Linea d'ombra - anno VII - n. 35 - febbraio 1989

INCONTRI/SANGUINETI Se non la si considera all'interno di un codice sociale e di un'esperienza sociale, la letteratura diventa incomprensibile. scevano il terrorista o lo specialista della politica. Allora la cosa poteva essere più esplosiva, in metafora e alla lettera, ma in realtà indizio di uno sradicamento da quello che era il moto generale della società. Oggi assistiamo molto a questa stagnazione, all'impasse che si è creata, al trionfo della mediazione praticata da tutti che è ben altra cosa del confronto schietto e teso di progetti differenziati. Ora, non voglio dire che la mediazione politico-sociale sia la causa della stagnazione letteraria; voglio dire però che esiste una correlazione, come mi pare inevitabile. Penso che oggi chi sta scrivendo un romanzo che vincerà il prossimo Campiello o Strega non abbia né la coscienza né il sospetto, e averlo probabilmente non gli gioverebbe nulla, che su di lui agiscono questi meccanismi, però credo che li patisca realmente. Insomma, non c'è movimento teorico e ideologico, non si litiga se non per pettegolezzi, per ambizione personale o per scuderia; tutto è molto disperso e la battaglia culturale non esiste più. In alcuni dei suoi più recenti interventi lei ha parlato della necessità di una cultura di opposizione: che cosa intendeva esattamente? Se dovessi rispondere in maniera molto soggettiva direi che per me questa cultura comincia sul terreno ideologico e più precisamente sul terreno del materialismo storico. Se oggi Diogene andasse ingiro non cercherebbe l'uomo, ma il materialista storico, visto che sono spariti, non solo dalla faccia della penisola e dalla faccia dell'Europa, ma addirittura sembrerebbe dalla faccia della terra. Certo ci sono stati equivoci e imbarazzi che devono esser superati, senza contare il disagio storico del fallimento ormai proclamato, riconosciuto ed esibito dell'esperienza del socialismo reale, ma il materialismo storico per me rimane l'unica possibilità di spiegare proprio tutto quello che sta accadendo. Bisogna ripartire dalla riacquisizione di quell'ideologia che io preferisco chiamare materialismo storico invece che marxismo; bisogna tornare a essere galileiani o se si preferisce einsteiniani, nel momento in cui il mondo è pieno di aristotelici. Sul terreno della scrittura e più immediatamente su quello della critica, secondo me, è proprio questo ciò che manca: il discorso politico, non nel senso meschino e settario, ma nel senso del tentativo di decifrare attraverso la cultura quelli che sono i movimenti reali nel contesto sociale; cosa che oggi non fa più nessuno, dato che le analisi che si fanno sono analisi di mercato, analisi di tendenze di opinione, mentre le radici delle cose sono completamente coperte e nessuno ha più voglia di impegnarsi in direzioni di questa specie. In questa prospettiva di una cultura di opposizione, quale può essere allora là funzione del critico letterario? In generale, risponderei con ciò che sostenevo in un libro che affrontava appunto il problema della missione del critico, il quale deve essere considerato come uno storico genericamente inteso. Una critica materialistica dçlla letteratura non può essere che un aspetto della storiografia generale, anche se ovviamente esistono degli elementi specifici che la interessano: occorre guardare alla letteratura come a un fenomeno sociale, che naturalmente ha una sua specificità d'orizzonte, ma che è tutt'altro che chiu54 so. La letteratura continua a essere guardata come letteratura e non come uno dei modi dell'esperienza sociale generale. Se non la si considera all'interno di un codice sociale e di un'esperienza sociale, la letteratura, secondo me, diventa incomprensibile. Se io isolo un romanzo da tale contesto, non posso capirlo nemmeno in quella che è la sua qualità letteraria, perché, una volta isolato, esso perde di significato sociale. In un romanzo, un autore comunica un insieme di parole organizzate in un determinato modo alla luce di certi ·codici sociali; se io prendo questo oggetto e lo viviseziono in laboratorio, io faccio un lavoro utilissimo, purché non dimentichi mai neppure per un istante che, se anche mi occupo della sintassi dello scrittore, dei suoi temi ossessivi, deIl'uso degli aggettivi o delle sue fonti, l'oggetto del mio lavoro è il senso sociale di questo prodotto. Questa è quella che io posso pensare essere una critica di opposizione e che mi pare molto lontana da quello che oggi è il discorso critico in tutte le sue ramificazioni. Ma in quesJo modo non c'è il rischio di ritornare a quel/' idea di critica sociologica che era stata rimessa in discussione per il suo eccessivo meccanicismo e riduttivismo? Io sarei disposto a dire, in termini molto rozzi, che bisogna tornare alla critica sociologica, a costo di rischiare e di ripetere i medesimi errori che sono stati commessi; se il ritorno è utilizzato bene, proprio grazie all'aiuto di un'esperienza più lontana e distaccata, molti degli errori e dei candori che si sono manifestati possono invece essere evitati. Dovendo ripercorrere un certo cammino, non è necessario inciampare esattamente nei medesimi punti, posso farlo meglio proprio perché posso evitare gli errori fatti in precedenza. Ma l'obiezione fondamentale che si muove in genere alla critica sociologica, prima ancora dei meccanicismi di cui è accusata, e spesso poi a torto, è l'uso di categorie eccessivamente generalt Ma è stupefacente che, presso altri metodi critici, nessuno si scandalizzi -e se si scandalizza dovrebbe scandalizzarsi allo stesso modo - se si giunge a categorie altrettanto generali. Insomma, il sapere è prima di tutto una sistemazione entro grandi categorie, che ha per forza di cose una sua rozzezza; e non c'è nella critica sociologica nessuna rozzezza in più di quanta ce ne sia in tutti i metodi che consistono nel ricondurre il singolare all'universale. Poi è vero che tutti i metodi, e quindi anche quello sociologico, rischiano di arrestarsi a questa fase classificatoria generale. Io penso a una sociologia storica che usi ovviamente le grandi categorie generali, le quali nonostante tutto funzionano, credo, proprio nelle classi sociali come punto di orientamento. Ma penso anche èhe tutta la concretezza del discorso e l'analisi dcli' oggetto stiano precisamente nella storicità di cui un'analisi di quest'ordine è in grado di farsi portatrice. Per questo la formula "materialismo storico" è quella che considero ancora la più pertinente, propria e affinata; e inoltre non esiterei a dire che una buona iniezione di sociologismo sarà pure il modo per ritornare a porre determinati problemi, a risollevarli, anche se magari in maniera un po' rozza. ,Questa formula può ricondurre davvero· a un'analisi storicamente concreta e a fare del critico uno storico. Non credo invece che, come punto di partenza, le analisi semiologiche, linguistiche - salvo che siano di linguistica storica-, le analisi sui miti e le grandi im-

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