Linea d'ombra - anno VII - n. 36 - marzo 1989

IL CONTESTO ANTOLOGIA Acguafredda survetro caldo Attila J6zsef Su se stesso Nato nel 1905 a Budapest. Strillone,mozzo, venditoredi pane, aiuto cameriere,guardiano di campi di granoturco,precettore, portalegna, aiuto selciatore, venditore di francobolli, portagiornali fisso,bracèiante, fattorino, impiegatodi banca, garzone almercatocoperto,cor;rispondentecommercialefranco-ungherese, contabile,uomo delle pulizie, traduttore letterario,venditore d'acqua neicinema,insegnante-candidato.Studiuniversitarinel- ·la fac?ltà di letteree filosofiadi Szeged,Vienna, Parigi e Budapest E stato pubblicatoun suo volumedi poesie. È vissuto,ha amato e morirà. Ogni altra cosa che potrei dire di me, sarebbesoltantouna precisazionedi queste. Sonodiverso da questo e da quello, ma non riescoa indicareciò chemi distingue dalla gentee mi rende un' individualità.Credo nellaragione pura, come ci crederebberotutti, se farneuso non fosse faticoso. Nellapoesiapura,perchéè statalei a crearequella comunitàche, al di sopradegli antagonismi sociali,è forza serena, totalitàrea~ le, salute celeste.Nello spirito puro, la cui libertà è sconfinatae cheèaddiritturainprocintodidarvialiberaal corpo,graziealproprio modellarsi,con autodisciplina, sulla friabileplasticitàdella storia. Soffromolto,ma esclusivamenteper me, così questonon contanulla D'altronde, disperarmiperchévalorie veritàsononegletti, sarebbeassurdo: che noi lo vogliamoo no, ancheda sé essi sboccianoin trepidafioritura, come fa il roseto sottolo sguardo di Dio. Neppurel'umanità m'interessa, giacché non è che un fatto,mentreiosonovenutoal mondoper i valori.Maappuntoper questoio sonoI'u.ltimodei braccianti,umilee inquieto,di unafutura organizzazionesociale più decantata,perché occorre tempo e co~c~ntrazioneper cogliere la verità,mentre oggi la vita degli uomm1non basta nemmeno per elencare le cure quotidiane. Poichénoncièpossibileallungarelavita,-ilchecomunquenon risolverebbe niente, - dobbiamo sfoltire la moltitudine delle cure quotidiane,in modo che tutti possano inspirare fino al cuore, come fossearia, quella gioia vitaleche dà la conoscenza del1 'arte e della verità. Io scrivo per questo. La poesia per la poesia, la veritàper laverità, il valoreper il valore.Di più nonc'è, io non posso assumermi altri compiti, quale ne sia l'intento, e persino questoposso farlo solamente nei limiti dellamia finitudine.Aggiungo: nei limiti del 1929, in Ungheria. (1929) Poetica e poetare Nella mia infanzia,un giorno sentiidire che se si schizzaacquafre~dasulvetrocaldo,questosi spacca.La sera stessa,nonappena_miamadreebbe messo il piede fuori della cucina, mi detti a venficare la veritàdi tale tesi. Schizzaiun pochinodi acquasul v,etrodella lampada.Il vetrosi ruppe, iom'impressionai,miamadrea s~avoi~ rientrò.Sorpresae scossa,mi investì:''Tu, tu...perché hai rotto ti vetro della lampada?". lo ascoltavo il rimprovero a occhi bassi e mi prendevo, semprepiù ostinato, il diluviodegli schiaffi.Quelmio silenzioparticolarmentecocciutodoveva irritare mia madre. "Perché hai rotto il vetro della lampada?".Cosa potevo rispondere?Sarebbe sembratala bugia più spudoratase a~essirispostola verità:"Non horotto io il vetrodella lampada!". S1era spaccatoda sé, perché "se si schizzaacqua fredda sul ve22 tro caldo, questo si spacca". Vero che l'acqua fredda l'avevo schizzataio,manonperché volessirompereil vetro,bensìpervedere seera veroquelloche avevosentitoe che mi avevafattotanta curiositàda essere indottoa verificarlo. La punizione la.sentivomoltoingiusta.Setuttavia,perdifendenni,avessi dettodiaver schizzatol'acqua sul vetro perché avevo saputoche in quel caso questo si sarebbespezzato, avrei spintomia madre a credereche io avevocompiutouna cattiveriavoluta,unaveramalignità."Allora lo sapevi,e ciò nonostante?..." Sì, lo sapevo,ma sapevoanche che i bambini vengono sempre ingannati, ora con la favola della cicogna, ora con la promessadella pizza dolce a pranzo. Così mi ritrovo, anche quandomi si domanda perché scrivo poesie. La risposta naturale non sarebbe soddisfacente per l'interlocutore.Sonodiventatopoetaperché ho sentito dire che c'erano i poeti e anch'io volevo fare quanto facevano quegli impenetrabili e terribiliadulti. Volevorubare il segreto della loro affascinantesicurezza.I cavalli mi facevanopaura, ioperò lipalpavo sullagroppa,sulmuso,mimostravocoraggioso,cosìnonsivedeva che avevo paura. Ma non potevo ingannare me stesso.La paura era viva,Il,dentrodi me, e tuttoquelloche ottenevoerache essami sgusciassevia, come fannole ombre, quandobalzanosul latooppostodegli oggetti,mollando lì chi volevacon la lampada, sorprenderlesu questo lato. Volevodiventarecarrettiere,perchè quello non sentiva la paura. E mi venneanche l'idea di andarea fare il palombaroo il macchinistadellelocomotive.Mi deridevano. "Non fa niente", dicevano, "diventerai un fabbro in gamba, pure il luc.chettoè una macchina,comela locomotiva".Ma io, in segreto, smontaiuna serratura e vidi con delusione che, sì certo, era una macchina,ed era pure ingegnosa,semplice, ma non aveva nientedi "adultesco", come avrei detto allora. Non capivano che la locomotivaera un'altra cosa, era gigantesca e sbuffava, bofonchiava,rombava,urlavae, quandosi fennava, facevacome volessescoppiare.E là, su quellabestia tremenda,ci stavailmacchinistache,concalmainfinita,guardavailbambino,il qualenon potevanemmenoavvicinarsiai binari.Non capivanocheproprio la paura io volevo vincere. (1936) (traduzione di Beatrice Tiittiissy) Da La coscienza del poeta, Lucarini. LETTURE Gliorroridella realtà e i diritti della fantasia Goffredo Fofi La condanna a morte per Salman Rushdie Di Rushdie siamo stati i primi a occuparci in Italia, almeno apubblicarlo (due racconti nel numero 3 del 1983). La vicenda dei suoi Versetti satanici ha impressionato e sconvolto noi come tantissimi, anchesesidrrebbecheperinostri "colleghi" italiani (intellettuali e giornalisti) sia stato il pretesto per un altro dei loro abituali esercizi di viltà. Di solito così poco dialettici si sono dimostrati in questo caso campioni di distinguo gesuitici, preoccupati di drre subito che il libro non è dei migliori, che Rushdie non è un genio, e altre consinùli amenità. Bonzi di destra, di centro e di sinistra, bigotti verso ogni Potere, e cugini stretti di Andreotti quasi tutti. Come sedi fronte all'orrore di questa condanna, ai rigurgiti di una cultura da "fedeli" e "infedeli", da santa inquisizione, da teismo delrrante che non vuole distinguersi da politica e massacro, da chiesa totalitaria - tutte cose le più lontane possibile, anostro modesto modo di vedere, dalla religione come da ogni rispetto del diritto a criticare non soli i profeti ma finanche Dio se uno ha voglia di farlo (e i motivi, in genere,

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