IL CRITICO COME STORICO INCONTRO CON EDOARDO SANGUINETI a cura di Fabio Gambaro Edoardo Sanguineti non ha certo bisogno di presentazioni, dato che le sue opere di poeta, romanziere, critico e saggista sono conosciute in Italia e al/' estero. Massimo teorico della neoavanguardia italiana degli anni Sessanta, inSanguineti l'attività di critico e teorico della letteratura ha sempre rappresentato una parte importante del suo lavoro. I suoi studi critici su Dante, Pascoli, i/futurismo, Gozzano, Palazzeschi, Moravia, tanto per fare solo qualche esempio, hanno sempre offerto importanti erigorosi contributi, non solo alla conoscenza di quegli autori, ma anche e soprattutto alla loro interpretazione e al disvelamento di tutte le loro valenze cultura~i e ideologiche. Non di rado i suoi interventi sono stati al centro di polemiche e discussioni accanite, alle quali peraltro egli non si è mai sottratto, visto che ha sempre inteso il lavoro letterario, e quello del critico in particolare, come un momento di prassi politica inserito al/' interno di unapiù ampia problematica sociale e di classe, come ancora dimostra lapubblicazione, l'anno scorso, della sua ultima raccolta di saggi inJitolata La missione del critico (Marietti,pp. 230, lire 28.000). Parlare conSanguineti della situazione della critica letteraria in Italia, significa affrontare un arco di discorsi molto ampio, dato che egli rifiuta di considerare il discorso critico come orizzonte separato; di conseguenza sifinisce per affrontare i "massimi sistemi", la situazione generale della cultura, la crisi del marxismo e delle strategie di opposizione, ma anche, sul versante creativo, la sua attività di poeta, che intreccia dimensione personale e dimensione collettiva, discorso privato e valenze storico-politiche. Partiamo dall'attuale condizione della nostra critica leueraria, dal panorama, per la verità non troppo vivace, di questi anni Ottanta. Qual è il suo giudizio? Molto sveltamente e molto superficialmente, credo che sia forte la tentazione di dire che sono anni di stagnazione, per usare un'espressione ormai classica in altra accezione. Negli anni Cinquanta e Sessanta, un po' in tutta la cultura, e non soltanto quella italiana, ci fu un gran sommovimento, si accesero anche grandi speranze, probabilmente in possibilità di sviluppi di me- _todoche in un primo tempo apparivano sconfinati e definitivi. Adesso, _mipare, si assiste iQ generale alla caduta di queste illusioni. E stato fatto un grande "balzo in avanti" e ora si assiste alla sistemazione accademica, sempre più sofisticata ma anche sempre più ripetitiva, di alcune acquisizioni metodologiche, col rischio di trasformare iri specializzazioni settoriali quelli che erano invece degli stimoli di lettura. Per esempio, quando ero giovane, non esisteva una critica psicanalitica riconosciuta; l'avvento allargato e fecondo della critica psicanalitica fu una grossa conquista. Poi essa si è risolta in un ramo particolare della critica e oggi esistono i critici psicanalisti che lavorano in un certo modo, che costituiscono una specie di orizzonte separato. Così è per la critica sociologica, così per quella linguistica e semiologica. Insomma, si sono costruiti diversi compartimenti piuttosto stagni, tra di loro non comunicanti, non solo per una ragione di incompatibilità di metodo comprensibile, ma anche perché non polemizzano nemmeno. Ci troviamo di fronte a una serie di discorsi paralleli, a scuole che trovarono la loro celebrazione nel libro che Maria Corti e Cesare Segre pubblicarono nel 1970, I metodi al/uali della critica in Italia; simbolicamente però quel libro segnò al contempo il momento della cerimonia funebre della fase della scoperta e dell'espansione. A quel punto ogni cosa veniva riconosciuta ed era lo specchio reale della situazione, non la causa di ciò. Sul piano della produzione lelleraria vale lo stesso giudizio? Innanzitutto, va detto che questo decorso critico corrisponde in qualche modo a un decorso collettivo, e il fatto stesso che si possa distinguerli abbastanza bene già ci dice qualche cosa. Negli anni Cinquanta e Sessanta la nouvelle critique accompagnava davvero una nouvelle écriture; in Francia ciò appariva in maniera molto manifesta, ma anche in Italia in sostanza i nuovi critici esistevano ed esistevano i nuovi scrittori con delle proposte più o meno eversive nella veste esterna, ma che nella sostanza comportavano un reale rinnovamento, non solo nella letteratura ma anche nelle arti figurative, nella musica e persino nella musica di consumo. A questo proposito mi piacerebbe essere un intenditore di rock per stimolare qualcuno in quest'ambito, per assumere un paradigma un po' meno sublime, e vedere come, in sostanza, dopo quell'esplosione su quel terreno emblematicamente si sia verificato un fenomeno che è stato un po' una regola generale: un grosso scatto di rinnovamento a cui sono seguiti la stabilizzazione e il recupero istituzionalizzato; dopo l'esplosione, per continuare a seguire questa parabola, sono seguiti la nostalgia del liscio, la disco music, la pop music, con tutti gli addolcimenti del caso, tanto che finisce per sembrare un gigante Prince, che è certo un uomo di spettacolo capace di seduzione, tecnologicamente armato, ma dai contenuti musicali non estremamente rinnovativi. Allora, questa paraboletta mi pare possa valere un poco anche per la letteratura e per la ~sia. Infaui, qualche anno fa un suo giudizio sui "giovani narratori" fu molto negativo ... Sì, anche in questo ambito si è assistito a un fenomeno di sistematizzazione e di cristallizzazione. Una delle cose che negli anni Cinquanta e Sessanta erano appassionanti era la rottura dei generi a tutti i livelli, grazie anche a una collaborazione abbastanza fitta tra uomini di diverse pratiche culturali. Adesso ho l'impressione che queste figure dette dei "nuovi romanzieri" non solo tendono a cristallizzarsi nel loro genere, che sarebbe poi una cosa comprensibile anche se molto tradizionale, ma ristabiliscono anche dei sottogeneri che rispondono proprio a delle esigenze di consumo. Accade un poco quello che prima dicevo per la critica: la nascita di una settorialità che impedisce poi ogni dialettica, come si trattasse di tanti ruscelli separati che seguono ognuno un proprio percorso. Come spiega la mancanza nel nostro panorama letterario di opere forti e di alto profilo? Senza rischiare un eccessivo meccanicismo si può pensare che questo abbia le sue radici, come suole accadere, nella stagnazione sociale a cui ci troviamo di fronte. Gli anni Cinquanta e Sessanta da questo punto di vista rappresentarono effettivamente anni di forti inquietudini e si aveva l'impressione di una società in movimento, con molta conflittualità. Negli anni successivi la conflittualità apparentemente si è aggravata e accentu~- ta, penso ad esempio al '77 e al terrorismo; ma invece,yropno il fatto che la conflittualità venisse a essere una sorta dt genere specializzato di frange sociali isolate, mostrava che il movimento globale della società si era arrestato e che, come ~ascev~o lo specialista del romanzo storico o il critico psicanahsta, cosina53
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