IL MOMENTO DECISIVO Incontro con Jill Krementz a cura di Maria Nadotti Jill Krementz, fotogiornalista, fotografa di scrittori e squisita scrittrice, racconta: per avere successo occorrono pazienza, tenacia, alcune buone idee e la capacità di pensare che ciò che è buono oggi non può funzionare domani. "La genJe spesso mi chiede se da bambina sapevo di volere fare la fotogiornalista. Lafotogiornalista,figuriamoci! Avevo letto di FlorenceNightingale, diNancy Drew, diMadameCurie, manonècheper una bambina ci fossero molti modelli a disposizione. E in più allora nessuno ci insegnava apensare alla nostra carriera. Ci insegnavano apensare alla carriera che i nostri mariti avrebbero fatto. La maggior parte delle mie amiche sognava di incontrare l'uomo perfetto, di fare uno splendido matrimonio e di sistemarsi. NienJe di male, ma io sapevo che la cosa non erafattaper me. Nelle miefanJasie c'erano la mia personale carriera e l'indipendenza economica. Il lavoro che avevo in menJe aveva a chef are con il giornalismo, ma non con la fotografia. Ali' epoca non conoscevo nessun fotografo e la possibilità di lavorare in quel campo non mi sfwrava neppure". Con queste parole inizia la breve autobiografia che Jill Krementz (newyorkese, quarantotto anni portati splendidamente, dal '79 sposata con Kurt Vonnegut) ha appena finito di scrivere per il quinto volume di Something about the Author Autobiography Series. La fotografia fa la sua comparsa nella vita della Krementz quasi per caso nel '60, quando un'arnica in partenza per un viaggio intorno al mondo le propone di lasciare il lavoro editoriale presso la rivista "Glamour" e altre piccole occupazioru che le permettono .di arrotondare il bilancio e di accompagnarla. Lei non ci pensa neanche su, dà le dimissioru e parte. Uno degli ultirJÙ gesti di separazione da New York è il baratto della sua macchina da cucire con una Kodak, una di quelle macchine semplicissime che servono a collezionare istantanee e ricordi. Eppure le foto fatte durante quel viaggio, secondo il giudizio della Krementz, non sono probabilmente inferiori a altr!: successive realizzate con strumenti molto più sofisticati. "Un buon fotografo" spiega la K., facendo sue le parole del fotografo Gordon Parks, "fa le fotografie con il cuore". Il viaggio comunque si trasforma in una permanenza di alcuru mesi in India e in un lavoro presso l'India lndustries Fair di New Delhi. Il ritorno a New York segna il rientro nell'attività editoriale presso la rivista "Show", ma ben presto, "subito dopo aver ricevuto una Nikon come regalo per il rruo ventunesimo compleanno", la decisione di diventare una fotografa free-lance a tempo pieno è presa. "Mi sono resa conto di volere fare del foto giornalismo, me ne sono resa conto con lo stomaco, quando il presidente Kennedy è stato assassinato. Mi ricordo che ero da Bloomingdale 's (grandi magazzini tipo Rinascente, ndr ). Saputa la notizia, mi sono precipitata in redazione a recuperare la mia Nikon. Volevo documentare l'evento e così ho cominciato a fotografare tutto quello che mi veruva in mente ..All'inizio la gente che si accalcava intorno alle edicole o alle radio per avere le ultime notizie. Ma non mi ci è voluto molto a c,apire che a queste fotografie mancava un elemento visivo importante, per essere precisa gli mancava un elemento grafico che le mettesse in relazione con l'uccisione di Kennedy. Potevo ascoltare i commenti della gente, ma non potevo vedere quello che stava succedendo. Come si faceva a mostrare che le notizie non erano quelle di un notiziario qualunque? Come dare alle mie immagini la componente visiva che gli mancava? Sono tornata di corsa da Bloomingdale' s, al reparto televisioni. Lì almeno c'erano persone che seguivano le notizie sullo schermo e sullo schermo c'erano le immagini di Kennedy." La stessa operazione, poco più tardi, la Krementz la farà ottenendo l'autorizzazione a fotografare dall'interno gli uffici e la tipografia del "New York Times", mentre si producono gli storici numeri del novembre '63. Quando ritornerà nel suo ufficio, i colleghi la rimprovereranno Jill Krementz con la figlia Uly (foto di Ariel Skelley, 1987). di aver reagito in modo volgare e opportUIÙsta a un evento così drammatico della vita politica americana. Una lezione eccellente, come ricorda ora la fotografa: "in un colpo solo, avevo capito che volevo fare del fotogiomalismo e èhe per riuscirci dovevo accettare il fatto che spesso gli altri rJÙ avrebbero percepita come una persona dura e aggressiva." Nel 1964 la Krementz, giovanissima, viene assunta come fotografa (la prima e allora uruca donna nella storia del giornale) dal "New York Herald Tribune". È lì che, grazie in particolare ai suggerimenti del collega Ira Rosenberg, impara a fotografare, a dare cioè la giusta importanza alla tecJÙcae a quel tanto di artigianato che la fotografia comporta, "a stare con i piedi ben piantati per terra, ma anche a spostarrru di quel mezzo chilometro in più che ti permette di scattare una buona foto. Ira aveva l'abitudine di dirrru: quello è il giornale di ieri. La gente ci sta già incartando il pesce. Che cosa farai oggi?" La volontà e l'energia per non fermarsi, non solo su un'immagine ben riuscita ma neppure su un progetto di successo, sembrano essere infatti il filo conduttore della vita professionale della fotografa. In quegli anni, unendo lavoro e tensione politica, i suoi réportage coprono alcuni degli avvenimenti e dei personaggi più significativi dei nostri tempi: la rivolta dei ghetti americani, i funerali di Malcolm X e l'assassinio dei Combattenti per la Libertà in Mississipi, ma anche i party di Andy Warhol e Edie Sedgwick, il debutto di Nureyev al Metropolitan di New York o il trionfo dei Beatles al Shea Stadium. Un'esperienza che le insegna a lavorare velocemente in situazioru per lo più imprevedibili. E a rispettare le scadenz.e. "Anche la fotografia più bella del mondo non ha alcun va45
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