INCONTRI/KREMENTZ lore se arriva quando il giornale è già andato in stampa" commenta sorridendo la fotografa. Che le insegna anche il valore di quelle fotografie _chelei stessa definisce "periferiche", prese cioè da una prospettiva non ovvia. Razionalizzazione e valorizzazione forse anche di quello che nella vita professionale di una fotogiornalista dorma potrebbe essere invece un grosso handicap. "Molti fotografi" dice la Krementz "lavorano in mucchio. Quando devono coprire lo stesso avvenimento si ammucchia-_ no tutti nella stessa posizione. Le fotografie di conseguenza tendono a essere un po' tutte uguali. Perunadonnastareinmezzo aventi fotografi che fanno a gomitate per guadagnarsi la posizione migliore è scomodo e perdente in ogni caso; tanto vale farsi un po' in làe scattare da una prospettiva magari marginale, ma certamente inedita." Nel '65 Jill Krementz lascia per un anno lo "Herald Tribune" e va in Vietnam, per vedere con i suoi occhi e documentare una guerra che, vista dalle pagine dei giornali occidentali, sembrava essere combattuta soltanto dagli americani. "Del popolo vietnamita, della sua cultura, non si diceva niente e 'iovolevo saperne di più. Henri Cartier-Bresson, uno dei fotografi da me più ammirati, incontrato a una cena proprio in quei giorni mi aveva detto che, se non fosse stato troppo vecchio, nulla l'avrebbe trattenuto dal partire per il Vietnam, perché quello era il Posto." Al ritorno, un anno dopo, la Krementz, in collaborazione con Dean Brelis corrispondente della NBC, consegna alla stampa il suo primo libro fotografico, The Face of South Vietnam, un libro di cui "sono fierissima, perché credo che il ruolo dei fotografi e dei giornalisti televisivi in Vietnam sia stato determinante nel cambiare l'atteggiamento degli americani e nel forzare il nostro governo a ritirarsi dal conflitto." Il progetto successivo èSweet-Pea: A BlackGirl Growing Up in the Rural South. La Krementz, che in quel periodo è molto attiva nel movimento per i diritti civili, va a passare alcune settimane in una famiglia del Sud. Sweet-Pea, una ragazzina di nove anni, diventa la protagonista di una storia che la Krementz questa volta sceglie di narrare attraverso le immagini, ma anche attraverso la scrittura. Il testo viene scritto usando la prima persona, come se l'autrice fosse la bambinaS weet-Pea. Un espediente narrativo che l'autrice non lascerà più e che sarà funzionaliizato a tutti i successivi suoi lavori che la metteranno in contatto con il mondo dei bambini. Al suo fianco in questo progetto che è antropologico, sociologico e politico oltre che di ricerca fotografica, la Krementz ha l' antropologa Margaret Mead, sua insegnante presso la Columbia University di New York. "È lei che mi ha insegnato l'importanza della persistenza. Che la persistenza è l'unico melZO per riuscire a concludere qualcosa." Nel '70 la fotografa decide di mettersi a lavorare in proprio. Il suo primo progetto è una raccolta di ritratti fotografici di scrittori famosi. "Nessuno se ne era occupato e a me l'idea di lavorare da sola, senza dovere fare a pugni per il mio spazio vitale, in una situazione dove mi fosse consentito spostarmi liberamente a destra o a sinistra, e magari anche cinque passi indietro, piaceva moltissimo. In più io sono una lettrice accanita e mi entusiasmava l'idea di avvicinare persone ammirate e rispettate da sempre." È così che incontra Kurt Vonnegut, con cui andrà a vivere nel '74 e che nel '79 sposerà. (Un rapporto riuscito, di cui JK dice: "Mi pia- •ce essere sposata con Kurt ... ·È un uomo estremamente gentile e che sa essere di grosso sostegno. Il fatto che lavoriamo in campi diversi ci protegge dal sentirci minacciati dal successo dèll' altro. In più lavoriamo tutti e due da casa, il che è perfetto. Abbiamo tempo per stare con nostra figlia Lily e anche per stare insieme e questo è divertente.'') Il libro che ne esce, The Writer' s lmage, è un preziosissimo archivio di immagini fotografiche di grande qualità tecnica e di intelligente, sofisticata sensibilità. Ogni ritratto è insieme un documento e un• interpretazione. Agli scrittori, preferibilmente fotografati nel loro ambiente di lavoro, viene lasciata la libertà di dare di sé l'immagine che sentono più conieniale, come se si fossero dovuti fotografare da sé. L'intervento della Krementz, un intervento tecnicamente ridotto al minimo, non intrusivo ("preferisco non usare un equipaggiamento troppo complicato" dice 46 Jill, "se mi è possibile preferisco rinunciare a quegli strumenti professionali, cavalletti, luci, ecc, che rischiano di trasformare un rapporto umano in una seduta fotografica e di cancellare quell'intimità" e quella fiducia indispensabili per ottenere un ritratto che parli di emozioni, che permetta di mostrare il lato privato di un artista senza violarne la privacy") si riduce a un minimo di manipolazione e a una concentrazione discreta su alcuni elementi compositivi, che parlano chiaramente della formazione pittorica dell'autrice. Le luci hanno la qualità soffusa e intima degli interni vermeeriani e lo spazio e gli oggetti vengono usati in direzione più narrativa che descrittiva. Ogni ritratto intende essere infatti un racconto o un documento, in cui la macchina fotografica ha preso il posto della scrittura. E piena di aneddoti è infatti la memoria della Krementz sulla galleria di scrittori che hanno definito la storia letteraria di questo secolo. Da allora Jill Krementz, ha continuato a lavorare, come fotografa e come scrittrice, attorno a altri progetti in cui il ritratto rimane il c~tro dell'attenzione, per raccontare però alcune storie e per parlare di alcuni grandi temi. Protagonisti dei lavori più recenti diventano i bambini, sia nella serie fotografica che dà vita a vari libri dedicati ai piccolissimi impegnati in alcune attività artistiche (tra gli altri: A Very Young Rider, A Very YoungGymnast,A VeryYoungCircusF/yer,A Very YoungSkdter), sia alla più recente produzione di libri dedicati al divorzio, al lutto, alla malattia. In questi ultimi testi (How lt Fee/s When a Parent Dies, How lt Fee/s toBeAdopted,How lt Fee/s WhenParents Divorce) laKrementz completa il ritratto dei bambini intervistati e talora dei loro genitori con una serie di racconti in cui la scrittrice restituisce ai piccoli intervistati l'intensità di una prima persona apparentemente senza mediazioni. Se nella prima serie l'intento è di dimostrare "che i bambini possono riuscire in qualsiasi cosa scelgano di fare, purché siano disposti a lavorarci", nella seconda l'obiettivo è di dare la parola a quegli "esperti-silenziosi" che sono i bambini e che normalmente vengono detti d'agii adulti specialiizati in pedagogia, psicologia ecc. "Come fotografa," dice, "ho sempre avuto dei sospetti nei confronti delle parole e, come giornalista, ho sempre saputo che i migliori reporter non si accontentano mai-delle fonti di seèonda mano. Così mi sono assunta il ruolo di catalizzatrice e ho deciso di creare un cortÒ circuito." Oggi, dopo una carrellata discreta di libri-esplorazione, dove ancora dei piccolissimi protagonisti (tra gli altri la figlia Lily) vengono accompagnati per mano nella scoperta del mare, del volo, del gioco, delle città e di tanti altri universi, dopo un ricchissimo réportage su Geraldine Ferrara durante le presidenziali dell'84 ("Mi interessava osservarla da vicino. Come femminista ero felice che a una donna fosse data un 'occa- · sione come quella e come fotogiornalista volevo saperne di più su di lei'') e un servizio dell '82 sul ministro della difesa israeliano Ariel Sharon, la Krementz sta lavorando a un progetto sui bambini con malattie inguaribili. Del fatto che ancora poche siano le donne fotogiornaliste e che tra queste molte gettino la spugna troppo in fretta, la Krementz dice: "Penso che le donne siano in posizione di svantaggio, perché sono riluttanti a diventare buone donne d •affari. Sembra che siano troppo preoccupate di come possono essere percepite. Hanno paura di essere giudicate dure, aggressive, arriviste. Per molte. la fotografia è un divertimento, un hobby, un'attività creativa, ni.a non vogliono percepirla come un business. Per me è tutte e due le cose insieme. Credo che proprio il mio senso degli affari mi abbia permesso di avere successo nel mio campo. Non ho paura di chiedere di essere pagata o di denunciare chi non rispetta gli accordi presi. E non credo ci sia niente di sbagliato. Io ho sempre pensato che nella vita si ottiene quello che si vuole ottenere. Il problema è sapere quello che si vuole e non aver paura di.uscire e andare a prenderselo." (/6 dicembre /988)
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