e ame sembra che in questo modo qualcosa vada perduto. Ciò non toglie che ci siano molti momenti davvero gustosi, a cominciare dai frammenti di una sorta di piccola epica umoristica della moto e dell'auto e in genere dei mezzi motorizzati: "il vero ingresso del motore a scoppio nel vivo della nostra vita nazionale avvenne soltanto in quei primi anni del dopoguerra. La fine del1'esperimento totalitario, fondato sull'idea della marcia, fu seguita dalla motorizzazione del paese". Sempre in lotta contro il patetismo el 'enfasi, nella scrittura e nei fatti, Meneghello mescola anche in quest'ultimo libro, con una naturalezza che nasconde un paziente lavorio, illirismo all'ironia, smussando sistematicamente ogni possibilità di sovratoni enfatici. Non a caso uno dei suoi idoli polemici costanti è la poesia ermetica, e soprattutto Quasimodo, "il ballista tindarico"; e si pensi per esempio a come, nei Piccolimaestri, si esprimeva ilsenso di colpa di chi ancora non aveva aderito alla guerra partigiana: "Era gente già stata in guerra, mentre noi eravamo aPadovaa suonare l'oboe sommerso, che poi non si sa che suono possa fare, farà glu glu". La mescolanza di toni s'interseca, Meneghello con la mescolanza dei generi, così che l'etichetta di "romanzo", generalmente adottata per le opere dello scrittore vicentino, risulta sommariamente inesatta: non solo perché fortemente insidiata dall'autobiografia, e dallo stesso procedere aggrovigliato, spiraloide del ricordo, ma anche perché il procedere narrativo a ogni passo si spezza e dilata in disgressioni saggistiche o in squarci di lirismo, in improvvise impennate verso la fiaba o la fantasticheria paradossale, o si distende in scene di flagrante e spesso iperbolica comicità. In modo del tutto esplicito in Libera rwsa malo, ma in realtà anche sullo sfondo di tutto quanto il lavoro di Meneghello, l'incontroscontro dei registri e dei generi prolifera sul terreno di un conflitto, più elementare ma anche più irriducibile, fra lingue diverse, e fra diverse culture, a cominciare dalla tensione, piuttosto ontologica che linguistica, fra lingua scritta e parlata, italiano e dialetto: "la parola del dialetto è sempre incavicchiata alla realtà, per la ragione che è la cosa stessa, appercepita prima che imparassimo a ragionare, e non più sfumata in seguito dato che ci hanno insegnato a ragionare in un'altra lingua". Nemmeno l'universo originario del dialetto sfugge però ali' ironizzazione, alla sistematica riduzione di tono che Meneghello, emigrato in Inghilterranel 1947, ha probabilmente appreso soprattutto alla scuola del grandissimo Laurence Sterne. Di questo understatemenl è funzione necessaria anche il personaggio che dice "io", erede dichiarato della lunga tradizione degli inetti della letteratura occidentale moderna, ma con un di più di connotazioni umoristiche: "Non ho concluso niente a questo mondo, porco-demonio". Che è pure una bella lezione di umiltà, visto che ci viene dall'autore di Libera nos a malo e dei Piccoli maestri. Una lezione su cui molti scrittori, giovani o meno, farebbero bene a riflettere. CONFRONTI Lenarrazioniinpoesia di BiancaTarozzi Silvia Bortoli Il sottile volume che raccoglie i poemetti di Bianca Tarozzi, -(NessUIW vince il leone, Arsenale, L. 12.000), racconti in versi e rivisitazioni di temi e figure presenti alla nostra memoria letteraria, o nati da incontri, all'opposto, personali e privati - ci guarda attraverso gli occhi di una fanciulla che appena girata verso di noi, dal bianco e nero di copertina, ci chiama e leggermente ci interroga. Questa immagine di fanciulla, scelta dal- !' autrice a farci da guida, raffigura Beatrice Cenci, eppure, perduta qui la sua identità pittorica, si configura come quella porta che introduce a una poesia sororale. Reali o immaginarie, amare talvolta, spesso ironiche, nostalgiche mai, le protagoniste di questi racconti sono segnate da quello stesso sguardo innocente e consapevole che Beatrice ci offre girandosi verso di noi. Poesia non oscura, perché l' oscurità non la rigcarda né l'interessa più, poesia che vive di parentele e di richiami, che conosce i linguaggi, ma ne rifiuta la sapienza apparente, essa ci offre una cifra ancora prima di offrirsi alla lettura, perché possiamo attraversarla ritrovandoci: È la cifra del destino a segnare lo sguardo che da sopra la spalla ci porge Beatrice Cenci, quello stesso sguardo che ne La rrwdella di Guido segue ed osserva l'implacabile santità dell'altro, che in Nessunovince il leone è specchio a se stesso nel destino di un'altra Beatrice, di un altro Guido. L'ineluttabilità di questi destini ci viene mostrata tuttavia nella lievità: delle immagini, della lingua, delle rime che i poeti, come dice Montale, cercano di scacciare e pure si insinuano capricciose tra i versi, rime chiamate qui invece a farci ricordare arie d'opera, frasi assonanti, filastrocche dell'infanzia. Queste arie e l'eco indistinto di queste filastrocche, perduta la loro infantile autonomia, sono ormai legate alla memoria delle voci che le cantavano: voci di ragazze, compagne di scuola, disciolte ora nella voce di donne e uomini incontrati per caso. E che questa memoria della lingua non sia un caso lo dice bene Giulia Niccolai nella postfazione al volume: il tempo non ha mutato le regole, non quelle della salvezza interiore, e neppure le ineluttabili regole alle quali non si può sfuggire, che si possono soltanto giocare, consapevoli che il gioco non muterà il risultato, bensì la percezione che noi ne abbiamo: il passato, il presente segnano soltanto le forme e la memoria lega per noi questi segni. Questa cifra che ci rimanda al destino, chiara, leggera, è affidata al ritmo apparentemente così facile de La bellaCecilia, quasi distratto, a volte riluttante, sottolineato dalle rare rime e dalle assonanze molto nascoste, appeIL CONDITO na rilevate, che accompagnano l'incontro di Cecilia con il suo destino. Ed è affidata oltre che al ritmo a un 'ironia che ci viene da lontano: dalle rotture e dagli arbitri di quella poesia romantica che giocava con la propria ardua facilità, e che qui si mostra nella presa di distanza, nell'allontanamento, nella rottura di quel tessuto che pure facilmente e fluidamente questa poesia intesse. Le rime che la sottolineano, e che non a caso percorrono Variazionisul temadiPenelope, il testo in cui questo procedimento è più programmatico, sono la rivendicazione a un linguaggio comunicativo, che non si nasconde di fronte al sentire: "Racconto domestico", precisa il sottotitolo del poemetto, perché la poesia di Bianca Tarozzi è fortemente narrativa. Essa racconta di qualcuno che conosciamo e di cui non avevamo notizie: compagni e più spesso compagne di strada, guardati con partecipazione temperata dall'ironia, con una lievità che è piuttosto un mettere le mani avanti, una richiesta di attenzione più leggera, più interna. L'incontro con il mito e con la storia sta in questo segno, la contemporaneità di queste figure sta nella capacità della memoria di farsi 'presente', di rifiutare l'artificiosa progressione del tempo. Arianna e Penelope, Lazzaro e il poeta vestito di grigio, testimone del proprio e del nostro smarrimento, Cecilia, Giulia, Imelda sono la nostra memoria e simultaneamente il nostro presente, partecipiamo della loro vita perché sono frammenti della nostra. Dicevamo che questa poesia non è oscura, ma è certamente poesia dove il narratore nasconde una parte di sé, che viene celata al lettore con estrema leggerezza, per privilegiare il racconto: in L' ultinwviaggio di Artemisia, in Nessurwvince il leone, e con sempre maggiore sicurezza nei poemetti più recenti. In Variazioni di Penelope la rivendicazione a un proprio linguaggio si affianca invece esplicitamente alla definizione di tutto ciò che questo linguaggio non è: sapere degli "altri", conoscenze specifiche, tecniche, esterne a quel centro della percezione del destino che come si è detto risulta la cifra fondamentale di questi poemetti. Le rime, che nelle Variazioni si offrono a una Penelope "che non sa abbastanza" come un fermo appiglio per ritrovare la propria voce, vengono rifiutate invece da Arianna, che si ostina, nell 'enjambement, a contraddire una storia diversamente raccontata nei secoli. Le rifiuta, ma solo fino al momento in cui la fretta del racconto la sorprende e in quell'unica rima si piega per un attimo a un inflessione di canto per cui non c'è né tempo né legittimità. Ed è singolare che siano quasi assenti proprio 29
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==