Linea d'ombra - anno VII - n. 36 - marzo 1989

IN MARGINE Poveri noi... GraziaCherchi Il suicidio scomodo di Primo Levi È incredibile ma è così: il suicidio, se ad opera per esempio di uno scrittore famoso e celebrato anche per la sua fermezza e integrità morale, risulta ancora inaccettabile. Quando non si colora di biasimo. Si veda quello di Primo Levi.115 gennaioscorso"LaStampa" ha riportato un articolo di William Styron (uno scrittore serio e meritevole di stima, l'autore di E questa casa diede alle fiamme e di Le confessioni di Nat Turner) apparso sul "New York Times" del 19 dicembre, in cui Styron replica ad affermazioni riguardanti Levi emerse in un convegno dedicatogli dalla New York University. Affermazioni in cui si va dall'incredulità mostrata dal famoso critico Alfred Kazin, secondo il quale "è difficile credere a un'oscura volontà di autodistruzione in uno scrittore così felice e pieno di nuovi progetti" (questo sì che è parlare a vanvera) alla deplorazione, o, come scrive Styron, a "un'ombra di disapprovazione" di altri convegnisti, quasi si registrasse nel suicidio di Levi la prova di "un qualche suo misterioso cedimento morale", causa di delusione nei suoi estimatori. A quest'atteggiamento deplorevolmente filisteo, espresso anche dal prestigioso "New Yorker" quando insinua che "l'efficacia delle sue parole è stata in qualche modo cancellata dalla sua morte", si oppone Styron, facendo anche alcune acute osservazioni sulla depressione psichica, che, a detta di tanti amici torinesi, affliggeva Levi. Styron,cheasuavolta neè stato vittima nell'inverno '85-86, ne parla come "di un dolore quasi inimmaginabile ... straziantequanto il dolore per un arto fratturato ... Il più piccolo luogo comune della vita domestica, così gradito alla mente sana, lacera come una lama". Lo scrittore si fece allora ricoverare in un ospedale psichiatrico, anche per sfuggire al desiderio . di autodistruzione da cui si sentiva sempre più ghermire. E si è salvato. E conclude così il suo intervento: "Quello che intristisce nella morte di Primo Levi è il sospetto che questa fine non fosse inevitabile e che con un trattamento appropriato avrebbe potuto essere salvato dall'abisso". Così la pensa Styron, "per quanto presuntuoso possa essere fare supposizioni da una simile distanza. .. Ma comunque una cosa è certa: Levi ha ceduto a una malattia maligna e non un filo di biasimo morale dovrebbe essere attribuito al modo in cui se n'è andato". Sono d'accordo con StyroTJ., mentre non lo sono né i convegnisti americani di cui si è detto, né tanti amici torinesi di Levi che in questo caso hanno perso una buona occasione di tacere. Prestando fede a quanto riportato dai giornali, il pezzo di Styronè stato ritenuto "sbagliato" da alcuni di loro: lo storico Salvadori ha dichiarato che "le affermazioni di Styron non sono certo brillanti e poi è una questione di buon gusto" (di cui è noto che i torinesi hanno il monopolio: è di cattivo gusto dire che un'acuta depressione può portare al suicidio o, tout court, parlare di suicidio?), e, dispiace dirlo, non è stato da meno anche il grande Bobbio, secondo cui "scandagliare le ragioni di un atto tragico come il suicidio, attraverso considerazioni pseudoscientifiche e addirittura pettegolezzi, pare davvero fuori luogo, per non dire indecente". Quali affermazioni pseudoscientifiche avrebbe fatto Styron? Quali pettegolezzi? Veramente qui accademici americani e italiani vanno sotto braccio, ma più colpevoli mi sembrano gli italiani che pur conoscendo bene Levi e la situazione in cui versava, cercano di distogliere l'attenzione dal suo gesto finale quasi che ne intaccasse I 'immagine. Senza rendersi conto che è questo il peggior servizio che gli si possa fare. Poveri noi "Io mi considero in stato di guerra" ha detto lo scrittore inglese lan McEwan in un'intervista ("Il Manifesto", 5 febbraio). "La differenza tra ricchi ed esclusi si allarga a vista d'occhio. L'atmosfera è dma, la filosofia è quella del pensare ogntino per sé, e questo governo è assolutista e accentratore. In un recente meeting internazionale di letteratura a Lisbona, la questione del rapporto tra letteratura e contesto sociale ha sollecitato alcune controversie. Tra gli inglesi, oltre ame, c'erano Malcolm Bradbury, Salman Rushdie e Martin Amis, tutti scrittori in un modo o nell'altro assai critici del sistema sociale ed economico inglese degli ultimi anni, anche per gli effetti da esso prodotti nella letteratura. Gli italiani - Tabucchi, Manganelli, Sciascia - in modo piuttosto pomposo manifestavano la loro perplessità di fronte all 'idea che i romanzi potessero prendere per oggetto il governo di un paese, la sua situazione sociale. Ritenevano più degno discutere del!' ironia e del sublime. Ho scritto anch'io i miei racconti estetizzanti, ma non si può pretendère di guardare la storia come da un picco d'acciaio, ripetendo 'poverini, state sbagliando ..."'. È noto che gli italiani, sfornando un libro (e ritirando dieci premi) all'anno, fanno solo Alta Letteratura. E hanno il mondo in gran dispetto. Gente da Nobel o giù di Il. Sul Nobel mi viene in mente una battuta, esempla,e, di Vincenzo Cardarelli: "I grandi premi non vengono mai dati allo scrittore, ma ai suoi lettori. Poveracci, se li meritano". ErichUnder (foto di Alberto Roveri/ Arch. Mondadori). IL CONDITO La verità, spesso, è triste "La plus part des hommes célèbres finissent leur vie dans un étatde prostitution". Forse questo detto (di un grande moralista) non è mai stato tanto vero come in questi tempi, senza freni d'alcun genere. Chi è nato in altra epoca si affanna a recuperare nei tardi anni. Omaggio a Erich Linder Sei anni fa, alla fine di marzo, moriva, a cinquantanove anni, Erich Linder, I 'unico grande agente letterario che il nostro paese abbia avuto. Sarebbe proprio il caso che ci si decidesse a ricordarlo con un libro di testimonianze. Con la smania degli anniversari che imperversa qui da noi, che fa riesumare anche bestie e bestioline, si trascura un uomo della statura di Linder, di cui tanti - e di qualità -potrebbero raccontare cose importanti e anche utili: della sua vita (durante il nazifascismo fece - lui ebreo-da interprete della Gestapo a Firenze salvando così molte vite) e del suo lavoro (gli scrittori che lo avevano come agente spesso gli erano debitori di consigli e suggerimenti sui loro testi dati sempre con sincerità e tranquilla schiettezza). Conobbi Lindernegli anni Settanta accompagnando nel suo ufficio del!' Ali in corso Matteotti Elsa Morante che gli affidava tutti i suoi libri e che lo stimava moltissimo per la grande cultura e la lucida, affilata intelligenza. E la Morante e Linder erano accomunati dalla tranquilla spregiudicatezza e originalità dei giudizi: entrambi osavano pensare e anche dire con sovrana tranquillità quello che avevano pensato. Rividi poi Linder in altre occasioni, per lo più conviviali, rimanendo colpita anche dalla sua onnivora curiosità e dalla sua disponibilità, impensabile in un uomo così occupato, a passare ore con persone marginali (anche questo tratto aveva in comune con Elsa Morante. Personalmente gli sarò sempre gratJl per avermi dissuaso con poche parole, che furono per me definitive - "Non avrebbe di che campare" dall'insano proposito, insorto in una fase di acuto masochismo, di dediçarmi interamente all'editing). E ricordo anche alcuni giudizi, su scrittori e dirigenti editoriali, di una nettezza quasi impietosa che per me fanno testo ancor oggi. D'altronde Linder, che talora si dilettava di sorprendere un po' snobisticamente con le sue disincan11

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