Linea d'ombra - anno VII - n. 35 - febbraio 1989

INCONTRI/SANGUINUI Il critico è un uomo che collabora alla decifrazione della prassi umana. tica, implicita o esplicita, in base alla quale io pronuncio giudizi, in qualunque fonna essi poi siano esposti, è una visione del mondo. Non esiste nessun valore che stia al di là delle ideologie, sono le ideologie che organizzano dei sistemi di valori. In pratica così viene richiamata unafunzione forte del critico. Perché allora lei ha parlato di "critico dimissionante"? La dimissione per me è appunto una dimissione rispetto all'idea del critico tradizionale, in favore di questo critico storico che io vagheggio. In questo modo il critico cessa di riconoscersi separato dalla "scienza nuova" in genere, nel senso vichiano dell'espressione; diventa un uomo che collabora alla decifrazione della prassi umana, come lo può fare un economista, uno studioso di storia della filatelia, uno storico della moda, eccetera. E per quanto riguarda il critico militante? A questo proposito, per rendere più agevole e comprensibile la cosa, potrei richiamare la distinzione gramsciana tra intellettuale tradizionale e intellettuale organico, dove quest'ultimo non va inteso riduttivamente in senso rigidamente partitico. Respingere l'idea del critico tradizionale significa pensare a un critico organico, cioè uno storico, il quale è impegnato consapevolmente in un'azione pratico-sociale storicamente determinata: questo è il solo critico militante. Il critiço militante non è quello che recensisce le novità, ma è quello che si responsabilizza avendo coscienza che quello che egli sta facendo è un gesto politico, non un innocente gesto letterario che aspira a sollevarsi al di sopra delle miserie contingenti, effimere e labili della storia. La critica militante è per eccellenza una critica storiografica; credo che occorra riprendere la famosa idea marxiana del "presente come storia" e recuperare, come la recuperava Gramsci, rovesciandola materialisticamente, la vecchia posizione idealistica di Croce: tutta la storia è contemporanea, e quindi tutta la critica è critica militante. Se io studio un frammento di Alceo sto facendo critica militante. Oggi si assiste a uno strano fenomeno: molta critica militante seria viene fatta davvero attraverso l'analisi di Alceo, della cultura classica o medievale, mentre di fronte al presente c'è una censura assoluta, per cui si legge un contemporaneo come se fosse Alceo, e per fortuna, in compenso, si legge Alceo come se fosse un contemporaneo. Va riconosciuto che la situazione critica più avanzata in questo momento è certamente nelle discipline classiche e medievali. Unadelle critichechepiù di unavoltale è statamossa è quella che le imputa un certo eclettismo dei riferimenti teorici, l' uso disinvolto di autori spesso assai distanti tra di loro e difficilmente conciliabili. Cosa ne pensa? In fondo ho già risposto nel momento in cui ho affermato di non credere ai generi critici separati; penso infatti che un critico debba cercare di approfittare di alcune acquisizioni di metodo e di interpretazione raggiunte per vie diverse, facendole conflagrare insieme. Quando Spitzer collegava una possibilità di interpretazione linguistica con elementi di ordine psichico mostrava una notevole "disinvoltura", e se vogliamo un notevole "eclettismo", perché congiungeva stile e regime psichico del testo, supponendo che esistesse un meccanismo di equivalenza rispetto agli 56 scarti da una nonna. Considero ciò perfettamente esemplare: giungere a fortificare un'ipotesi raggiunta percorrendo un certo sentiero, utilizzando proprio altrui convinzioni, eventualmente raggiunte per altre vie, mi pare che rinforzi quello che poi è il solo obiettivo, che è la decifrazione storico-pratic;i di un testo. Tutte le strade, e se non tutte molte, possono condurre pur sempre a quello che è l'obiettivo primario. Quando mi sono occupato di Pascoli, mi servivano elementi di sociologia pascoliana, mi servivano elementi dell'ideologia pascoliana, mi serviva il modo di ricezione che Pascoli aveva subito presso i contemporanei e il suo modo di innestarsi nella tradizione, mi servivano i livelli stilistici su cui egli giocava e la sua organizzazione del linguaggio, mi serviva ricostruire anche la sua patologia psichica: se è eclettismo sia benedetto, perché questi elementi veniva- . no a costituire una costellazione che presentava un fortissimo grado di coerenza. Pur essendo un materialista storico, pronto a rischiare la rozzezza della sociologia, considero Spitzer il maggiore modello di critico in laboratorio; posso amare maggiormente Benjamin come teorico generale, ma se voglio un grande uomo di laboratorio non posso che pensare a Spitzer, anche quando sbaglia egli è assolutamente eccitante proprio per la sua spregiudicatezza. E oltre a Gramsci,Spitzer eBenjamin ci sono altri riferimenti a lei cari che possono essere aggiunti? Certo questa triade può essere allargata, ma in fondo accetto l'accusa di essere rimasto fenno a questi autori. Potrei aggiungere Goldmann é Lukàcs, proprio per porre l'accento sugli elementi di sociplogia, ma ho l'impressione che dopo questi, almeno per il tipo di lavoro che mi interessa, ci sia stata una certa stagnazione storica e che vere nuove proposte intellettualmente eccitanti a questo livello non siano più venute fuori. Credo che molti problemi importanti siano stati affacciati e ho, a differenza di certi miei amici, una certa stima di certi movimenti di tipo neo-esegetico e decostruzionista'-perché secondo me pongono dei problemi che non vanno trascurati, a cui la risposta mi pare spesso poco soddisfacente. Penso, ad esempio, a quel libro geniale di Fish, C'è un testo in questaclasse?, di cui probabilmente non condivido una sola conclusione, ma di cui riconosco l'importanza delle questioni sollevate, alle quali è necessario dare una risposta. Penso che le proposte dei decostruzionisti siano l'occasione per riaprire finalmente un discorso polemico e di contrasto, anche se, ripeto, per me presso dj.loro non esiste una posizione che possa essere condivisa. Ma se il dialogo è accettato può essere ricco. E rispetto alle teorie elaborate da quella che viene chiamata l'estetica della ricezione quali sono le sue reazioni? A questo proposito bisogna subito ricordare una cosa, cioè che è stata la critica sociologica che per prima ha po·sto questo ordine di problemi, naturalmente con conclusioni e angolature diverse; la sociologia della letteratura era orientata a porre in fortissima evidenza il problema della ricezione e la consapevolezza che un testo è fatto dal suo pubblico. La famosa proposizione goldmanniana per cui l'autore non è colui che empiricamente stende il testo, ma il gruppo sociale che in lui trova voce e

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