cambiato affatto. Solita tragedia dell'infanzia, quando i colpi subiti e le offese patite producono mutamenti che hanno carattere definitivo. E poi hai voglia a ritornarci su, a sezionare il passato, a collezionare memorie, ad ansimare sotto i sensi di colpa e a vivere lutti. Ma il futuro ti era lontano, e chi sa tra quali scenari planetari si sarebbe consumata la tua odissea e la tua maturità di uomo. Ora c'era il tuo presente di bambino a reclamare silenzioso altre cure, altri rispetti, altre strade. Così pensavo, con qualche trepidazione, mentre arrancavi nella folla vociante di grandi edi piccoli, in attesa che anche il tuo nome risonasse e che qualcuno ti legittimasse a entrare nella tua seconda scuola di stato·. Ti avevo per caso colto con lo sguardo qualche decina di metri prima che arrivassi davanti ai cancelli della scuola. Mi aveva sorpreso e attirato il ritmo della tua andatura. Davi sì la mano a tuo padre, ma non gli camminavi al fianco. Ti facevi letteralmente trascinare da lui, abbandonando il tuo corpo pesante ai suoi metodici strattoni. Non c'era violenza da parte sua né riluttanza a procedere da parte tua: semplicemente, sembravano a te mancare le forze fisiche necessarie e a lui sovrabbondare una meccanica energia compensativa. Non guardavi, nel tuo abulico abbandono al suo guinzaglio, neppure davanti a te. Saresti caduto su un qualunque inciampo come su un ostacolo del destino, e nulla che stesse in te avresti fatSTORIE/PffROSINO to per evitarlo. Abbracciavi, con l'ondeggiare degli occhi, i caseggiati, le macchine parcheggiate sull'altro lato della strada, gli scarsi alberi che ragnavano con i loro rami i pochi quadrati di cielo incombenti sul quartiere. Non so se ti facevi domande o fonnulavi interrogativi all'ingiro, lungo il tragitto che percorrevi quel mattino di settembre avanzato, dalla tua casa mezzo diroccata alla scuola ingrigita dagli anni. Credo però di sapere che dietro il velo dell'indifferenza e il mutismo contratto di un bambino, le domande e le richieste sono soltanto una folla inceppata, persa in un vuoto sprÒpositato. Perciò non volevo farti il torto di attribuirti un' ebetudine che non ti si addiceva, come avrei presto verificato. Salisti i pochi gradini che ti separavano dalla soglia della scuola con la pena di un vecchietto e una smorfia di diffidenza. Tentai di dissiparla con un sorriso, ma tu ti stringesti più forte a tuo padre e atterrasti impaurito gli occhi.nella calca che ti faceva vacillare. Pensai che tu avessi intuito, che neanch'io mi fidavo di me stesso. Con te c'erano altre facce, altri corpi che comunicavano a caso le sensazioni che li agitavano, le aspirazioni e i terrori che li inducevano a farsi avanti o a trattenersi ai bordi del sacrario ambiguo della scuola elementare. Avremmo presto, già quella mattina, messo congiuntamente le carte in tavola e chiarito il senso del nostro stare insieme. Poi tutto sarebbe stato più facile, come accade là dove ciascuno conta per sé e non si vergogna di esistere con le sue miserie, le sue ire e il disordine della sua vita. Foto di Livia Sismondi !Grazia Neri). ~· ... ~, -- ,;..--- 99
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