lavori, sorti da una piccola borghesia contenta di sé, con il solo trauma di un ego che non trova tutte le soddisfazioni che vorrebbe e che peraltro è ben lungi dal guadagnarsi. È una letteratura di fighetti, per dirla tutta; ora melensa e superficiale, ora di funambolismi tutti e solo letterari, inodori e insapori. Una letteratura che ama se stessa per incapacità e insensibilità verso l'altro da sé, per incapacità e indifferenza a ogni reazione possibile nei confronti di un mondo che è ben difficile, a ogni persona un tantino esigente, amare e perfino tollerare. Non credo che la risposta di Qualcosa che brucia possa essere Sl!fficiente a far invertire una rotta, a stimolare iendenze antiminimaliste, antisolipsistiche, antigiocoliere. Ma è un nuovo inizio, è un segno controcorrente. Ed' altra parte, non sarà facile trascurare - anche ai più "loro" dei critici e scrittori, se non per quella "loro" ben nota capacità di mistificazione e malafede - il fatto che una famiglia proletaria ,dell'era della morte di una cultura proletaria e di un'identità proletaria, mai, in Italia, è stata meglio raccontata e descritta; che una storia d •amore così vera e così comune, fuori dal cerchio della nevrosi piccolo-borghese, era da tanto che non trovava cantori; che terni davvero brucianti come il disadattamento obbligato di una parte consistente della gioventù, non certo la peggiore umanamente quanto a potenzialità e qualità di partenza, o come la droga, o come la disgustante bruttezza di un presente costruito sulle complicità e gli interessi di tanti, solo un giornalismo superficiale e ricattatorio aveva osato mettere sinora in. scena. .. eccetera, eccetera ' Qualcosa che brucia osa scoprire cosa viene nascosto dalla nostra comune aggressività, dalla euforia dei nostri potenti, dalla mediocrità dei nostri intellettuali e artisti. Per questo, probabilmente, piacerà molto a chi "non conta" e verrà snobbato ("descritto", "smontato", "catalogato" secondo i loro schemini accidiosi, sempre incongrui alla vita) da una intellighenzia accademica o gazzettiera, o accadernicogazzettiera. Non sappiamo se Bettin farà altri romanzi, se troverà altre vie letterariamente e "politicamente" adeguate al bisogno di reagire a questo mondo schifo da cui è partito per scrivere il suo primo romanzo. Dipenderà, certo, anche dai lettori che il suo libro riuscirà a scuotere dal torpore ipocrita in cui contribuisce a gettarli la letteratura dei nostri anni nel nostro paese e dalla vellicante superficialità in cui li cattura e corrompe un giornalismo a essa speculare, di essa correo. Mario Barenghi: Forse perché mentre lo leggevo durava la siccità di questo allucinato inverno (e dura ancora, e non sappiamo fino a quando), il libro di Gianfranco Benin mi è parso scandito da una serie di immagini liquide. Il paesaggio lagunare, innanzi tutto, gli acquitrinosi e deserti lembi di terra sul limitare dell'Adriatico aperto, meta delle piratesche imprese del rag·azzo Babi e dei suoi amici; la secchiata d •acqua bollente con cui viene barbaramente uccisa lacagnetta Volpe, che cercava rifugio dalle intemperie in un cortile della Giudecca; poi il mare, bello ed immenso, sul quale Babi alla sua prima (e unica) esperienza di mozzo sogna di vagabondare, alla ricerca di chissà che; e poi l' acquazzone, a cui dopo una discussione amarissima si espongono Babi e l'amico Carta, soave emesto eroinomane, provando un senso di libertà e di pulizia tanto più struggente, quanto più palese0 mente illusorio; e la pioggia, di nuovo, ma questa volta una pioggia malsana e affatturata, che sul suolo contaminato di Porto Marghera suscita una misteriosa schiuma biancastra. Qualcosa brucia: ma non è solo l'incendio di uno stabilimento chimico, che sprigiona vapori soffocanti sulla terraferma industriale di Venezia, né la gioventù del protagonista: a bruciare sembra la possibilità stessa di diventare adulti, in un mondo attossicato fin nelle sue più intime fibre. L'itinerario del libro non va dalla natura allaci 7 viltà, né da una socialità elementare e schietta ad una più complessa o torbida: bensì da un 'infanzia che, pur trasognata e limbale, reca già le cicatrici di un ambiente crudelmente mediocre, povero di umanità e di affetti, alla scoperta di una corruzione senza confini, che investe indifferentemente i rapporti personali, il paesaggio, le coscienze.Sgomento, il protagonista se neritrae: non solo la sua maturazione, ma lo stesso romanzo è divenuto impossibile. Al resoconto di una giovinezza fragile e esulcerata non può che subentrare la cronaca nera. Santina Mobiglia: La storia di inquieto apprendistato alla vita adulta raccontata da Bettin si trasforma, nello scenario reale di una città dei nostri giorni, in percorso di conoscenza di un presente che minaccia di essere il futuro. La dimensione del romanzo sta proprio nella costante tensione interno-esterno, che allarga la tumultuosa ricerca di sé da parte del giovane protagonista a esplorazione della forza delle cose che consuma le vite individuali in destini collettivi: quel qualcosa che brucia dentro la soggettività della "rovente adolescenza" del protagonista torna alla fine del romanzo nell'incendio di Marghera, dove i rari esemplari di una classe operaia in estinzione possono ancora trovare la morte sul lavoro, mentre i figli la incontrano nella nuova industria invisibile della droga, che si impossessa del quartiere penetrando nei varchi del degrado e degli stabilimenti abbandonati. La Venezia descritta da Bettin è un universo discontinuo e contrastato, le periferie prevalgono sul centro, tasselli di paesaggi che corrispondono ai segmenti di età e di esperienza del narratore-personaggio, strati di ambienti e culture sconnesse non ricomposte dall 'inchiesta. Nel labirinto della città e della memoria sono mondi che non convergono le case popolari della Giudecca, luogo dell'infanzia, le isole lagunari disabitate, teatro di piratesche bande di ragazzini, il cuore storico della città, a lungo estraneo poi fatto proprio, ma semP.reaccennato per brevi tratti, quasi soverchiato dal fondale dei bagliori lividi di Porto Marghera, punto di non ritorno dell'itinerario del protagonista. Qui infine l'ultimo paesaggio allucinato, con le IL CONTHTO lattiginose fiorescenze chimiche che trasudano in fango e pozzanghere, annuncia che siamo già in un altro pianeta. Trovo convincenti e forti nel romanzo soprattutto le pagine più sobriamente crude, a cominciare dalla scena di tranquilla ferocia domestica in cui viene uccisa la cagnetta che disturba il caseggiato, conturbante apparizione del Mr. Hyde alla porta accanto e prima percezione del gelo che segna la fine dell'infanzia. Significativo il personaggio femminile, Giulia, che prende corpo soprattutto nella crisi del rapporto e nell'opposizione al personaggio maschile: lei solida e positiva, proiettata verso il futuro, ha un programma di vita; lui non tiene il passo, prigioniero di un• irriducibile paura dei modelli, di un'accidiosa resistenza al movimento nel tempo che la donna abbraccia invece come prospettiva di libertà del crescere e del fare. In fondo è la coetanea Giulia l'unica vera figura adulta con cui si confronta e trova il suo limite l'educazione sentimentale del giovane, i genitori sono ancora fantasmi dell'adolescenza, più facilmente esorcizzabili: i gesti scarni della separazione degli amanti scavano più in profondità della maniera gridata dei litigi in famiglia. La fine della storia d'amore dissolve molte autoillusioni del personaggio e sembra liberare anche lo scrittore da alcuni impacci e indulgenze nei confronti del suo aggrovigliato egotismo. Il racconto acquista ritmo e spessore, la scrittura si fa più ruvida e asciutta, fo sguardo risucchiato dai notturni delle periferie postindustriali osserva impotente e offeso levite spezzate, i volti e i meccanismi della devastazione urbana. Con un'improvvisa incursione nel genere nero si compie il viaggio agli inferi e la fuoruscita di fuga del protagonista, senza salvezza e senza scettici abbandoni. Giuseppe Ponlremoli: Pare che per la terra rimangano ancora soltanto dieci anni, nei quali far qualcosa per poterla salvare. Forse sarà anche vero; ma, che sia vero ono-esenonsarà vero magari non lo sarà per eccesso-, questo la dice lunga su come stia la casa. È mezzanotte e tutto va bene, dunque. Ma: e quelli che son dentro, nella casa? Per quelli, forse - e siamo tutti noi --:-gli ultimi dieci anni decisivi sono più che passati e lo "stupro innominabile" della citazione di Elsa Morante che avvia la seconda parte del romanzo di Gianfranco Bettin è "semplicemente" in atto. Morte, rassegnazione, silenzio, solitudine: c'è tutto, e forse proprio in questa successione; a volte invece-ed è forse il solo rigurgito dialettico-in successione inversa: solitudine ecc. Il libro di Bettin è dentro questo tempo, percorre i nostri "dentro" ed i nostri contorni, dicendo l'essenziale: dell'acqua, dell'aria e del fuoco. È un libro disperante, ma non disperato; e questo non solU\Iltoperché vi si individuano apertamente guasti e relative origini o perché si maledica ciò che va maledetto. Forse, piuttosto, soprattutto perché vi si evidenzia la necessità di temere: si tratta di riuscire a sceglierne la misura .... la nostra giovinezza guardava facil27
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