Linea d'ombra - anno VII - n. 35 - febbraio 1989

una graduale svalutazione della donna nel corso del Medioevo attenuata, seppur f1ebilmente, dal crescente obbligo, imposto dalle pressioni della Chiesa, del consenso di entrambe le parti. Fuori dai recinti mitici o reali delle dimore signorili, la dama laica cede il passo ad altre, più attive, figure femminili che, nei chiostri come nelle libere comunità, ricordava Edith Ennen nel suo Le donne nel Medioevo, Laterza 1986, partecipano negli stessi anni al vasto movimento religioso di riforma della Chiesa. Donne di ogni rango, si sottraggono al silenzio degli oppressivi obblighi familiari, partecipando attivamente alla imponente crociata per il rinnovamento spirituale dei costumi ecclesiastici e per la diffusione degli ideali pauperistici. Fanno la loro comparsa allora nuove _formedi vita consacrata in comunità non legate a regole, come le beghine o tra le mura di un monastero. Intorno a queste oasi femminili, che conoscono a partire dal XII e XIII secolo un forte impulso, si raccoglie un vasto campionario femminile: converse, suore laiche, serve salariate, donne che con le loro donazioni si guadagnano il diritto ad essere assistite e protette spiritualmente dalle monache. Entro questo universo rigenerato le donne reclamano in forma udibile il diritto alla parola, non alla loro parola privata, bensì a quella loro ispirata da Dio e dai Sacri Testi: la facoltà di predicare, diffondere il messaggio divino che nemmeno le sette più radicali, come dimostra l'esempio eccezionale della catara Esclarmonde di Foix, concederanno loro stabilmente. Intimità e memoria Dame ideali tratteggiate dagli encomi ecclesiastici o dalla fantasia dei cavalieri, e fervide spose di Dio, sospinte a contemplare, su un piano di parità con l'uomo, la visione divina: sicuramente il mondo femminile nel • Medioevo era più variegato, tuttavia ciò che interessa ora non è tanto ricostruire, attraverso la letteratura recente, l'immagine della donna nei secoli, quanto avvicinarci al nucleo più intimo di quell'universo della karis i cui contenuti sembrano rivelarsi in forma più diretta ed esplicita proprio a partire dal tardo Medioevo: attraverso testimonianze preziose quali diari, libri di ricordanze, commentari, frutto di una società sempre più aperta e dinamica ma insieme incline a sperimentare inedite forme di "intimità". Si afferma l'esigenza nuova di recuperare una memoria che pretende di "dipingere" - secondo la bella espressione impiegata da Philippe Braunstein, tra gli autori di La vita privata dal feudalesimo al Rinasci- , mento (a cura di P. Ariès e G. Duby, Laterza 1987 - "l'essere di faccia e non di profilo". Ciò che affiora nelle vivaci fonti della società urbana e mercantile tra Quattro e Cinquecento è la timida voce di un io collettivo ancora spaventato, continuaBraunstein "dal sentir riecheggiare il proprio nome sotto le volte della storia universale, sfuggente non appena la tentazione di dire di più sul proprio conto si scontra con la maestà divina". La memoria familiare diviene l'ambito privilegiato di questo spazio intimo in cui si va progressivamente affermando l'orgogliosa autocoscienza, alimentata dalla continuità nel tempo, di nuovi prepotenti strati sociali. Il filo della memoria che si snoda a ritroso, tra i capricci dei destini familiari si eleva a principio ordinatore: il passato viene piegato ai fini di recuperare le tracce di una gloriosa identità, rivendicata come bene comune, nobilitata dal prestigio della durata. Ricostruire il tracciato familiare significa allora istituire il presente in forma di passato prossimo gettando le basi per i successori che verranno - così afferma Christiane Klapisch-Zuber in La famiglia e le donne del Rinascimento a Firenze, Laterza 1988 -di un più solido avvenire. Proprio la Firenze rinascimentale sembra essere a questo proposito un osservatorio particolarmente vitale: le croniche di Donato Velluti edi Buonaccorso Pitti, i !ibridi ricordanze di Giovanni di Pago lo Morelli, per citare solo i più noti, rappresentano la punta dell'iceberg di una produzione memorialistica assai diffusa: una folla oscura di cronisti, tra una vendita di vino e il matrimonio di una figlia, tra la notizia di un uragano e di un buon affare, ci tramandaSAGGI/I ARPINO no frammenti di storia familiare. A "fissare" la memoria della famiglia nel corso del tempo còncorrono il nome, ovviamente, lo stemma e lo scenario in cui gli antenati si muovono: così la memoria familiare trova il modo di infiltrarsi nei luoghi che gli avi hanno frequentato, castelli o villaggi in campagna ancora immersi nella penombra di un parziale oblio. Ben più presenti le dimore costruite dagli antenati inurbati in cui affondano i sentimenti più profondi di appartenenza a un gruppo e che rappresentano la cornice naturale della riproduzione della stirpe. Cento, cento cinquant • anni è in media il periodo, non molto esteso nel tempo, a cui risale infatti la memoria della storia di famiglia. Entro questo quadro di riferimento, continua la Klapisch, si svolge per lo più la vicenda familiare, ricavata dalle "care iscritture" custodite gelosamente in un prezioso cofano e tramandate dal padrone di casa in punto di morte al figlio primogenito. Il tempo che i cronisti esplorano non è nemmeno propriamente un tempo storico: è piuttosto il tempo delle generazioni che non può essere misurato con lo stesso metro della storia collettiva. La storia familiare prende anzi forma e poggia su un insieme di rappresentazioni immaginarie, talora figurate - suggerisce l'autrice - dove il campo è dominato da tenaci permanenze, suscettibili al più di impercettibili spostamenti, raramente da trasformazioni radicali. Attraverso la "continuità" seguita alla rottura che segna il momento di fondazione della famiglia, i valori morali possono perpetuarsi di membro in membro assicurando l'integrità del casato. Se nei libri di ricordanze, Philippe Braunstein, ha voluto leggere i primi balbettanti esordi dell'intimità, Christiane Klapisch insiste piuttosto sul fine "pubblico" delle "carte private" in una società in cui stabilire la continuità della stirpe attestando l'antichità delle proprie origini significa rivendicare una parte del potere politico e garantirne la felice trasmissione. Ma si può forse andare oltre questa forzata contrapposizione rinvenendo semmai nell'immaginario familiare i tratti di un intimismo collettivo in cui la voce dell'individuo è sovrastata e soffocata dagli echi di una potem..a superiore: attraverso l'io narrante ciò che si disvela è la forza secolare delle generazioni partorite dal centro ordinatore attorno al quale si dispiegano le varie ramificazioni familiari: l'antenato. Numerosi sono gli esèmpi portati dalla Klapisch a delineare la corrente prometeica che scaturisce da questo universo strutturato intorno ali 'ideale figura dellakaris. Primo fra tutti l'uso, da parte delle famiglie fiorentine dell'epoca, di "rifare" (questa è la parola impiegata nei libri di ricordanze) un membro deceduto della famiglia attribuendo il suo nome al più recente neonato. Piero di Marco Parenti chiama il suo ultimo figlio Vincenzo Salvestro Romolo "perché rifeci il fratello Vincenzo- così riporta la Klapisch-poco innanzi mortosi". In questo legame tra il membro defunto della famiglia e quello vivente si dispiega tutta la "corporeità" dell'ordine sancito dalla karis: la nascita spirituale di un bambino, che riceve il suo nome con l'acqua del battesimo, "azzera" infatti la morte del precedente portatore di questo nome. Ali' interno di questo spazio simbolico ogni nuovo nato cede per così dire il suo corpo deperibile a un nome immortale che assicura la circolazione ininterrotta del primigenio "capitale" familiare. Particolarmente emblematico è a questo proposito il caso di Nicolò di Matteo Strozzi, che la Klapisch sorprende nell'atto di cancellare accuratamente dal suo libro di famiglia la notizia della morte del primo figlio, Carlo, avvenuta nel 1473: il bambino era stato "rifatto" due mesi dopo in un nuovo Carlo. ' Matrimonio e ''promessa" Che posto occupano le donne in queste storie di famiglia? In proporzione di tre su quattro, i censimenti che i fiorentini fanno dei loro predecessori - afferma l'autrice - si interessano soltanto ai membri di sesso maschile. Non di rado l'asse genealogico in cui la parentela si riconosce tende a escludere (o include in modo saltuario) le femmine; ma c'è di più: le donne sovente escono dall'oscurità o dall'anonimato in quanto 75

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