Linea d'ombra - anno VII - n. 35 - febbraio 1989

li bisognava rivolgersi al cielo. E m'è venuto di pensare alla stregua di quei vecchi e di quegli ignoranti che un tempo, quand'ero ragazzo, si attaccavano a qualche decina di pubblicizzanti esperimenti nucleari per spiegarsi le piogge eccessive, o l'improvvisa siccità, o quell'anarchia di caldo e freddo che sembrava avesse-'-- dicevano - sconvolto le stagioni. Quegli sprovveduti e quegli allarmisti, tante volte poi presi in giro per questa visione magico-religiosa del mondo! Ma oggi come oggi occorre essere più precisi e più scientifici, oggi che il cielo è divenuto "etere". E a quel proposito, ancora una credenza popolare sulla Mutazione, quella sugli effetti devastanti e irreversibili della teledipendenza, mi ha sedotto per un momento, proprio in coincidenza con lo sfilare di una vetrina di televisori accesi, in un negozio di elettrodomestici; un negozio così attempato e demodé da metterli ancora in mostra come se per davvero dovesse ancora comprarli qualcuno. Qualche involontario passo indietro per la sorpresa: il ragazzone era lì, come stampato in tutti i televisori. Proprio mentre lo perdevo di vista, lo guadagnavo, per così dire, in visione. Forse non era proprio lui, ma la somiglianza, pur riducendosi attimo dopo attimo, cresceva come obliquamente, continuando a stupirmi. Trasfigurava diventando assonanza, analogia, una specie di identikit del gesto (impacciato), dell'espressione (devitalizzata), del colore( ... ?). Soprattutto del colore. Solo le telenovelas del mattino, specie se esposte alla luce del giorno e della via, rendono almassirrw quel biondo-stoppa dei capelli, e quell'incarnato rosa-grigio-nocciola, e quel celeste-macchina dello sguardo ... Al massimo, nel senso che su un fondotinta opaco come di pellicola marcia, i colori vivono una loro strana intensità, un fulgore senza luce, simile a quella elettricità da display che è il simbolo della vittoria dell'elettronica sull'epoca romantica delle lampadine. Da venti, da quaranta, e perfino da cento "candele"! (Son quelle che cominciano a sostituire le pasoliniane lucciole, nella nostalgia dei poeti!). Pensavo al tempo mitico della fiera ottimista della luce elettrica, prima della Mutazione. Ed a quel po' di verità che c'è sempre nelle credenze popolari, anche se spesso - e certo in questo caso - si spiegano beffardamente invertite. Non è vero che la televisione rimbecillisce e le radiazioni atomiche sconvolgono la fisicità dell'uomo e della natura, ma forse è vero l'esatto contrario, mi raccontavo con quel sussiego stupido di quando ci si compiace dei nostri irresponsabili giri mentali, che magari cominciano con una piccola occasione di curiosità e finiscono nell'alto dei cieli di una ancor più misera, ma eccitante, filosofia personale. E ancora mi toccò una coincidenza, nel- ! 'arrivare - con la testa - alla vetta della libertà del pensiero, mentre - con i piedi - raggiungevo la sacra soglia del Palazzo, dove ero diretto. Ma, nonostante l'eccitazione, conviene precisare "il Palazzetto", trattandosi solo del Municipio, dove ero atteso, per una consulenza professionale, dall'Assessore alla Gioventù. Il ragazzone era in piedi, quando le sedie dell'atrio erano tutte libere. Come per educazione, ho finto di non averlo mai visto. Lui non fingeva. Doveva essere molto più educato: non mi aveva mai visto. Allora, protetti dalla norma della cecità, ci si può rispettosamente guardare meglio. STORIE/GIACCHlt Disegno di Marco Ceruti. Quello che mi colpiva era la postura, di un'immobilità affatto nervosa: un vistoso e innaturale squilibrio, perfino un leggero piegamento di un ginocchio, non suggeriva nessun~ dinamica. Pura scomodità, fuori da ogni intenzione di autorappresentazione, pronto a nessuna azione. Epperò pronto all'impiego - sembrava - come le pose insensate, rigide e plastiche, di quei soldatini che si facevano muovere sul pavimento, pren- , dendoli in mano, e che erano sempre atteggiati in pose intermedie, insignificanti: i migliori per la libera manipolazione delle grandi battaglie. Il ragazzone teneva una delle mani all'altezza della tasca, ma né ciondolante né infilata, e l'altra all'altezza del petto, smodatamente alta e piegata in due a stringere dei fogli di chissà quale valore burocratico. Sembrava la fotografia dell'impaccio, per nulla impacciata come è _appuntouna fotografia. Un leggerissimo dondolio sembrava spostare appena il corpo, tradendo l'attesa. Ma poteva essere il vento. Il vento della prateria. ,L'assessore "ai giovani", fresco di nomina e di conio, aperta la porta del suo ufficio, mi pregò di entrare, sorridente. Mi trovaì quasi a scavalcare la statua del giovanotto piazzata in mez~ zo alla minuscola anticamera e non mi ricordo se ho chiesto scusa, ma certo ho pregato l'assessore di ricevere lui, che aspettava da prima di me. Ma io non sono in attesa, mi spiega. Sono lì per una sua richiesta. L'altro non sa chi è, non ha chiesto nien69

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