Linea d'ombra - anno VII - n. 35 - febbraio 1989

SAGGI/ ARENDT, ENZ:ENSBERGER HANNAH ARENDT New York, fine 1964 Ho letto il libro con particolare piacere; conoscevo soltanto il reportage pubblicato dal "Merkur" sull'assassinio della ragazza italiana, che avevo altresì trovato molto bello. Enzensberger ha uno spiccato senso della concretezza e del dettaglio significativo. Ciò che vuole - raccontare in modo nuovo storie vecchie - è giusto e importante. Spesso gli riesce, per esempio la storia dei terroristi russi. L'elemento di maggior debolezza nel libro sono le analisi o conclusioni politiche. Fra queste ultime, peraltro, è davvero eccellente il saggio finale sul t.radimen- . to. Neppure lui, comunque, può davvero credere che Auschwitz abbia "portato alla luce le radici di tutta la politica condotta sino a oggi". Il signor Hitler ha forse confutato Pericle? Auschwitz ha forse portato alla luce le radici della polis ateniese? Suona come una frase retorica, ma probabilmente non Io è in questo autore così straordinariamente dotato e onesto. Enzensbergcr ha imparato da Benjamin anzitutto nell'uso del dettaglio, anche sul piano stilistico; intendo dire imparato, non copiato! Ciò presenta notevoli vantaggi, ma può altresì condurre a pericolosi equivoci. Un altro esempio è la facile interpretazione o equiparazione, che già risale a Brecht, di crimine, affari e politica. I crimini del Terzo Reich non sono crimini nel senso inteso dal codice penale, e i gangster di Chicago, che si inseriscono nei punti vitali della società, non sono i precursori dei nazisti. Essi contano pur sempre, anche se non esclusivamente, sulla protezione che questa società garantisce anche i delinquenti, e non hanno né l'intenzione né un autentico interesse a impadronirsi del potere. Proprio i nazisti non erano uomini di affari, dunque porre sullo stesso piano affari e crimini forse funziona, ma in senso apolitico: ossia, né Al Capone né il rispettabile uomo d'affari sono politici. Si tratta di errori molto comprensibili, se si viene dal marxismo, in particolare da quello di matrice ed elaborazione brechtiana e bcnjaminiana. Ciò, tuttavia, non favorisce in nulla la comprensione di eventi politici. Al contrario, non è altro che una forma assai raffinata di escapismo: sostenere che Auschwitz abbia portato alla luce le radici di tutta la politica equivale a dire che l'intero genere umano è colpevole. E se tutti sono colpevoli, la colpa non è di nessuno. Proprio l'elemento specifico e peculiare si è perso nuovamente nel~ la salsa dell'universale. Se a scriverlo è un tedesco, desta preoccupazione. Ciò significa: non i nostri padri, bensì tutti gli uomini sono responsabili della tragedia. Il che, semplicemente, non è vero. E inoltre, e proprio in Germania, diffuso e pericoloso: se Auschwitz è la conseguenza di tutta la politica, dobbiamo allora anche essere grati se finalmente qualcuno ha tratto le conseguenze. Oh, felix culpa! Tutto ciò per spiegare che, dopo una certa esitazione, non recensirò comunque il libro. Mi costerebbe troppa fatica cernere quanto vi è di eccellente da ciò che vi è di sbagliato. Mi farebbe piacere discutere con E. Dovrebbe davvero venire qui 40 In alto: SS scaricano cadaveri nel lager di Bergen Belsen ( 1945; Life/G. Neri). In basso: lager per bambini "razzialmente non validi" a Lodz (G; Neri). una volta o l'altra. La mancanza di comprensione dei tedeschi, ma non solo dei tedeschi, nei confronti delle tradizioni anglosassoni e della realtà americana è una vecchia storia. Può essere curata solamente con un sopralluogo, non con delle lettture. Hannah Arend HANS MAGNUS ENZENSBERGER Tjome, Norvegia, 24 gennaio 1965 Stimatissima signora Arendt, da molti anni le Sue idee sono per me materia di riflessione, da molti anni ne traggo giovamento; Le devo dunque particolare gratitudine; tanto più, se alcune di queste idee sono rivolte alle mie, o contro I.e mie. Mi consenta, pertanto, alcune righe di risposta. Gli errori, di cui Lei mi accusa, sono di diversa entità. Nella misura in cui si basano, ai Suoi occhi, sul marxismo, desidero tralasciarli. Noi muoviamo in-questo caso ctapremesse differenti-e giungiamo a risultati differenti. Lei ritiene, per esempio, che la "questione sociale" non sia risolvibile con mezzi politici; si potrebbe venire a capo della miseria, della povertà e dello sfruttamento - si legge nel Suo saggio Guerra e rivoluzione (1) - mediante la tecnologia, e solo grazie a essa. E sarebbe "diventato realtà" con una "velocità a volte quasi inquietante", quanto venne proclamato due secoli or sono nella Dichiarazione di indipendenza americana: vale a dire la rivendicazione che tutti i popoli "fra le potenze della terra raggiungano una condizione eguale e indipendente". Io vedo, però, che i popoli dcli' Africa, dcli' Asia meridionale e dcli' America latina non prendono autonomamente in mano i propri destini; godono di indipendenza ed eguale condizione solo nel protocollo delle visite ufficiali; vedo miliardi di uomini - che vivono come nostri contemporanei - abbandonati alla miseria, alla povertà e allo sfruttamento per motivi politici; e deduco da tutto ciò che non mi risulterà agevole correggere i miei errori, nella misura in cui ne è responsabile il marxismo. Lei traccia una linea divisoria fra di noi, nondimeno, questa separazione è tollerabile; a suo fondamento, infatti, non vi è alcun equivoco e non conduce a una condanna morale dell'uno da parte dell'altro. Più pesante risulta ogni parola che Lei pronuncia su Auschwitz e su tutte le riCTessioniche vi si connettono. L'idea che Lei non receda dal Suo giudizio mi riesce intollerabile. Questo giudizio si fonda sulla frase con cui affermo che Auschwitz ha portato alla luce le radici di tutta la politica condotta sino a oggi. Lei interpreta questa frase come una scappatoia, come una "forma di escapismo". Contro tale interpretazione voglio e devo difendermi. Inizio dalla conclusione che Lei mi suggerisce: "Se Auschwitz è la conseguenza di tutta la politica, dobbiamo allora anche essere grati se finalmente qualcuno ha tratto le conseguen-

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