Linea d'ombra - anno VII - n. 35 - febbraio 1989

IL CONTESTO un viaggio filologico in cui può essere chiaro e lineare solo il punto di partenza, e quello di arrivo. Il fascino della sua lettura risiede probabilmente nella costruzione di un discorso che, a mano a mano va avanti, cambia spesso direzione, si inoltra in stradine laterali, sentieri, procede per scarti e triangolazioni (come lo stalker nell'omonimo film di Tarkovskij). Le Poesie Famigliari sono uno strano libro, un libro eccessivo, che va oltre i confini suoi propri (un commento ad uno sparuto gruppo di poesie), per crescere, debordare. È un commento ininterrotto, infinito, dove il tentativo di far ordine non cede mai il passo alla semplificazione, all'onesta semplificazione (uno scrittore tedesco del nostro secolo, fin troppo citato, diceva più o meno che la descrizione del disordine è qual cosa di diverso di una descrizione disordinata, e questo mi sembra il punto). Si assiste, così, alla messa in opera di un sistema di lettura che si sovrappone al sistema letterario pascoliano, con una somiglianza notevolissima. Lo stesso interesse che Garboli manifesta nei confronti del dantismo dell'autore di Sotto il velame acquista in questo senso tutto il suo valore. Come Pascoli, il suo puntiglioso e ossessionato interprete sa che per discutere, per scrivere di letteratura non servono le vie diritte, con tanto di cartelli e indicazioni (e limiti di velocità). Occorre procedere per percorsi eccentrici; per selve e per foreste, insomma. Ma la filologia di Garbo li ha almeno un altro motivo di interesse. Si tratta di una ragione a mio parere extraletteraria (uso questa parola grossa, spero non a sproposito). Per Garboli, la lettura filologica sembra rimandare sempre, avere come principale obiettivo non tanto l'oggetto dato dai testi e dalle poesie pascoliani, quanto piuttosto ciò che di essi è andato perduto. Solo da questo punto di vista si spiega la sua ossessiva e quasi maniacale attenzione verso il particolare, la variante minima, il documento recuperato in extremis, e che in extremis dà alla lettura un senso del tutto nuovo, inedito. È proprio quel "ciò che è andato perduto" che secondo me va al di là della critica letteraria come "disciplina". Se l'interesse che un interprete ha nei confronti del suo autore si concentra proprio in ciò che, di questo scrittore, e della sua opera, non può essere mai - o quasi mai - portato alla luce, allora non ha più sensoparlaredi critica letteraria, ma solo di letteratura e di scrittura, tout-court. Mi spiego meglio: non voglio dire che Garboli sia uno scrittore che tende a celarsi dietro un altro scrittore, qualcuno che scrive nascondendosi, nicchiando, per interposta persona (certe sue pagine pascoliane sono molto più evidenti e immediate di tante pagine di romanzi). È che, così facendo, Garboli collauda una sorta di suo genere letterario, trova il luogo di espressione che gli è più proprio. Mi sia permessa una breve notazione personale. Occupandomi dicose pascoliane da circa quattro anni, ho avuto l'occasione fortunata di uno scambio di idee con Garboli. Durante un nostro incontro, accompagnandomi al treno che mi avrebbe riportato a casa (era sera, tutta la giornata era trascorsa a discutere di alcune carte del Pascoli), cominciammo a parlare, e il discorso cadde sulla sua prefazione ai Diari di Delfini, che avevo letto qualche tempo prima, e che mi aveva particolarmente colpito (chi scrive è assai influenzato dallo charme letterario di Garboli, e si vede). In particolare, mi aveva stupito un passo in cui, alla fine di una lunga prosa che tutto si può definire fuorché una vera e propria introduzione ai fitti cahiers di Delfini, lui scriveva di come, per "rimanere giovani", bisognasse essere artisti, e io, concludeva, "non sono un artista". Gli chiesi come mai quella dichiarazione perentoria, che poteva sembrare quasi un atto di rinuncia, una sconfessione a quanto detto prima, a tutta, insomma, la particolarità del suo lavoro. In risposta mi citò De Sanctis, la distinzione, riferita a Dante, tra "poeta" e "artista". Allora non capii, il riferimento a Dc Sanctis mi sembrava un po' fuori luogo, quel passo lo ricordavo vagamente dai tempi del liceo, in breve non riuscivo a spiegarmi cosa c'entrasse nella nostra discussione. Ho ripreso in mano l'altro giorno la Storia della letteratura italiana. Alla fine del capitolo sulla lirica dantesca, ho trovato la pagina incriminata. La riporto, e con questo finisco, anclìe perché ogni commento ulteriore mi sembra inutile, tanto è evidente: " ... Si può dire che, quando in questo mondo comincia la realtà, allora appunto muore la poesia, s'inaridisce la fantasia e il sentimento. È un difetto organico di questo mondo, che resiste a tutti gli sforzi dell'arte, resiste a Dante. D'altra parte, Dante vi si mostra più poeta che artista. Quel mondo è per lui cosa troppo seria perché possa contemplarlo col sereno istinto dell'arte. Poco a lui importa che la superficie sia scabra, purché ci sia sotto qualche cosa che si mova". Unesordionarrativodinuova forzaespressiva L'«educazione sentimentale» di un ragazzo dei nostri anni in una Venezia insolita. L'amore, l'inquietudine, la v10lenzadella droga, l'amicizia: una storia di intensa pieta, una lucida biografia collettiva. 240 pagine, 24.000 lire GARZANTI SEGNO 98-99 Miseria della politica Intervista al sindaco più anomalo d'Italia Oltre lo Stato l'utopia della città Dopo il Rapporto siimez quale futuro per il Mezzogiorno? I giovani e l'impegno sociale negli anni '80 partecipazione o disinteresse? Le tossicodipendenze tra pubblico e privato La donna secondo Wojtyla Donne e studenti contro la mafia L'educazione ai valori come prevenzione della mentalità mafiosa L'abbonamento ordinario è di L. 35.000, quello sostenitore di L. 60.000 Si può effettuare: - mediante ccp n. 16666901 intestato a Centro Culturale "Segno", C.P. 565, 90100 Palermo; - mediante assegno bancario intestato a Centro Culturale "Segno". 35

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