CONFRONTI l' oscuro fuoco di Fenoglio Bruno Pischedda Del panorama non proprio tranquillo offerto dalla più recente critica fenogliana, Eduardo Saccone si può dire esponente imbarazzante e prezioso. Aggressivi nell'avanzare le proprie argomentazioni, quanto determinato apervenire attraverso di esse a quel nocciolo profondo e problematico, che possa valerecomedominantenell 'interaoperadello scrittore albese, normalmente spartita lungo la dòppia direttrice partigiana e langarola. La sua raccolta di saggi ( Fenoglio. I testi, l'opera, Einaudi, pp. 214, L. 15.000) appare completamente inserita nella fase più accesa, l'ultima, della diatriba sugli editi e inediti fenogliani. Quella cioè che si apre (o riapre) nel 1978, con l'uscita della monumentale edizione critica diretta da Maria Corti. A ben guardare, e ad onta della riservatezza dimostrata da Fenoglio mentre era in vita, la critica che di lui si è occupata è sfuggita assai di rado a un tono concitato e persino oltranzistico. Certo, dal lontano '52, quando Vittorini proponevalventitrégiornidellacittà di Alba nei suoi "Gettoni" einaudiani, la disputa sembra aver dismesso le sprezzature ideologistiche, per passare agli strumenti apparentemente più governabili della critica accaderrùca. Dai giornali di partito si è così passati alle riviste specialistiche. Eppure, l'accanimento con cui si entra e ci si muove in questa sempre inconclusa querelle è rimasto intatto. La globale incompiutezza dell'opera feno.gliana ha certamente parte in tutto questo. Se da un lato rende oggettivamente difficile districarsi fra testi ancora al di qua di quello statuto d'opera che solo l'autore poteva pubblicamente conferirgli, dall'altro ciò assegna al corpus fenogliano un sovrappiù - ma tutto estrinseco - di fascino e di durata critica. Un tale ausilio incidentale (e paradossale) non revoca certo in dubbio l'indiscussa, ormai, levaturadell' autore. E tuttavia esiste, anche se da solo non basta forse a dar ragione dell'attuale concitato stadio degli studi su di lui. Resta piuttosto il sospetto che, sono il fervore accademico e individuale con cui si dibatte, riemerga poi beffardamente, ma degradato e irriconoscibile, quel residuo ideologico implicito nella scelta degli strumenti critici e più ancora delle angolazioni visuali. Non semplici questioni di date In una siffatta situazione, la prima, delicata questione che Saccone si trova ad affrontare riguarda la cronologia delle due stesure del Partigiano Johnny e di quell'Ur-partigianoJohnny, steso direttamente in inglese, i cui nove capitoli superstiti vengono unanimemente individuati come stadio originario del progetto di grosso romanzo partigiano. Come è noto, la Corti, e successivamente le sue collaboratrici Grignani e De Maria, intesero collocare tali testi agli inizi della produzione dell'autore. E più precisamente: UR-PJ e PJJ tra il '45 e il '49; mentre PJ2 sarebbe stato definitivamente abbandonato nel '57-'58 (ma Corti indica '54). Da parte sua, Saccone opera su due versanti. Da un lato, sviluppando un notevole spunto di Falaschi, rifiuta l'ipotesi di "derivazione" dei racconti partigiani del '49 e della loro revisione del '52 (rispettivamenteRacconti della guerra civile e Ventitre giorni, nell'edizione critica) dal preesistenteP J. Sulla base di un'analisi di tipo variantistico ne ribalta anzi l'ordine compositivo: prima ci sarebbero i racconti, poi ilP J. Dal!' altro trova sostegno a tale sistemazione per mezzo di elementi filologicamente esterni, quali i tanto discussi epistolari tra Fenoglio e i suoi editori. Ciò che risulta è in effetti un quadro cronologico sensibilmente differente. Il progetto di grosso romanzo denominato nel suo complesso P J (e comprensivo di UR-PJ, P J1 eP 12) verrebbe piuttosto a collocarsi tra il '52 e il '58, anno in cui l'autore consegna a Garzanti il dattiloscritto di Primavera di bellezza. È poi, sostanzialmente, la proposta che a suo tempo, ma con altre argomentazioni, aveva avanzato Corsini, e che quasi contemporaneamente a Saccone aveva approfondito Bigazzi. A ripercorrere anche solo questa parte della critica fenogliana, c'è francamente da disperarsi; tali e tante essendo le "prove" e "controprove'' che vengono avanzate dai contendenti. È però innegabile - pur in mancanza di dimostrazioni conclusive - che alle tesi di Saccone e Bigazzi sia ormai da riconoscere sufficiente autorevolezza e credibilità. Se IL CONTESTO non altro per un elemento, reperito puntigliosamente da Bigazzi. Si tratta di undatodifilologiaintemadell' UR-PJ: un termine, "egg-head" ("testa d'uovo"), che Fenoglio fa usare a Johnny, nel senso spregiativi di "intellettuale", in riferimento al capo partigiano Tek. Un termine storicamente molto connotato,-ha modo di rilevare Bigazzi dopo un'accurata ricerca lessicografica. È infatti con esso che, in pieno clima maccartista, venivano sprezzantemente designati i seguaci di Adlai Stevenson, durante le presidenziali americane del 1952. Può darsi non sia nemmeno questa la "prova" filologicamente dirimente, ma certo è un dato di fatto su cui sarà arduo passare sopra. Quale autobiografismo Sarebbe comunque un errore declassare simili problemi di cronologia al rango di sterili accaderrùsrrù. In realtà è già a questo livello che si giocano importanti aspetti di giudizio e valorizzazione critica. Collocare il P J, come fa Saccone, nel cuore degli anni Cinquanta, significa evidentemente riconoscergli piena consapevolezza progettuale e centralità espressiva all'interno dell'opera fenogliana. È qui che sorge però, in tutta la sua delicatezza, la questione dell'autobiografismo. Gran parte delle analisi.di Corti e Grignani concludono verso una linearità progressiva della produzione dello scrittore albese. Quella che dalle pagine scritte a caldo, e strettamente autobiografiche del P J, condurrebbe auna piena oggettivazione stilistica e creativa, riscontrabile solamente nei più tardi testi fenogliani. Su questo piano, Corti parla specificamènte per ilP J di "diario cronachistico (genere assai diffuso nell 'immediato dopo guerra)". Ma se è autobiografico il P J - obbietta in buona sostanza Saccone - perché mai non lo sarebbero anche gli altri, Primavera di bellezza e Una questione privata in testa? · Ora, sul marcato autobiografismo di uno scrittore come Fenoglio non si può discutere. Troppo evidente a qualsiasi lettore minimamente informato è il parallelismo tra la sua vicenda storica e le caratterizzazioni di molti suoi personaggi. Questo è del resto quanto capita a ogni scrittore che dia voce a una profonda esigenza realistica partendo dalla propria esperienza individuale piuttosto che dalle grandi sintesi storico-sociologiche (e ideologiche). Ma detto questo è detto tutto. Da ciò non deve immediatamente discendere alcuna rilevanza estetica, e tantomeno di genere. Il criterio della referenza diretta rispetto alla realtà (perché quando Corti e Grignani parlano di autobiografismo è questo, serniologicamente, che intendono soprattutto) accomuna svariate classi di testi: dalla biografia, all'epistolario sino al romanzo storico. Ciò non toglie che ognuna di esse mantenga poi una sua autonomia funzionale e distintiva. Se Beppe Fenogllo (Arch. Garzanti). 35
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