SAGGI/PIANCIOLA tcrlocutori sembrano ritagliarsi troppo nettamente due parti che hanno verità solo in quanto sono complementari. Soprattutto H. Arcndt finisce di mettere in ombra il suo radicalismo e di presentare nella forma di senso comune liberaldemocratico quella utopia della polis che non è rivolta solo al "magazzino della memoria" ma è anche l'istanza critica di democrazia radicale che ispira alcune tra le sue pagine migliori. Su un punto Enzensberger ha ragione in linea generale, per quante giuste obiezioni di dettaglio possa rivolgergli la Arcndt. Il punto è l'accostamento. tra Auschwitz e Hiroshima, non in quanto eventi specifici (su questo ha ragione la Arendt: lo sterminio degli ebrei era perseguito dai nazisti come un fine di per sé e non è assimilabile ad atrocità e a crimini di guerra strumentali anche se giganteschi), ma in quanto con Hiroshima fa il suo ingresso nella storia contemporanea la estensione possibile a tutta l'umanità di uno sterminio che ad Auschwitz fu tentato contro una sua parte. Qui H. Arendt contraddice una pagina conclusiva delle Origini del totalitarisrrw (p. 607 dell'cd. Bompiani): se il Lager introduce nella storia contemporanea "la comparsa del male radicale", la politica si trova sottoposta a una tensione estrema che la fa uscire dal terreno suo proprio della relatività dei conflitti e delle mediazioni per porla di fronte a un'alternativa assoluta "fra tutto e niente: tutto, un'indeterminata infinità di forme di convivenza umana, o niente, la distruzione dell'uomo in seguito alla vittoria del sistema dei campi di concentramento, una distruzione inesorabile come quella che l'impiego della bomba all'idrogeno riserverebbe alla razza umana". Auschwitz e Hiroshima sono entrambi fantasmi primari per la mia generazione. Perciò posso fare ricorso alla memoria. Non so per quale via avemmo dei biglietti gratis per una sala faraonica del centro della città, un lusso insperato nella miseria della guerra appena finita. Ricordo tutto del primo film che-ho visto in un cincmino di periferia, un Tarzan con Weissmuller. Non ricordo invece nulla del film che vidi in quella magnifica sala del centro di Torino: letteralmente cancellato da quanto venne proiettato dopo: un documentario girato dalle truppe alleate all'arrivo nei Lager. Vedo ancora gli scheletri viventi accanto ai reticolati, le montagne di capelli, i mucchi di denti, i paralumi di pelle umana. Avrò avuto sei anni. Hiroshima e Nagasaki mi vennero incontro press'a poco alla stessa età attraverso i fumetti. I miei, da buoni cattolici, mi compravano la domenica "Il Vittorioso" (l'alternativa bianca al "Pioniere" che leggevano i bambini dti rossi). Attraverso le tavole stupendamente - così mi pareva - disegnate da Caprioli si snodava la storia di un gruppo di ragazzi scampati che si aggirano in una città devastata dall'esplosione atomica (un prete - naturalmente - li accompagna). La città è angosciosamente vuota di umani. A un tratto compare un'ombra impressa su un muro: l'infinitesima permanenza di un corpo disintegrato che non c'è più. Così l'orrore della catastrofe arricchì le normali fantasie di morte e i sensi di colpa dell'età e provammo la gioia animale e la paura umana di essere sopravvissuti, proprio come dice Canctti. H. Arendt ha scritto molto bene tutto ciò nel saggio sui movimenti del '68 e la violenza: "In fondo è piuttosto naturale che la nuova generazione debba vivere con una maggiore consa46 pevolezza della possibilità della fine del mondo ... , perché questa è stata la loro prima çsperienza decisiva del mondo ... Se a un membro di questa generazione si pongono due semplici domande: 'Come vorresti che fosse il mondo da qui a cinquant'anni?' e 'Come vorresti che fosse la tua vita da qui a cinquant'anni?', le risposte vengono molto spesso precedute da considerazioni come: 'Ammesso che ci sia ancora un mondo', e: 'Ammesso che io sia ancora vivo'. Per dirla con George Wald, 'ci troviamo di fronte a una generazione che non è affatto sicura di avere un futuro'; poiché il futuro, come afferma Spender, è 'come una bomba a orologeria sepolta, ma che fa sentire il suo ticchettio nel presente'. Alla domanda che abbiamo sentito tanto spesso: Chi sono coloro che fanno parte di questa generazione?, si è tentati di rispondere: Quelli che sentono il ticchettio. E all'altra doinanda: Chi sono quelli che lo ignorano in modo assoluto?, la risposta potrebbe benissimo essere: Quelli che non sanno, o che rifiutano di affrontare le cose come esse realmente sono" (Politica e menzogna, pp. 179-180). •All'epoca che sente il ticchettio della catastrofe (ecatombe nucleare, disastro ecologico ... ) il concetto di "male radicale" non suona falso. L'espressione, che risale alla morale di Kant, ritorna spesso nelle Origini del totalitarisrrw e negli articoli coevi. Nel 1963 , all'epoca della polemica più accesa sul processo Eichmann, H. Arendt scriveva aGershom Scholem: "Hai completamente ragione: ho cambiato idea e non parlo più di 'male radicale' ... Quel che ora penso veramente è che il male non è mai 'radicale', ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla sua superficie come un fungo. Esso 'sfida', come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua 'banalità" (Ebraisrrwe rrwdernità, p. 227). Allo spirito laico della Arendt non piacevano le interpretazioni metafisico-religiose della catastrofe del mondo ebraico, e l'idea di "male radicale" può prestarsi a tali usi: ciò che sfida le categorie di pensiero e i criteri morali di cui disponiamo potrebbe eccedere l'umano in direzione del divino (o del diabolico). Ma proprio la spaventosa "banalità del male" - la "sua maledetta razionalità" (Améry) - impedisce la fuga nel trascendente e mostra le radici umane, troppo umane, dei crimini contro l'umanità realizzati o possibili: "La trasformazione del padre di famiglia da membro responsabile della società, interessato a tutte le questioni pubbliche, in bouf.. geois attento solo alla propria esistenza privata e ignaro di ogni virtù civica, è un fenomeno moderno internazionale... Quando la sua professione gli impone d_iuccidere una persona, egli non si considera un assassino, dal momento che agisce ma nell'ambito dei suoi doveri professionali. Se fosse solo questione di istinto, non farebbe male a una mosca" (Ebraismo, cit., pp. 73-74) .. La spoliticizzazione cui tende la società a est e a ovest, la produzione in massa di individui estraniati dalla dimensione pubblica e rinchiusi nel bozzolo privato (cera molle dell'attivizzazionc e della nazionalizzazione delle masse), tecnici e esperti senza domande sul significato globale dell'agire: questa la banalità quotidiana che fu il risvolto "terribilmente normale" del male estremo e che può esserlo ancora.
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