POESIA/TAROZZI LA BURANELLA Bianca Tarozzi I Lo conoscevo l'ospedale vecchio coi suoi muri scrostati, esposti al vento, i suoi chiostri e i cortili desolati: un gatto infreddolito, l'erba rada. Ma chi l'avrebbe detto che l'avrei visto da dentro, e contemplato il cielo da un leuo di corsia! Il nostro era un reparto provvisorio da vent'anni oramai - prefabbricato - ma decente, lustrato ogni mattina da una ragazza piena d'energia, che raccontava a tutti i fatti suoi, che metteva allegria perfino a noi. E lì rimasi a lungo: un mese, due ... Nebbia dapprima, e poi il tempo, fuori, immobile, sospeso in un inverno nitido e ghiacciato, fissato, ormai per sempre nella mia mente, mai dimenti~ato. II Mi avevano assegnato il letto in fondo vicino alla finestra - una fortuna - e fuori ogni mattina i rami bianco argento luccicanti di brina, il cielo bianco, l'inflessibile inverno ci ammoniva ad aver cara la nostra malattia, a non andare via, a restare al riparo. Alla mia destra la buranella dai capelli neri, una vestaglia di flanella a fiori sgargianti; ancora bella, ma oppressa, stanca, agitata da molti pensieri. Di fronte, una mestrina pallidetta, e poi verso la porta le più anziane ciarliere veneziane. Entrai senza volerlo nelle vite e nel dolore di quelle sconosciute: ascoltavo l'ostessa di Rialto parlare alla mestrina, e la risposta di quella nella nostra camerata, la sera - un sussurrato, perfettamente udibile lamento: "Le novene che ho fatto, per mia figlia! È sciancata, l'hai vista. Mi dice: 'Dio non mi ha trattata bene. A lui importa poco delle tue novene'. Hai visto com'è bella? Con quegli occhi ... 62 • e ha un buon lavoro, è tanto intelligente ... Io non le chiedo niente; viene e va. La trattoria ci rende, si lavora. Ho qualcosa al polmone. Roba vecchia forse. Forse uscirò presto. Non so". E la mestrina a sua volta raccontava tutti i suoi mali e tutte le sue glorie: un figlio odontoiatra molto bravo con lo studio, le macchine e ogni cosa, il marito operaio strumentista, la suocera merciaia: tutto a posto. Ma lei restava a casa, disgraziata, cucinava per tutti, s'intristiva ... e poi si era ammalata. Vidi il marito e il figlio una domenica: restarono un minuto, poco più. Veniva qualche volta la figlia zoppa di quella di Rialto (un'aria risentita e degli occhi bellissimi, bistrati ... ). Il marito era sempre alla partita. Erano spesso sole quelle donne. Ma non la buranella - che ogni sera il marito veniva con un fiore un dolcetto, un pacchetto, qualche cosa per la sua bella sposa. Faceva il pescatore. Piccolino e segaligno, con le mani grandi. .. Era l'ultimo a uscire. Poi silenzio. Le due amiche soltanto parlottavano piano fino a tardi. Impossibile ormai sentire bene quel sussurro eccitato, accusatorio nell'angoscia che allora mi prendeva: buio luttuoso della notte intorno, la nostra luce fioca, senza alone quasi, nello stanzone assurdo, fatto chissà, di compensato, di cartone ... Il vento lo·poteva sradicare e far volare via, nel cielo nero. Ma tutto era silenzio fuori, immoto. Proprio in quell'ora morta, quell'ora vuota la buranella mi prese a confidente. Mi disse: "Signorina, nella vita ho avuto poco o niente, non sono stata fortunata mai. Orfana, mi sposai a diciott'anni. Allora non sapevo che mio marito era malato; e poi morì. Rimasi sola. Lavoravo ai merletti - non bastava. Vivevo dai parenti ma cercavo di non pesare. Quanto ho faticato!
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